XXIX Domenica T.O.

 

 

Carissimi, 

ancora una volta Gesù ci chiama in disparte e cerca di farci comprendere la necessità di vivere la vita per servire e dare la propria vita offrendoci il suo esempio. In preghiera lasciamoci convertire nel nostro agire concreto. Fraternamente.  

 

don Vincenzo

 

Dal Vangelo secondo Marco (10,35-45)

 

35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»…. 41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». 

 

padre Ermes Ronchi – Creati per essere serviti da Dio. «…Non sapete quello che chiedete», quale mondo sbagliato generate con questa vo­lontà di potenza! E spalan­ca l’alternativa cristiana: I grandi della terra domi­nano e opprimono gli altri. Tra voi però non è così! Gesù prende le radi­ci del potere e le capo­volge: “Chi vuole diventare grande…”: Gesù non condanna questo desiderio, anzi lui stesso promette una grandezza. “Sia il servitore di tutti”. Ser­vizio: il nome esigente del­l’amore, il nome di Dio: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo».

Dio non è il Re dei re, è il ser­vo di tutti. Non tiene il mon­do ai suoi piedi, è inginoc­chiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, cin­ge un asciugamano, si in­china davanti a te, e i tuoi piedi sono fra le sue mani. E si inchina non da­vanti ai potenti del mondo, ma davanti all’ultimo.

Il pa­drone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo no, sostiene. Il credente non ha nessun padrone, eppure è servo di ogni uomo, co­me grandezza d’animo, co­me prodigio di coraggio.

don Marco Pedron:  Liberi di vivere. Gesù aveva annunciato la sua passione e morte, e per la ter­za volta deve ridire la cosa: “Guardate che non è come voi pensate; guardate che quelli là forse me la fa­ranno pagare per ciò che dico, per ciò che faccio, per la libertà che io porto…”.

Sentite l’ambizione di Giacomo e Giovanni: “Noi vogliamo che tu ci faccia”. Comandano a Gesù! Loro non chiedono: loro vogliono, esigono, pretendono. Quando uno è preso dai suoi problemi non ti può e non sa ascoltare. Sono degli illusi: sono convinti che Gesù vada a Gerusalemme per governare, coman­dare, dirigere. E quando Gesù gli dice: “Potete bere il calice”, potete seguire il mio destino e la mia mis­sione, questi poveri illusi gli dicono: “Sì, certo! lo possiamo”. Illusi! Gli altri dieci si sdegnarono perché anche loro volevano stare alla destra e alla sinistra di Gesù.

Allora Gesù deve chiamarli a sé e di nuovo parlargli. Non li rimprovera, ma li porta al senso profondo delle cose: “Chi vuol essere grande sia servitore e chi primo, ultimo”. ‘Servitore=diakonos’ è colui che vo­lontariamente serve a tavola. Per amore, per passione, per la gioia che ha dentro.

‘Ultimo=dulos’ era lo schiavo: sopra di lui non c’era nessuno. Metterci all’ultimo posto. Se tu sei ultimo allora tutti hanno valore, tutti sono importanti, tutti meritano rispetto, amore, attenzione, onore.

Poi Gesù chiude con questa frase: “Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito ma per ser­vire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Mette la sua vita a servizio per liberarci. Questo è l’amo­re.

Don Alessandro Pronzato – Non è dunque vero che Gesù cammina sempre davanti. Qualche vol­ta i discepoli arrivano a precederlo. Per una volta Gesù è costretto a richiamarli (richiamarci) indietro, più in basso. Il compito del discepolo: trovarsi al posto giu­sto, nel momento giusto. Né ritardi, né fughe in avanti. E se oggi Cristo «sprofonda» nell’angoscia mortale, il discepolo deve accontentarsi di seguirlo. La nostra ossessione è quella di « arrivare ». Gesù, invece, ci chiede, semplicemente, di accompagnarlo.

Dobbiamo convincerci che c’è da fidarsi di ciò che ci chiederà il Signore, più che di quello che possiamo pretendere noi da lui. La sua richiesta è molto più vantaggiosa delle nostre domande. Intende cambiare mentalità, convertire la « libidine del potere» in gioia di scomparire e servire, sradicare completamente l’istinto del dominio dell’uomo su un altro uomo. Gesù non esita a offrire se stesso quale ideale cui rife­rirsi. E questo, ripetiamo, non come comando, ma come dono, offerto dalla croce. È significativo che i tre annunci della passione si chiudano con il verbo servire. Ciò esclude un’interpretazione doloristica del­l’itinerario del Cristo. «La strada della croce non è “soffrire” ma è, prima di tutto, “servire” » (J. De­lorme). Il «dare la vita» rappresenta dunque il punto più alto, l’a­spetto essenziale raggiunto dal servizio del Cristo in favore degli uomini. La grandezza sta nel dono di sé. E questo non ha limiti.

