Edifichiamo Comunità Responsabili: la Lettera pastorale del Vescovo online

Le formelle marmoree del Campanile di Giotto della Cattedrale di Firenze rappresentano le arti ed i mestieri dell’umanità; quella scelta dal Vescovo Claudio per la copertina della Lettera pastorale raffigura l’arte dell’edificare. Il messaggio di questo rife­rimento artistico fiorentino richiama il contenuto della lettera pastorale per un impegno tutto castellanetano.

Da cinque anni Lei è Vescovo di Castellaneta: quali sono stati i sentimenti che l’hanno spinta a scrivere questa lettera pastorale?
Sicuramente sentimenti di gioia e di gratitudine. Dopo cinque anni molto ricchi, ho sentito la necessità di fissare alcuni punti, per non dimenticare le sensazioni scaturite da incontri, convegni, celebrazioni, per far sì che facciano la storia della nostra comunità e possano essere anche riferimento per il cammino futuro.

Nei convegni ecclesiali diocesani, all’inizio di ogni anno pastorale – e ora nella lettera pastorale – Lei definisce le parrocchie un cantiere aperto. Come è possibile, a suo avviso, sradicare completamente il criterio pastorale del “si è sempre fatto così” evidenziato da Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium?
Come può questo superamento divenire operativo nella concreta vita delle nostre parrocchie?
Intanto proprio l’immagine del cantiere aperto mi aiuta a dire che non possiamo vivere dicendo “si è sempre fatto così” perchè un cantiere aperto allude a qualcosa in movimento, a qualcosa che è stato fatto, ma anche al tanto che ancora c’è da fare e quindi senza poter dire che “abbiamo concluso”.
Il cristiano non può vivere di rendita, ma deve conti­nua­re a camminare sapendo di poter contare sul bagaglio che il Signore gli offre attraverso la ricchezza dei doni del suo Spirito per affrontare le sfide che il mondo che cambia propone.
L’immagine del cantiere aiuta, quindi, a crescere nella consapevolezza che esiste un progetto, che ci sono gli strumenti e che tutti devono rimboccarsi le maniche per fare la propria parte; nessuno è spettatore nei piani di Dio.

Lei scrive che una comunità si forma attorno ai sacramenti e, in modo particolare evidenzia che “la celebrazione eucaristica domenicale plasma la comunità cristiana”. Il dato reale della bassa percentuale di partecipazione alla messa domenicale e alla vita sacramentale fa pensare. Come è possibile aiutare le comunità a riscoprire la centralità della messa domenicale?
Il dato a cui si fa riferimento è significativo, ci deve scuotere. Sapere che la celebrazione dell’Eucaristia, culmine di tutta la vita sacramentale, vita del Risorto che noi siamo chiamati a condividere, vive dei momenti di sofferenza riguardo alla partecipazione, signi­fica che è calata la consapevolezza del popolo di Dio dell’importanza e della centralità di questo momento.
Siamo allora tutti chiamati a non vivere la celebrazione eucaristica come una stanca e scontata abitudine, ma al contrario, a riscoprirne ogni Domenica la novità che viene dalla presenza del Signore e, quindi, a facilitarne la partecipazione con una cura e una animazione sempre più attenta. Celebrazioni superficiali e sciatte non aiutano la comunità cristiana a vivere la fecondità del momento celebrativo e a sentire l’importanza della fedeltà a questo incontro col Signore.

Parlando di “corresponsabilità” nel secondo capitolo, Lei indica la necessità di un nuovo protagonismo dei battezzati, che comincia con un impegno maggiore nell’amare Cristo e la Chiesa sentita come la propria comunità. L’evangelizzazione non è un’opzione per soli attori qualificati: come è possibile coinvolgere tutti i battezzati in questa storia di salvezza, come renderli tutti protagonisti attivi?
In primo luogo è necessario riscoprire tutti insieme la digni­tà che ci accomuna e ci rende tutti responsabili all’interno della comunità cristiana, cioè il nostro Battesimo.
Questa consapevolezza non deve mai essere data per scontata, non solo durante il percorso d’Iniziazione Cristiana, ma anche oltre, in ogni stagione della vita di ogni fedele.
La corresponsabilità che scaturisce dal Battesimo deve po­ter­si esprimere, cioè bisogna mettere le persone in grado di poter dare il loro contributo all’edificazione delle comunità, attraverso gli strumenti di cui già dispongono le parrocchie, ovvero i Consigli Pastorali Parrocchiali in cui con l’aiuto dello Spirito Santo si esercita proprio il dono del consiglio.
E’ importante inoltre, valorizzare i vari servizi che si svolgono nelle nostre parrocchie togliendoli da quella palude che li fa sembrare espressione di una devozio­ne privata. Al contrario, tutti, dai catechisti, ai lettori e ai mini­stranti, da chi pulisce la Chiesa, a chi l’addobba e la tiene in ordine, devono sentire che questo loro agire è espressione di una corresponsabilità a cui si è chiamati dal Signore.

