XI Domenica del Tempo Ordinario

 

Dopo le Domeniche che ci hanno immersi in Misteri dell’Amore di Dio, ogni domenica più sorprendente dell’altra, eccoci di ritorno al Tempo Liturgico Ordinario. Torno a visitarvi settimanalmente, spero senza troppo incomodo, per una esigenza di vita: il poco tempo che ho ancora da vivere tra i mortali non so viverlo rinchiuso nella mia vecchiaia, ma, finché mi è possibile, cerco di donare con il mio tempo la luce che mi viene offerta dalla Parola della domenica. Accettatemi! Non fatemi sentire fuori del vostro ‘quarto’. Vi abbraccio sempre con affetto fraterno. 

Don Vincenzo

 

Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Mc 4,26-34

 

padre Ermes Ronchi – Nel cuore di tutti il seme di Dio. Ge­sù non fa ragionamen­ti, apre il libro della vita; rac­conta Dio con la freschezza di un germoglio di grano, spiega l’infinito attraverso il minuscolo seme di senape. Vangelo e vita camminano nella stessa direzione, che è il fiorire del­la vita in tutte le sue forme. Il nostro compito è portarle a matu­razione. Siamo un pugno di terra in cui Dio ha deposto i suoi germi vitali. Che tu dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Dio ma­tura.

La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granel­lo di senape, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albe­ro che ne nascerà. Noi non sal­veremo il mondo. Ma, assi­cura Gesù, un altro è il no­stro compito: gli uccelli ver­ranno e vi faranno il nido. Al­l’ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto. Un piccolo seme, ma nella sua realtà nascosta quel granel­lo è un piccolo vulcano di vi­ta, pronto a esplodere, se ap­pena il sole e l’acqua e la ter­ra… Mentre il nemico semina morte, noi, contadini del Re­gno dei cieli, seminiamo buon grano: semi di pace, giustizia, coraggio, fiducia. Qui è tutta la nostra fiducia: Dio stesso è all’opera in seno al­la terra, in alto silenzio e con piccole cose.

 

don Marco Pedron – Non tutto dipende da te. Quel seminatore è Gesù! Il seme è uguale per tutti.

I terreni sono i presupposti, le resistenze, delle persone. Sei disposto a fare ciò che si deve fare, a cambiare ciò che si deve cambiare? Sei disposto a perdere ciò che c’è da perdere? “. La prima regola della crescita è: “Può avvenire in me la crescita. Che cosa la impedisce”. La parabola mette in luce due aspetti: ci vuole tempo. Non si può tirare un fiore per allungarlo perché lo strappi: ci vuole il tempo che ci vuole. E spesso sembra non accadere proprio nulla, tant’è vero che, a volte, ci si scoraggia.

La seconda legge: tu puoi fare tanto ma non tutto. Tu puoi fare la tua parte, ma non quella degli altri.

Ci sono cose che non dipendono da te… quindi non angustiarti. “Ho fatto tutto ciò che potevo; non posso fare ciò che tocca a voi” e vai a dormire in pace e in serenità. Tutto ciò che riguarda Dio ha due caratteristiche: all’inizio è piccolo e non è per niente appariscente. Ma se tu gli dai spazio, se tu guardi alla potenza che ti abita (Dio), allora tu puoi infestare il mondo di amore, di pace, di luce, di profondità, di vita.

 

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Parola e vita

 

Padre Ermes parlando della sproporzione tra il granel­lo di senape e il grande albe­ro che ne nascerà, notava: Noi non sal­veremo il mondo. Ma, assi­cura Gesù, un altro è il no­stro compito: al­l’ombra del tuo albero, dei fratelli troveranno riposo e conforto.

Immediatamente sono riandato alla pagina di Alessandro Pronzato in “Pane per la Domenica”(ciclo A p.194)), che tanti anni fa, all’inizio del sogno brasiliano, mi sedusse e la proposi ad altri. Torno volentieri su quella pagina, quasi sintetizzando, perché torni ad affascinarne tanti. Africa, Brasile, Italia… offrono a tutti la possibilità del miracolo di fra Emmanuele… Dio con noi!