Paolo Curtaz – Servi inutili. Non hanno capito molto, gli apostoli. Gesù li aveva rassicurati: lascia­re tutto per il Regno significa trovare cose nuove. Certo, i discepoli hanno lasciato tutto. In teoria. Il Re­gno dei cieli è concepito come un regno politico ed immediato. Non un infervorato giovane scivola così pesantemente, ma due discepoli che hanno appena sentito il terzo annuncio della Passione. Peggio: gli altri dieci se la prenderanno con loro per avere per primi preso l’iniziativa! Gesù è sconcertato, nuova­mente. Sa che il suo Regno è servizio, sa che questa sua posizione gli costerà del sangue e questi parlano di privilegi e di cariche.

Guardare al nostro modo di essere Chiesa. Ho visto persone straordinarie, consapevoli dei propri limiti, consumare la propria vita nell’annuncio del Vangelo. Ma ho anche visto (e sento dentro di me), la tenta­zione dell’applauso e della gloria. Ho visto (e sento dentro di me) catechisti offendersi per un richiamo, educatori stancarsi al primo soffio di vento.

È naturale che ci sia il desiderio di emergere. È da discepoli fare come lui, mettersi a servizio del Regno.

 

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Parola e Vita. Ancora una volta aveva appena assicurato che, lasciando tutto avrebbero trovato il centuplo, insieme a persecuzioni (Mc 10,30) e Gesù, prendendoli in disparte, cerca di illuminarli su cosa si andava incontro a Gerusalemme. Loro, però, sempre chiusi nella loro ambizione, e la ricerca del primo posto genera lotta. Gesù non condanna il desiderio di primeggiare, anzi lui stesso promette una grandezza, ma rovesciando la mentalità: convertire la «libidine del potere» in gioia di scomparire e servire, sradican­do completamente l’istinto del dominio dell’uomo su un altro uomo.

Ci viene ribadita, come nella 25ª Domenica scorsa, la necessità impellente del servizio per seguire real­mente il Maestro, tanto è scontata la nostra fragilità nel viverlo concretamente. Quando mi pongo in pre­ghiera implorando un vero atteggiamento di servizio mi balza immediatamente l’enorme differenza dell’atteggiamento dei servi visti in casa fin da bambino, pronti ogni giorno a fare quello che mio padre ordinava loro. Mai un atteggiamento che indicasse qualche preferenza di lavoro diverso!

E con quanta commozione il Giovedì Santo ci inginocchiamo per lavare i piedi dei nostri discepoli imma­ginando d’imitare il Maestro che indicava, invece, non tanto di ripetere quel gesto ma il suo vero signifi­cato: “Chi vuol essere grande sia servitore e chi primo, ultimo”, mai da padroni con il dominio sugli altri.

Sperimento, invece, l’atteggiamento delle nostre comunità disponibili per costume consolidato ai voleri del Parroco. Quando cercavo di coinvolgere nelle scelte: “Non quello che vuole il Parroco-signore, ma cosa richiede la Comunità da servire con illuminato discernimento”, richiamavo alla mente l’insistenza che rivolgo agli sposi celebrando il Matrimonio: “Muore l’IO! e sorge il NOI!”. Da Parroco-servo scorgi la scelta utile agli altri e vivi l’amore, la passione, e la gioia che hai dentro, al dire di don Tonino Bello, la vivi come “servi inutili, a tempo pieno”: “Se il nostro dono è ‘part-time’ diventiamo ‘funzionari’ che osservano un orario di lavoro. Ma noi siamo preti a tempo pieno. L’as­sillo del Regno di Dio ci deve tenere in forma, in pienezza, giorno, notte, vespro, mattina, sera. Siamo sa­cerdoti per sempre…. Del Regno di Dio siamo responsabili tutti a tempo pieno. Questo significa vivere ‘completamente’ il ministero, come un papà, innamorato di sua moglie e dei suoi figli, fa tutto quello che fa per la sua famiglia… Il mondo è la vigna del Signore, dove egli ci manda tutti a lavorare. A qualsiasi ora del giorno. Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, possa diffondere attorno a te il buon pro­fumo di Cristo. Che ti lasci scavare l’anima dalle lacrime della gente. Che ti impegni a vivere la vita co­me un dono e non come un peso.

Ricordati che l’assiduità liturgica nel tempio non ti riscatterà dalla latitanza missionaria sulla strada… Non fate riduzioni sui sogni. Non praticate sconti sull’utopia. Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: ” Ma cosa si cela negli occhi co­sì pieni di stupore di costoro?”

 

(don Tonino Bello)