Quali atteggiamenti comunitari nascono dall’Eucaristia? E quali atteggiamenti possono minare la salute delle nostre comunità?
Sicuramente centrare la vita delle comunità sull’Eucaristia è ribadire che quella è la fonte e il culmi­ne di tutta la sua vita. Lì si gioca l’esistenza e l’identità di una parrocchia poichè celebrando la Pasqua del Signore una comunità prende vita, si rigenera e vede delineati i suoi i tratti identitari esplicitamente cristiani.
Quando non permettiamo al Signore di plasmarci nella cele­brazione, facendo di noi un popolo che vive con uno stile eucaristico fatto di comunione fraterna, animato da uno spirito di servizio vicendevole che si sa prendere cura soprattutto dei poveri e dei sofferenti, dei piccoli e degli oppressi e che scaturisce proprio dalla morte e risurrezione di Gesù, le nostre comunità sono davvero a rischio estinzione, anzi, peggio, a rischio sterilità.

Quali sono i sintomi che affliggono una comunità a rischio di sterilità?
Se la comunità cristiana è chiamata dal Signore ad essere generativa il pericolo più grande da cui si deve guardare è ovviamente quello di essere una comunità sterile ed essere sterili significa permettere che si insinuino nella sua vita dei vizi come, per esempio, il lamentarsi, che non significa essere critici, ma lasciar andare le parole senza far seguire un’azione che possa cambiare le cose.
Un altro vizio è l’invidia che all’interno delle comunità può creare divisioni o congelare i rapporti e renderli infruttuosi; l’ipocrisia, la falsità, il non volersi mettersi in gioco, sono vizi che inquinano la vita della comunità e se non si combattono con preghiera e fedeltà al Vangelo c’è il rischio serio che una comunità si condanni alla sterilità.

Cosa significa essere comunità generativa?
Comunità generativa è un’espressione su cui oggi si sta riflettendo molto, proprio perchè una comunità cristiana plasmata sull’Eucaristia, non può che generare vita nuova.
Questo significa richiamare la comunità alla responsabilità di trasmettere la fede alle generazioni future. Da una parte significa dare la giusta importanza all’Iniziazione Cristiana, ma dall’altra rifarsi al processo generativo che si vive nelle famiglie, che oltre alla procreazione chiede di curare, far crescere, sostenere, ogni stagione della vita di una persona.
E anche in questo processo generativo è coinvolta corresponsabilmente tutta la comunità, senza deleghe a “specialisti”.

Come lievito nella massa: questa è l’immagine che Lei ha scelto per definire la vita della comunità. Occorre togliere via il lievito vecchio per dar vita ad una pasta nuova. Com’è possibile fare questo senza ferire le diverse sensibilità?
Se c’è rispetto umano è più difficile che si feriscano le varie sensibilità e per noi cristiani, il rispetto umano è diretta conseguenza dell’essere discepoli del Signore.
Con questa premessa la comunità cristiana è chiamata a essere lievito in una società ormai lontana dalla fede; e non ci deve spaventare il fatto che spesso siamo “minoranza” perchè, proprio come il lievito, possiamo essere piccola cosa, ma se siamo vivi e desiderosi di portare la vita nuova, inseriti nella pasta della nostra società possiamo farla fermentare.
Le comunità cristiane quindi devono essere comunità vive di quella vita nuova di Gesù che è profondamente umana e per questo, ottimo lievito in una società troppo spesso disumana, che costruisce muri piuttosto che ponti.

Concludendo, quali sono le azione ecclesiali che vanno ri­pen­sate?
Bisogna ripensare sempre tutto il nostro agire ecclesiale e prima delle cose che facciamo, dobbiamo verificare lo spiri­to con cui le facciamo, la passione e l’entusiasmo con cui viviamo la Chiesa ed edifichiamo la nostra comunità.
E’ questo che ci chiede con insistenza paterna Papa France­sco: ripensare il modo di vivere la comunità con lo sguardo centrato sul Signore, perchè solo da Lui scaturiscono le vere priorità per il cammino.

 

Intervista a cura di Rosa Miola

 

Il testo della lettera pastorale del Vescovo Claudio è disponibile nella versione sfogliabile cliccando qui