Presentazione del Signore

 PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Carissimi, questa settimana sono privato della riflessione di don Marco, mentre aggiungo quella di Francesco Lambiasi. Sono spunti che mi offrono possibilità concrete di ascolto e di esame sui miei comportamenti. In Santana rinnovo la mia identità pastorale di parroco emerito che non può più essermi tolto e ne vado orgoglioso perché mi permette di essere accolto nel Regno senza alcun mio merito: e (=senza) merito. Con cordiale e fraterno abbraccio. Don Vincenzo

Luca 2,22-40: Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo: «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele». E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione e a te stessa una spada trafiggerà l’anima, affinché i pensieri di molti cuori siano svelati».
padre Ermes Ronchi: Dono che salda le fratture tra l’uomo e Dio. Portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Le braccia di Simeone sollevano verso l’alto il figlio di Dio e il primogenito del mondo. Offrono l’agnello offerto da Dio. Simeone sapeva che non sarebbe morto senza prima aver visto il Messia. Io non moriró prima di aver visto il Signore. Lo Spirito seminerà occhi nuovi che sappiano vedere la luce che sorge. E la luce potrà giungere anche alla fine, come per Simeone, quando sembra che il tempo sia già scaduto. Io lo vedrò, se sarò come Maria e Giuseppe che sono aperti alla profezia e accolgono l’imprevisto. Dio si manifesta sempre in questi due modi, sempre alternando luce e ombra, annunci e dubbi, miracolo e quotidiano, profezia di gioia e di spada. Il Vangelo mostra due anziani che sanno aspettare.

Ma quale salvezza Simeone ha visto in realtà? Ha colto l’essenziale: la salvezza è una persona, luce incarnata di Dio, un Dio da sempre in cerca dell’uomo. 
La salvezza per me è diventare Simeone; come lui prendere Gesù fra le mie braccia, vedere in lui ciò che altri non vedono. Allora anch’io non morirò senza aver prima goduto la luce del suo volto.

Paolo Curtaz: Il vecchio Simeone é abituato a frequentare il tempio, ne ha viste di tutti i colori fra gli uomini di religione e i pii devoti. Ha visto il tempio crescere con l’orgoglio di un popolo e di una rinata classe sacerdotale, giorno dopo giorno, purtroppo, diventata arroganza di chi vuole manipolare Dio. Ora è deluso e stanco.

E se Se il Messia venisse non come tutti se lo aspettavano, ma nella banalità del quotidiano, figlio fra i figli, povero fra i poveri? Sente lo Spirito spalancargli la mente e il cuore. Vede ciò che gli altri non vedono: la luce che illumina la Storia.

In attesa della luce: Simeone è il simbolo dell’uomo che aspetta perché la vita è cammino, la vita è attesa. Attesa di luce, di salvezza, di un qualche senso che sbrogli la matassa delle nostre inquietudini e dei nostri “perché”. Simeone insegna a perseverare, ad affidarsi, a capire che la vita vera è oltre, è diversa dai risultati che riusciamo a conseguire, dai sogni che riusciamo a realizzare. Simeone vede l’atteso: ora ha capito, ora può andare. L’importante è avere un cuore spalancato, mettersi in ascolto e attendere, anche tutta la vita se necessario. 
Certo: duro è perseverare nell’attesa, eppure è una scommessa ardita che tutti siamo invitati a compiere perché la nostra intera vita diventi attesa di una risposta soddisfacente che – infine – colmi i cuori.

Simeone ha visto la luce: la luce già c’era, lui la vede, lui se ne accorge. La fede è un accorgersi perché – lo so è un paradosso – davanti al sole possiamo ostinatamente tenere gli occhi chiusi e dire: il sole non esiste. 
A Maria Simeone profetizza sofferenza. Ha creduto nella follia di Dio. Si trova ora, per la prima volta, davanti alla misura della sua scelta: la misura dell’amore. Maria sa che accogliere Dio le costerà fatica, e tanta. Sa che ormai la sua vita è e resterà diversa. Eppure crede, vi aderisce, vi acconsente. Perché amare può voler dire, in certe occasioni, patire. Sia lei, oggi, a insegnarci a vivere l’amore fino alla fine, a imparare a donare tutto di noi, per tramutare l’amore in dono.

Oggi preghiamo per avere quella luce, per lasciare che il Signore vinca ogni nostra resistenza. E affidiamo al Signore i fratelli e le sorelle che hanno consacrato al Signore la loro vita e che oggi ricordano quell’affidamento.

