4^ Domenica di Pasqua

Carissimi,
tornato appena dal Brasile, dopo aver celebrata la Pasqua con le comunità che ho avuto grazia di incomminare e convivere per anni, eccomi a farvi visita per l’appuntamento settimanale. La domenica del Buon Pastore è un momento di preghiera e riflessione per tutti: pastori a titoli diversi e, nello stesso tempo, pecore amate. Fraterno abbraccio.
 
Don Vincenzo
 

«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante…  In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. …Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,1-10). 

 

Ronchi – Dio, pastore di libertà e di futuro, conosce le sue pecore e chiama ciascuna per nome. Tanto più sarai vicino a Dio quanto più sprofonderai nel tuo essere uomo. Senza aggettivi.

E le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aper­ti, pastore di libertà e di fi­ducia. Non un pa­store che pungola, incalza, rimprovera per farsi segui­re ma uno che precede, e seduce con il suo andare,

Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, non solo la vita in­dispensabile, ma vita che dirompe gli argini e sconfina. Vo­cazione di Cristo e dell’uo­mo è di essere nella vita da­tori di vita.

 

Pedron La porta del tempo presente. Gesù, per spiegare le grandi verità di Dio, usa le semplici immagini del suo tempo. Al mattino, quando il pastore ritornava, chiamava le sue pecore per nome e queste lo riconoscevano dalla voce. Le pecore conoscevano la voce del loro pastore perché tutto il giorno stavano con lui. Il pastore è colui che ti conduce verso la vita, verso il pascolo, ti difende. E Gesù mette in guardia: “Stai attento perché molti vengono in nome di Dio e in nome dell’amore. Molti vengono e dicono di venire “per il tuo bene”: stai attento perché molti sono briganti e ladri!”. Il pastore (prete, genitore, coniuge o amico che sia) entra per darti vita. Il pastore ti invita, ma non ti impone mai nulla. Il pastore è colui che vuole che la mia vita si espanda. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

Ma l’immagine centrale del vangelo di oggi è la porta: “Io sono la porta! (10,7.9). La porta è un simbolo del passaggio da un luogo, da una situazione ad un’altra. I primi cristiani sperimentavano che Gesù e le sue parole davano accesso a se stessi, li metteva in contatto con se stessi e con il proprio profondo. Comprendendo Gesù, la sua vita e le sue parole, capivano anche se stessi. Gesù è la porta di entrata verso se stessi. Ma Gesù ti porta anche fuori di te (“entrerà ed uscirà” 10,9). Ci sono delle porte della nostra vita chiuse a chiave. Ma viene un momento in cui è necessario aprire quelle porte, anche se ci fa paura, altrimenti ti fermi. Apri la porta al nuovo; abbi il coraggio di passare e di cambiare. Dio è porta. Cioè: se incontro Dio, Dio mi manda fuori, mi fa diverso, mi trasforma. Si fa presto a vedere se uno ha incontrato Dio. Se uno rimane sempre lo stesso si è certi che non ha incontrato Dio. Se uno è di vedute ristrette si è certi che ha incontrato poco Dio. Gesù è la porta: “Esci, vai, apriti, incontra, impara, non fermarti, non temere”. Ma se uno non diventa nuovo, non si rinnova, è già vecchio, ha già smesso di vivere. Ci sono giovani già vecchi e ci sono vecchi sempre giovani. Chi non si rinnova invecchia.

Una chiesa vecchia diventa inutile. Se è lei stessa che non è riuscita a rinnovarsi, a rimanere giovane, allora bisogna lasciarsi interrogare dai tempi, (Dio è storia, e non lasciarsi interrogare dalla storia è rifiutare Dio). E bisogna avere il coraggio di far morire ciò che deve morire, di porre fine a ciò che è finito, di dichiarare concluso ciò che non ha più senso di esistere.

Un racconto: “Ma al sentirti parlare in questo modo si resta senza certezze, senza più niente a cui aggrapparsi”, dissero i discepoli al maestro. Rispose il maestro: “Così disse l’uccello quando incominciò a volare”.

 

Pensiero della Settimana: Ogni volta che ti lamenti di qualcuno stai affermando che tu sei migliore di lui.

 

Paolo Curtaz  – Convertirsi al risorto non è un affare di pochi minuti, non è un percorso per uomini deboli, ma per uomini e donne forti e tenaci. Li raggiunge, il Maestro, là dove sono, nella condizione in cui sono.

Li raggiunge perché li ama. Lo fa perché la loro vita è preziosa al suo sguardo. Lo fa perché sa dove portarli, dove portarci. Il buon Pastore. Ecco la novità sconcertante. L’inattesa rivelazione: a Dio sto a cuore. A Dio che, solo, mi ama liberamente, e, amandoci ci rende liberi di amare. Gesù è venuto a chiamarci per nome, per condurci al Padre. E le pecore riconoscono la sua voce, perché è una voce che parla direttamente al cuore, che salva.

Attraversare” Gesù significa passare in una porta stretta, configurarci a lui, dilatare il nostro cuore, per perdere la nostra vita donandola, come egli ha voluto e saputo fare. Una vita donata in abbondanza.

