IV Domenica di Pasqua

 Carissimi, 

accanto ai Beati Pastorelli ai quali la Madonna testimonia d’aver compreso la lezione di Betlemme che destava meraviglia con l’annunzio della salvezza proprio ai pastori, ritenuti i più peccatori da condannare, ho preferito (dopo una rapida sintesi di don Marco) soffermarmi particolarmente sul Messaggio del Papa per la Domenica delle Vocazioni. Papa Francesco è ben consapevole che per avere l’«odore delle pecore» è indispensabile amarle e vivere con loro, altrimenti …puzzano!. Me ne intendo avendo avuto pecore e mucche ai tempi della Comunità d’accoglienza. Condividendo la vita con i Rom, tra preti nomadi ci si compiaceva pensando che oramai eravamo impiastricciati del loro lezzo per aspirare a qualche considerazione. E ne sono gioioso. Da Fatima, in comunione anche di preghiera. 

Don Vincenzo

 

Gv 10,11-18: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore… Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me… E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore».

 

Don Marco Pedron – I Il pastore: 1. Offre la vita per le pecore: le pecore sono la sua vita. Cioè: è la cosa più cara che ha ed è disposto a tutto per loro. 2. Le conosce, le chiama per nome. Lui sa il nome delle sue pecore, sa chi sono, sa di che cosa hanno bisogno, sa chi è più forte e sa chi è più debole; sa cosa può fare una e cosa può fare l’altra. 3. Gli appartengono: lui non le abbandona perché sono tutta la sua ricchezza. La parola partner vuol dire appartenere. Noi abbiamo bisogno di essere di qualcuno, di appartenere. Appartenere vuol dire che siamo cari, legati, a qualcuno.

Cosa sono queste pecore?

1. Le mie pecore è ciò che io ho dentro di me. Io sono il pastore; il recinto è la mia vita e dentro ci sono le mie pecore, che sono le mie emozioni, le mie paure, i miei bisogni.

2. Le “pecore” sono fuori di me. Allora “le pecore” sono persone, in carne ed ossa. Guidare le persone è molto difficile: per molti guidare è dirigere, cioè far fare agli altri ciò che voglio io.

Per me guidare le persone è fare esercizio di umiltà: sono qui per te, non per me.

 

Messaggio del Papa per la 52.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.

“La vocazione è un “esodo” da sé verso Dio e i poveri”

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni richiama l’importanza di pregare perché: «il Signore della messe…mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gesù esprime questo comando nel contesto di un invio missionario: …li invia a due a due per la missione (Lc 10,1-16). In effetti, se la Chiesa «è per sua natura missionaria» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2), la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione. Significa permettere che lo Spirito Santo ci introduca in questo dinamismo missionario, suscitando in noi il desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per la causa del Regno di Dio. Questo è possibile solo se siamo capaci di uscire da noi stessi.

In questa 52ª G M di Preghiera per le Vocazioni, vorrei riflettere proprio su quel particolare “esodo” la nostra risposta alla vocazione che Dio ci dona. Il libro dell’Esodo rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare alla vita nuova in Cristo avviene in noi per mezzo della fede (Ef 4,22-24). È un vero e proprio “esodo”: credere vuol dire lasciare sé stessi, per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra. Non è un disprezzo della propria vita, al contrario, trova la vita in abbondanza: “riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). “Innesca un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio” (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6). La vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli.

Questa dinamica dell’esodo riguarda l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”. Incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e com-patire per le loro ferite. La Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.

Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra. Radicata nella contemplazione del cuore del Padre, spinge all’impegno solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri.

Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di gioia e di significato. Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci. Il Vangelo è la Parola che libera, trasforma e rende più bella la nostra vita.

La Vergine Maria non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat”. Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri (cfr Lc 1,39).

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Parola e Vita – “La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”, non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite”. La Missione – sottolinea il Messaggio pontificio – richiede esodo, lasciar tutto per il Tutto-Dio. La sicurezza del ritorno: “riceverà cento volte tanto” è conseguenza e non aspirazione. Ne ho avuto prova a dismisura quando in me la chiamata del Signore, non per l’emozione del momento, mi chiedeva un impegno concreto.