Francesco Lambiasi  Il segreto della gioia. Non sono delle creature umane che presentano un bambino a Dio, ma è Dio che presenta il suo Bambino agli uomini: “introduce il Primogenito nel mondo” (Eb 1,6). “Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, la Chiesa, ha rilevato, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (Marialis Cultus). È questa dimensione oblativa che dobbiamo cogliere come messaggio della festa odierna. La spiritualità dell’offerta richiede innanzitutto un no deciso, senza ritorni e senza rimpianti, alla voglia di avere sempre di più. Si corre affannosamente alla ricerca di un gradino sempre più in alto della scala sociale, e ci si ritrova a vivere un’esistenza piatta e spenta. Siamo una società in declino. Abitiamo dove tramonta il sole “occidente”. Viviamo nella “terra del tramonto” sazia e sempre più annoiata, gaudente e disperata. L’unica possibilità di salvezza è smettere di far resistenza al vangelo; la vita è bella già al-di-qua, se però è “cristiana”, condotta con “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Non è vero che la gioia si compra col denaro. Non è vero che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più perché mi distacca dalla frenesia e dall’ingordigia: è l’ingordigia che sciupa le cose e le guasta. Non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di possedere e di usare l’altro.

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In ascolto: Chiamati e consacrati per donarci. Anche noi un giorno venimmo presentati e consacrati al Signore il giorno del Battesimo. Offerta di una vita donataci: dono che si fa dono. Nella recita quotidiana del Rosario mi soffermo volentieri al 4º mistero Gaudioso della festa di questa domenica, e al 4º mistero della Luce, la ‘Trasfigurazione di Gesù’. Con affetto e insistenza filiale imploro Maria, la dolce Mamma postasi accanto ancor più con il repentino decesso della mamma terrena, di accompagnare anche me a fare della vita una oblazione al Signore nel servizio attento e gratuito ai fratelli, lasciandomi trasfigurare con gli stessi sentimenti del Cristo ‘il quale svuotò se stesso, prendendo forma di servo’ (Fil 2,5). Svuotarsi lo si avverte come indispensabile per una vita non soffocata in se stessa, o,  senz’altro, sterile. Un santo maestro di vita afferma con sicurezza che il peccato più grave sta nel vivere in funzione di se: tutto gira attorno al proprio io. E mi accorgo che quando più percepiamo d’esserne privi, più ne siamo schiavi in forme più nascoste e insidiose. ‘Chi mi libererà da questo corpo di morte? – dovremmo gridare con San Paolo – Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. (Rom 7:24-25).  E domenica scorsa San Paolo, osservando le facili divisioni nella comunità attorno a un lider che, invece di liberare, ne prendeva incosciamento possesso, esortava: ‘non abbiate divisioni tra di voi, ma siate perfettamente uniti nel medesimo modo di pensare e di sentire…  Ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io, di Apollo»; «io, di Cefa»; «io, di Cristo». Paolo è stato forse crocifisso per voi? (1 Cor 1,10-13).

Don Lambiasi annota saggiamente che non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, a condizione, però, che sia sradicata la voglia malsana di possedere e di usare l’altro o la comunità.

Sto vivendo in Santana, con la comunità che è nata e cresciuta nei primi anni con me, un momento molto bello e importante con il nuovo parroco: ‘State attenti ­’ li esorto – a non identificare mai la comunità con il parroco. Il Pastore unico e vero é Cristo. Il parroco lo rappresenta solo per un momento poi ne viene un altro e, ancora un altro… É passato. Vai avanti e non fermare l’acqua che corre: imputridisce! Poveri noi se ci attardiamo. Né don Vincenzo, né chi lo sostituisce è stato crocifisso per voi. Radicatevi in Cristo che oggi si fa presente in chi vi viene inviato. Fate sì che la comunità resti arricchita dal servizio precedente, limitato che sia, pronta ad andare avanti pregando affinché il nuovo pastore, rivestito di carne e fragilità umana, costruisca sul fondamento che è Cristo’. Santamente il parroco mio successore in Santana aveva come motto: ‘Con lo sguardo fisso in Cristo’  e la Lettera agli Ebrei specifica: ‘Colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio’ (Eb 12,2).

Chiedo venia se quello che vado dicendo in questi giorni lo ripeto a voi, impegnati tutti come pastori con ruoli e servizi tanto differenti, nella costuzione di un mondo più umano-divino. ‘Convertitevi!’ è l’esortazione di Cristo perché il Regno dei cieli (= pace, giustizia, comunione, servizio…) si realizzi.

Un fraterno abbraccio chiedendovi di pregare per me talvolta in situazioni umane particolari.