Domenica di Pentecoste

 «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio». «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…». 

(Gv 15,26-27; 16,12-15)

 

 

don Marco Pedron Per gli antichi cinquanta era il numero della pienezza di un tempo.

 

Allora la Pentecoste: è giunto a compimento il tempo del Gesù terreno e delle sue apparizioni e si apre un nuovo tempo, il tempo dell’uomo, della Chiesa e dello Spirito. Gesù è morto e gli apostoli sono presi dalla paura. Per loro questo è un momento di crisi forte. Quante volte ci troviamo in questa situazione.

 

Pentecoste per gli apostoli è stato un salto qualitativo, quantico. Dall’esteriorità sono passati all’interiorità. Prima Gesù era fuori: vi avevano vissuto insieme. Ma adesso quel Gesù (Risorto) lo sentivano forte e chiaro, potente e presente. Fu un passaggio che li rovesciò, che li mise in crisi.

 

Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco… (At 2,2-4).

 

Il vento spazza via, purifica, scompiglia e sconvolge, ti libera da paure e dalla dipendenza dagli altri.

 

Il fuoco indica un salto di calore, di passione; ti ha portato dall’essere insipido al bruciare, al trovare senso e passione: se non c’è Spirito, non si va da nessuna parte!

 

L’andare in chiesa: se non avviene un salto di fede rimarrai un semplice esecutore di regole religiose (bambino nella fede). Il salto è che Dio non è un precetto, una formula, ma una persona di cui innamorarsi, che ti prende dentro, che diventa esempio e modello di energia, coraggio, forza, libertà. Questione di Fuoco! Te stesso: se il coraggio della libertà e della decisione non ti portano a trovare la tua missione nella vita, il senso delle tue giornate, magari farai tante cose belle e buone, ma non ciò per cui tu esisti. Ci vuole lo Spirito della libertà che ti porta a seguire solamente la tua unica chiamata.

 

La festa di Pentecoste esprime la verità che Dio abita dentro di noi. Lo Spirito non è un di più, ma qualcosa che noi già siamo. Si immagina una persona spirituale, un monaco che vive quasi fuori dal mondo, solo pregando e che odia tutto ciò che c’è nel mondo. Gesù, che mangiava, bevevo, faceva festa, si divertiva e toccava, non si può dire che non fosse spirituale! Essere spirituali vuol dire vivere facendo emergere ciò che ci abita dentro. E’ un modo di vivere.

 

Madre Teresa aveva occhi per vedere Dio presente in ogni creatura. Francesco vedeva Dio nell’acqua, nel sole, nella luna e perfino nella sorella morte. Gesù che proclamava le beatitudini e diceva beati i poveri, quelli che piangono, quelli che soffrono, non è che avesse valicato la soglia dell’apparenza?

 

Einstein un giorno definì la formula E=mc2. Questa formula stabilisce che la materia è anche luce, spirito. Questa formula scientifica dice ciò che i mistici da sempre hanno vissuto migliaia di anni prima. Quando guardavano non vedevano la materialità, ma la luce, lo spirito che abitava in ogni cosa. Ogni cosa è materia e spirito (luce, energia). Dipende se entri dentro o se rimani nell’apparenza.

 

Tutto è spirito o tutto è materia, e questo dipende solo da come tu guardi le cose. Si tratta di andare oltre le apparenze. Questa cosa Lui la chiamava “regno di Dio”. Gesù vedeva un fiore e vedeva Dio (vedeva la luce, lo spirito del fiore). Vedeva i fatti di cronaca e leggeva la mano di Dio che insegnava. Vedeva i sofferenti, e mentre tutti se ne stavano lontani, Lui li abbracciava, li incontrava, li baciava, li accarezzava e coglieva il loro desiderio e bisogno d’amore. Vedeva i peccatori (“Siete peccatori, avete sbagliato, lontani da Dio!”), Lui andava dentro. Lui sapeva cogliere la luce che li abitava. Fu condannato a morte e mentre noi non proviamo che rabbia verso coloro che lo condannarono, Lui vide la luce che si nascondeva nel profondo delle loro tenebre: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Gesù vedeva lo Spirito, la luce che c’è dentro ad ogni cosa.

 

Ciò che è tremendo della nostra società è l’incapacità di essere spirituale. Materia è il pane della domenica sull’altare. Spirito è quando io vedo in quel pane, il Pane, il Cristo. Materia è quando vedo nel mio collega solo uno che rompe i miei piani. Spirito è quando inizio a vedere uno che soffre, uno che ha un cuore e un’anima. Ciò che cerchi non è materiale; tu cerchi qualcosa che nessuno ti può dare”.