“Quel pomeriggio avevo strappato fra’ Emmanuele per qualche ora al suo reparto d’ospedale. Lui mi rimorchiava verso la strada di Agbetico. Decine di bambini stavano sguazzando in una grossa pozzanghera. Appena ci scorsero, saltarono sulla sabbia rossa, sgocciolanti, e vennero ad asciugarsi, strusciando come gatti, contro i nostri abiti bianchi. L’amico mi fece notare: – Vedi, la tragedia dell’Africa sta tutta qui. Quest’acqua sta­gnante serve per farci il bagno, per lavare panni e stoviglie e anche per bere quando non c’è di meglio a portata di bocca. Un vero disa­stro. La maggior parte delle malattie infettive trovano qui la loro logica spiegazione… Capisci, lavoriamo tutto il giorno, sovente anche di notte. Praticamente non abbiamo orari. Però, qualche volta, ci attanaglia la sensazione di lottare contro qualcosa di immensamente più gran­de di noi. Non so spiegarmi. Ma la nostra ha tutta l’aria di una battaglia contro l’impossibile. E, nei momenti neri, una voce mali­gna all’interno della nostra stanchezza, dei nostri nervi a pezzi, ci sussurra che è una lotta perduta in partenza …

Dietro di noi si era formato l’immancabile corteo di bambini: nudi, vocianti, il ventre orribilmente gonfio, sulla pelle i lividi, le stimmate di mali antichi come la miseria.

– Senti quei colpi di tosse? Capisci il nostro dramma, la nostra angoscia? Cosa sono trenta o quaranta in confronto a decine di migliaia?

A un tratto gli sfuggì un’osservazione quasi disperata: – Una goccia d’acqua in un deserto bruciato … Ecco cos’è la nostra presenza, qui. Mi domando se vale la pena di continuare.

La sera andai a cercarlo. Non lo trovai subito. Pensavo di trovarlo sdraiato sotto il grande mango del cortile, a rimuginare pensieri amari. Invece era occupato. Lo intravvidi attraverso una tenda dell’ambulatorio, la testa appoggiata ad auscultare un torace nerissimo e la grossa mano che sembrava accarezzare quei capelli crespi, rigidi come fìli di ferro. – Dai un colpo di tosse … Respira forte … Ancora un colpo di tosse …

Io tenevo il dito su una frase: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi… » (Mt 14,15). Fuori c’era una lunga fìla che aspettava. Mi veniva da dire: «È ormai tardi. Congedali … » Invece udii la sua voce dal timbro imperioso: – Avanti un altro! E la fìla si mosse di un passo.

Ho chiuso il Vangelo. E sono rimasto a contemplare la scena, per non so quanto tempo.

Era fra’ Emmanule che mi illustrava quella pagina di Matteo 14,13-21. Gesù mi dava torto: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,16). E anche fra’ Emmanuele mi dava torto: – Avanti un altro! E la fìla, con un sussulto, avanzava di un passo. E lui, a brevi intervalli, continuava a ripetere: Avanti un altro!

Grazie, fra’ Emmanuele, in un ospedale del Togo, mi hai di­mostrato l’attualità del miracolo. Eri tu il ragazzino dei cinque pani e dei due pesci. Eri tu che mettevi a disposizione di quella folla nera e del Cristo il poco che avevi. Un «poco» che però era tutto quello che possedevi.

Grazie, fra’ Emmanuele, perché continui, ti ostini a combattere e a vincere una battaglia perduta in partenza. In realtà, ciò che hai perduto è semplicemente la tua vita! (Mt 10,39).

Grazie per la goccia che regali a un deserto bruciato da troppi egoismi, da troppe pigrizie e indifferenze.

– Avanti un altro! – vien voglia di ripetere. Avanti tanti altri «pazzi» come fra’ Emmanuele che non si limitano alle chiacchiere e alle polemiche ma accettano, sulla propria pelle, …la sfida dell’impossibile. Finché ci saranno in circolazione pazzi come te, il miracolo sarà sempre all’ordine del giorno”.