XVI Domenica del Tempo Ordinario

 Carissimi, 

se c’è posto nel tuo alloggio estivo, mi basta un angolino della tua stanza, riesco a stare seduto, grazie agli ‘Zingari’ anche a terra con gambe a cavalcioni. Se riesci, non lasciarmi all’afa di Palagiano. 

 

Cordialmente. 

 

Don Vincenzo

 

Mc 6,30-34 

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. 34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

padre Ermes Ronchi – Gesù mostra tenerezza. Per lui prima di tut­to viene la persona; non i risultati ottenuti ma vuole loro bene e li vuole felici. Scrive sant’Ambrogio: «Se vuoi fare bene tutte le tue co­se, ogni tanto smetti di far­le», cioè riposati. Un sano at­to di umiltà, nella consape­volezza che non siamo noi a salvare il mondo. Fare tutto ciò che sta in te, e poi lasciar fa­re tutto a Dio. Stare con Ge­sù, per imparare da lui il cuo­re di Dio. Ritornare poi nel­la folla, portando con sé un santuario di bellezza che so­lo Dio può accendere. Ma sceso dalla barca vide u­na grande folla ed ebbe compassione di loro, provare do­lore per il dolore dell’altro.

 

don Marco Pedron – Tempo per sé, tempo per riposarsi. Gli apostoli ritornano. Tornano da Gesù innanzitutto per verificarsi. E’ importante amare, ma ciò che io chiamo “amore” è proprio amore o è altro?” Amo perché non riesco a star solo?. E’ importante vivere: “Ma io sono davvero felice? O vivo per compiacere gli altri? O vivo una vita che non è mia per paura di cambiare, di mettermi in gioco, di rischiare. Si torna da Gesù perché la nostra strada sia ancorata nella verità, in Dio, così da poter vedere cosa ha funzionato e cosa c’è da cambiare.

E cosa fa Gesù? Nella sua infinita saggezza non dice: “Andate ancora; visto che avete avuto successo, ritornate”, ma: “Adesso ci fermiamo e riposiamo”. Non lasciarsi prendere dall’attivismo, dal credere che senza di noi il mondo non andrà avanti. Il rischio, allora, come gli apostoli, è quello di disperdersi, di non avere più tempo per sé, tempo per pregare, per mangiare e per ricaricarsi.

Spesso Gesù scappava, si sottraeva a tutti e andava in luoghi solitari. Sapeva che doveva ricentrarsi pregando il Padre.

Quando avevo la 500 (aveva già 20 quando la comprai) il meccanico mi diceva: “Non più di 50 km. Poi una sosta”. Così, dovevo fare un paio di soste altrimenti fondeva. Fondersi, distruggersi per gli altri non ha niente di eroico. Io ho bisogno di staccare, di ricaricare le pile perché quando le pile sono scariche poi si buttano via e non servono più a nessuno. Ho bisogno di dire: “Sono in sovrastress e ho bisogno di “natura”, di silenzio o di tempo per me”.

 

Pensiero della Settimana: La vita è tua: decidi tu come viverla.

 

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Parola e Vita – “Un po’ di relax. Potersi riunire attorno al Maestro in persona e fare revisione di vita con Lui. Raccontargli tutto ciò che si è fatto e sentirsi al centro della Sua attenzione. “Venite in disparte con me”. Il Maestro che di solito insegnava, ora tace e ascolta… “Ricentrate il vostro obiettivo sull’unico necessario perché il vostro operato sia efficace” (Wilma Chasseur).   

Del bisogno di staccare per non fondersi ne siamo convinti tutti, ma: “la messe è molta e gli operai sono pochi” (Mt 9,37) può porci in uno zelo esagerato se non continuiamo ad ascoltare Gesù con ben altre indicazioni: “Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!(38).

Ricordo anche con ammirazione il fratello prete che, da pastore sempre vigile, non si allontanava mai dal suo gregge. Raramente partecipava agli incontri del Presbiterio per non lasciare privo dei santi sacramenti un eventuale moribondo, e nessuno, meglio di lui conoscendo tutti singolarmente, poteva farlo. Assicurava che non mancava di trascorrere le ferie estive ponendosi il mattino all’ombra della chiesa, e il pomeriggio dall’altro lato. A suo modo, certamente eroico, si sentiva divorato dallo zelo della casa del Signore (Sl 118,139).

Ascoltiamo volentieri, allora, Gesù che in questa domenica ci invita: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». A me manca il dono della contemplazione senza misura di tempo, e cerco di dare più silenzio e ascolto ai miei abituali momenti di preghiera. Dai monaci camaldolesi imparo a pregare lentamente, in ascolto delle parole prese frequentemente dalla Parola. Avendo tempo e necessita di camminare, inizio dal primo mattino a pormi in compagnia di Maria nel contemplare i misteri della vita di Gesù come Lei li ha vissuti, riferendoli alla mia vita e al mio servizio, arrivando a sera agli ultimi Misteri della Gloria accanto al suo trono materno. Il pomeriggio riesco, per non più di qualche breve istante, a pormi davanti alla Parola da celebrare nell’Eucaristia, in totale silenzio esterno e interno come davanti al Sole, mi lascio impregnare di calore e luce. Non so fare altrimenti, ma li avverto come pormi in disparte, in un luogo deserto per stare con Ge­sù e imparare da lui il cuo­re di Dio (Ronchi).

Nel seguito della giornata: “Ecco che il Maestro, dopo aver ascoltato i suoi discepoli (e aver sperato -invano- di trovare un luogo solitario) si rimette a fare il Maestro e ad insegnare alle folle. Preso da compassione! È il tratto più ricorrente e finalizzante degli atteggiamenti di Gesù: la compassione! Preso da compassione, guariva gli ammalati, moltiplicava i pani e i pesci, cacciava gli spiriti immondi ecc. E noi, discepoli moderni dell’Unico Maestro, ci lasciamo ancora prendere da compassione?” (Wilma Chasseur). Nei Vangeli la compassione, patire-con, è unicamente di Gesù e del Buon Samaritano (Lc 10,33) che passando accanto all’uomo lasciato mezzo morto dai briganti, lo vide, n’ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi… dieci azioni, dieci leggi proprie della compassione di Dio. Ho sperimentato e testimoniato[1] che sono riuscito a vedere con ammirazione fiori meravigliosi tra il letame, solo quando al buon Dio è piaciuto toccarmi dalla cecità congenita. Domenica scorsa abbiamo cantato all’Alleluia: «Il Padre di Nostro Signore Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore», e con meraviglia mi son reso conto che il cuore ha occhi(!). Tante volte, purtroppo, abbiamo le cataratte talmente abbassate da non accorgerci, o facendo conto di non accorgerci, passandogli accanto, del povero cristo lasciato mezzo morto. La mia grande amica, pronta a portarsi dentro al Discount la bimba che fuori chiede l’elemosina, per lasciarla prendere cosa desiderasse, mi racconta dell’amica, devotissima e grande appassionata del Cristo, ma insofferente dell’africano che, fuori del negozio, aiuta a sostenere le borse sperando qualche spicciolo. Una volta fuori insieme, rivolge al giovane la domanda: “Fratello, per favore, come ti chiami?”. E immediata la risposta, concordata da sempre: “Mi chiamo Gesù!”. E lei all’amica: “Vedi come la tua devozione al Cristo è incompleta!”.

«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Alla sua Luce, bisturi radioattivo potentissimo, le cataratte vengono strappate… ma ad alto costo se vogliamo che non ritornino.

 

 

[1] Vincenzo De Florio «Mi basta che tu mi vuoi bene» Ed. Paoline. Pag. 42