 

Paolo CurtazNon siamo capaci di annunciare il Regno con sufficiente trasparenza, con coerenza minima, con passione necessaria.

 

L’Europa crolla e tutto sembra svanire. Come facciamo a parlare di speranza alla gente che non arriva alla fine del mese? …Non, non ce la possiamo fare. Ecco che lo Spirito ci viene in soccorso. Gesù non dona delle nuove tavole, cambia il modo di vederle, ci cambia il cuore, radicalmente.

 

Tuoni, nubi, fuoco, vento. Terremoto: ci scuote nel profondo. Nube: la nebbia ci costringe a fidarci di qualcuno che ci conduce per non perdere la strada. Fuoco che riscalda i nostri cuori e illumina i nostri passi. Lo Spirito è vento: siamo noi a dover orientare le vele per raccogliere la sua spinta e attraversare il mare della vita! È lui che soffia, nonostante tutto. Quando le nostre parrocchie languono, si clericalizzano, si svuotano, ci spinge a uscire nelle strade del nostro quartiere a dire Dio.

 

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Parola e vita – Io vi manderò dal Padre il Paràclito, lo Spirito della verità… Egli vi guiderà a tutta la verità”. E ogni domenica ripetiamo bene a memoria: “Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita”. Ho l’impressione, però, da contestatore impenitente, che inconsciamente veniamo abituati a scambiare come Professione di Fede la professione di dottrina della nostra fede cattolica. Credere nello Spirito, come credere in Gesù, non è una formula da recitare, ma una persona di cui innamorarsi, che ti prende dentro, è credere a una presenza viva che coinvolge e trasforma la vita. Fuori dalla pastorale catechetica, spero che non persista una catechesi come prima del Concilio quando la Parola, sempre in latino, era ignorata e si andava alla …dottrina! Dicevamo così da bimbi quando dal campanile venivamo sollecitati ad andare alla ‘dottrina’. Si imparavano a memoria le risposte del Catechismo, quando forse sarebbe stato meglio imparare a memoria il Vangelo. Voglio credere che ora, prima di insegnare la dottrina, sempre necessaria, ci si preoccupi del come la Parola, Pane di Vita, sia stata recepita la domenica, indispensabile alimento settimanale più che precetto, e come eventualmente sia stata vissuta in concreto nella vita. Se proviamo a chiederlo, forse gran parte risponderebbe, come alcuni discepoli di Efeso: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo» (At 19,2) vivo, presente sul serio in me. La preparazione ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana veniva vissuta come Dottrina da apprendere, e capitava, persino, che venivano ammessi alla Prima Comunione e anche alla Cresima quelli che avevano partecipato al Corso anche senza una vera iniziazione alla vita in Cristo o nello Spirito. O Cristo lo sperimento in noi, oppure sarà soltanto una nozione, sia pure divina, che, appreso fuori della vita, viene lasciato fuori come tanti altri personaggi conosciuti a scuola.

 

Con insistenza domenica scorsa ho invitato a vivere intensamente la preparazione alla Pentecoste con preghiera semplice e umile, collaborando all’azione dello Spirito che c’è e opera in noi, e verificare momenti in cui, inevitabilmente, si è reso presente anche se non sempre percepito. Molto avanzato negli anni, mi è facile scorgere in me le innumerevoli presenze concrete, specie nei momenti clou in cui mi sentivo interrogato su scelte con capovolgimento radicale della mia vita (…e mi crebbe la barba! affermo scherzando). Mi illuminava la Parola: “È Dio infatti che suscita in noi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni”. Comprendevo allora che il volere e l’operare, che in preghiera e umile ascolto avvertivo, era già manifestazione della volontà del Signore. Nel discernimento venivo poi aiutato dalle Guide poste dal Signore sul mio cammino. E senza paure mi è capitato di vivere situazioni anche difficili. In questa luce ho continuato a rispondere tutte le volte che mi è stato chiesto a uscir fuori da quanto stavo vivendo, e a farmi nomade non solo tra i Nomadi. In chi mi osservava davo a credere che non sapessi stare mai fermo in ricerca di poveri per tutto il mondo.

 

A voi che pazientemente mi ascoltate continuo a ripetere che parlo della Parola nella mia vita, per testimoniare, come Maria, le “grandi cose che il Signore ha fatto in me, e Santo è il Suo Nome” (Lc 1,48). Necessita fidarsi e lasciarLo fare.