Perdonate la mia insistenza. Generalmente preghiamo per la conversione dei peccatori ritenendo gli altri bisognosi di conversione mentre peccatori (a dire di San Paolo 1Tim1,15) i primi siamo noi che, pur conoscendo la volontà del Padre, non la viviamo. Come l’opzione preferenziale per i poveri – notavo domenica scorsa – anche la Missionarietà come nota fondante della Chiesa facilmente viene posta tra le tesi da esserne certi ma ben lontani dal viverla. Le volta che avvertivo la chiamata all’esodo ho sempre trovato la mia Chiesa preoccupata di se stessa, incapace di com-patire le esigenze degli altri. Capivo la preoccupazione nel lasciarmi andare dagli Zingari, scomodi e importuni sconosciuti, ma in Brasile con una Chiesa che accoglievamo come gemella! Quando per vero miracolo dello Spirito ho avvertito la chiamata dell’esodo, con insistenza per ben quattro anni ho invocato di lasciarmi andare dagli Zingari. E, una volta mandato, mi sentivo solo, di non essere stato inviato dalla Chiesa che anzi mi faceva osservare che: per lasciarmi stare tra gli Zingari, altri dovevano lavorare di più! Non veniva avvertita la chiamata privilegiata della Chiesa, più che della mia persona, per una fascia di umanità abitualmente tenuta fuori a chiedere l’elemosina. Pietro e Giovanni con lo storpio si erano comportati ben diversamente (At 3,6).

Non meno difficile fu quando si ripresentò la chiamata all’esodo accanto alla Chiesa povera del Brasile: una diocesi grande quando mezza Puglia con un presbiterio con non più di 8-9 preti! Solo un secondo miracolo ha permesso che un servizio, strappato per l’insistenza di un Anno sabbatico, si protraesse per quindici anni. Agli sfiduciati parrocchiani di Santana che, al termine dell’Anno sabbatico temevano d’essere lasciati senza pastore, ripetevo con sicurezza: “Se è da Dio la mia permanenza tra voi, statene certi che vincete voi! In Italia mi aspettano, qui invece pregate”. Nella mia storia ci sono voluti due miracoli. Ma quando il miracolo di una Chiesa che avverta l’esodo come dono dello Spirito che riempie la vita di gioia e di significato?. Chiesa missionaria non vuole certo dire: Zingari, Brasile… Quanto tempo diamo a quanti vicinissimi fuori della cerchia, battezzati ma lontani? Fosse almeno l’1% del nostro tempo! Non li cerchiamo, non sentiamo che ci appartengono: il pastore vero non le abbandona perché sono tutta la sua ricchezza. Papa Francesco, intervistato, manifestava la sofferenza di non poter andare liberamente in un Bar per un caffé tra la gente. Quando in Brasile riuscii a mettere su un campo di calcetto, a chi mi  complimentava per aver realizzato la cosa più bella per Santana, rispondevo che, fossi arrivato per questo, partivo immediatamente: avevo sbagliato tutto. Ma  è vero anche che permetteva di sedermi accanto a tantissimi uomini e giovani che non avrei mai avvicinato. L’altra settimana, tra poverissime capanne nel bosco, l’autista della dottoressa in visita di controllo, si rallegrava nell’incontrare da vicino per la prima volta un prete, e a me dava la gioia di benedirlo. Immaginate la meraviglia e soddisfazione nel Bar vedere il parroco sedersi attorno a un tavolo per bere un caffé insieme a tanti che non l’avrebbero mai cercato! Il Brasile, gli Zingari li abbiamo a un palmo di cuore, ma non sappiamo aprirlo.

Per lasciarmi andare dai Rom il Vescovo attese l’arrivo, non facile, di un sacerdote disposto a sostituirmi come cappellano in ospedale. Passarono alcuni anni, ma alla fine venne un Padre gesuita. Per il Brasile… chiedevo al Signore che mi lasciasse vivere per 200 anni indispensabili per la crescita missionaria della mia Chiesa! Nell’ufficio giustamente in attesa, con sacrificio comprensibile, di chi da sempre torna a ripresentare la sua lotta, quando un cartello che avvisi l’assenza del parroco per incontrare chi non lo cerca.

Uniamoci nella preghiera per una concreta conversione alla missionarietà.