Cosa abbiamo da temere? Nessuno ci può strappare dalla mano del Padre.

 

Wilma Chasseur – le pecore riconoscono la voce del pastore perché, prima, si sono sentite riconosciute da lui. Conosciute in profondità da Colui che le ha chiamate per nome. “E dopo averle condotte fuori, cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Ecco il secondo passo da fare: riconoscere la sua voce e seguirlo. Ma la povera pecorella fuggitiva non aveva fatto i conti con il Pastore: pensava di far perdere le sue tracce imboccando vie traverse, ma sono proprio quelle le strade che lui frequenta di più, perché lì è sicuro di incontrarci. E’ venuto a cercarci – l’ha detto Lui- e nessuno va a cercare qualcuno che non si è perduto. Si apposta all’imbocco delle nostre strade sbagliate, per riportarci al sicuro nell’unico ovile giusto. Si piazza sulla soglia delle porte che noi vorremmo spalancare e che si aprono sull’abisso, per dirci che Lui è la porta, l’unica che ci salva dal baratro.

 

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Riflettendo: “Cosa abbiamo da temere? Nessuno ci può strappare dalla mano del Padre”. È vero, quando ci riconosciamo pecore del suo gregge. Ma esaminandoci da pastori (prete, genitore, o amico che sia), riconosciamo la nostra fragilità e, umilmente e con verità, imploriamo l’unico Pastore di assomigliargli almeno un poco.

Nell’Omelia a Santa Marta di lunedì scorso il Papa faceva notare: Nella Chiesa ci sono persone che seguono Gesù per vanità, sete di potere o soldi; il Signore ci dia la grazia di seguirlo solo per amore

E nella Chiesa ci sono arrampicatori! Ci sono tanti, che bussano alla Chiesa per … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti! “Chiediamo al Signore la grazia – ha concluso il Papa – che ci dia lo Spirito Santo per andare dietro a Lui con rettitudine di intenzione: soltanto Lui. Senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia dei soldi”.

Riconosco la mia fragilità quando faccio memoria di Pastori santi che ho incontrato nel mio cammino: dal Venerabile don Ambrogio Grittani, professore nei miei anni di Liceo, speso totalmente e con passione coinvolgente per gli accattoni i più reietti, al carissimo don Tonino Bello così attento alle periferie dell’umanità da accogliermi con predilezione perché mi trovava nomade tra i Rom.

Mi sono sentito piccolo e commosso in questi giorni incontrandomi con il giovane prete attentissimo nel rispondere, 24 ore su 24, alle emarginazioni della città, o con la signora che aggiunge alle scrupolose premure verso lo sposo gravemente infermo, l’impegno nell’attendere, nei ritagli di tempo, ai bisogni di imprecisati e imprevedibili poveri della Parrocchia.

L’altro giorno nella sosta romana i fratelli Rom mi supplicavano: “Perché non torni a stare con noi!”. Sentivo la mia fragilità nel trincerarmi dietro la motivazione­: “La mia Chiesa non mi lascia più venire”. Anche 40 anni fa la Chiesa non mi lasciava andare ma ne sottolineavo ripetutamente la sua responsabilità pastorale. Credetemi, mi vorrebbero tra loro non per aiuti materiali o economici (me li hanno loro sempre offerti) ma perché diventavo segno di qualcosa o di Qualcuno. Agglomerati di miseria dove senza alcun dubbio è presente la predilezione del Signore, ma è assente una dimora abituale di Chiesa. Grazie al buon Dio che guida i miei passi, non mi viene a mancare dove porre la mano nelle piaghe dell’umanità, ma quell’assenza mi angustia ben sapendo, tutti, che veniamo eletti pastori non tanto per custodire le sicure al pascolo. Se Papa Francesco, torno a dire, invita sempre ad andare nelle periferie è perché sono le vie che Gesù, buon Pastore, frequentava e dove si fa presente. Lo sappiamo tutti, però ben lontani dall’andarci. Al Commissario di Polizia che, abituato a incontrare preti apprezzati sempre tra persone per bene, mi considerava sostenitore-complice di ladri, lo esortavo: “Tu, difensore dell’Ordine pubblico, incontrando un prete tra ‘persone per bene’ avvertilo che è fuori posto”.

Capite la mia reazione quando Pastori assomiglianti all’unico Pastore, vengono considerati eccezionali perché si distinguono dai mercenari che, a dire di Sant’Agostino, pascolano se stessi. Appassionati di Dio, ci credo, ignorano la conseguenza: uguale passione per l’uomo specie se perduto. E non accetto quando mi si vede, per quel poco che riesco, prete singolare solo perché mi fermo accanto a quanti incontro gettati ai margini. Sono tantissimi quelli che lo sono anche più di me senza essere notati, ma ancora tanti quelli che si fanno padroni più che pastori del gregge.

 

Preghiamo per i Pastori tutti perché siano capaci di conoscere il nome delle pecore, specie se perdute, perché la loro vita è preziosa al nostro sguardo come lo è certo all’unico Pastore.

 

E pregate per me perché non desista dall’essere accanto, nei miei limiti, alle pecore deboli che incontro oggi.