XXVIII Domenica del TO

 Carissimi,

ho appena terminato il mio tour d’amicizia e con nostalgia sono tornato per l’abituale cammino mattutino a ‘seminare Ave Maria’ lungo il Secchia dove nel febbraio 1978, accampato col mio Ford Transit  tra le povere tende zingare, uno stupendo modenese venne a portarci legna in quantità dopo una abbondante nevicata. Al solito mi racconto per testimoniare che quanto avvenuto in me vivendo in periferia (l’ho gridato in «Mi basta che tu mi vuoi bene») è opera dello Spirito.

Vi abbraccio cordialmente.

Don Vincenzo

 

Mt 22,1-14 «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale… Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Pe. Ermes Ronchi – Al Signore sta a cuore la nostra gioia. Tre immagini: La sala della festa rimane vuota e triste. Fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo. Le strade: esprimere la precisa volontà che nessuno sia escluso. Dio quando è rifiutato, anziché abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Noi non siamo chiamati perché siamo buoni, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita bella e felice da parte di Dio. L’abito nuziale quella del Battesimo: il sacerdote ha detto: «Bambino mio adesso rivestiti di Cristo!». Il nostro abito è Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi sentimenti.

La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che ci serve. È il Dio cui sta a cuore la gioia

 

Don Marco Pedron – Se sei libero… La parabola di oggi è un’allegoria potente. Gesù è stato rifiutato da quelli che già “avevano Dio”, il loro Dio e la loro immagine di Dio, così radicata e fissa che non sono riusciti a cambiarla. Allora Gesù si è rivolto ad altri: pubblicani, lontani, donne, eretici, senza-Dio, e loro lo hanno accolto. Matteo spiega i motivi del rifiuto dell’invito. Ognuno ha i suoi buoni motivi, ma in realtà sono solo giustificazioni. C’è sempre una buona, ottima, giustificazione per rifiutare il messaggio di Dio. Il vangelo è ciò che Dio fa per te. Dio vuole amarti, perdonarti, starti accanto, essere la tua forza, non farti sentire solo, darti sostegno, farti felice: ma perché rifiutarlo?

Gesù parla di Dio, di suo Padre, come di un padre misericordioso che non gliene importa niente di ciò che suo figlio fa e anche se rovina la sua vita, i suoi beni, lui lo attende e lo ama. Ma noi non vogliamo questo Dio. Noi vogliamo che Dio sia “cattivo”, che premi, che punisca, che sia da conquistare con le buone opere. Perché siamo orgogliosi, cioè, non vogliamo farci amare. Quando si è piccoli a volte si impara che l’amore si conquista. Ma l’amore, invece, non si conquista: l’amore è gratuito, l’amore è un dono.

Accettare il vangelo e l’amore di Dio è lasciare che lui ci ami anche nelle nostre schifezze, nei nostri sbagli. Solamente quando non è meritato si può sapere cos’è l’amore.

L’ordine del re è chiaro: “Chiamate cattivi e buoni” (Mt 22,10). Io amo tutti.

Un anziano mi ha raccontato che un giorno, da giovane, scoprì il nascondiglio dove i suoi genitori tenevano i soldi. Ce n’erano molti; lui li prese e li spese tutti. Quando i suoi genitori lo scoprirono s’arrabbiarono molto e pensò che avrebbe giustamente ricevuto una punizione esemplare. Suo padre lo chiamò e gli disse: “Hai fatto una cosa che non dovevi fare. Non farla più. E ricordati, che sei sempre nostro figlio”. E lui dice: “In quel giorno imparai cos’è l’amore: ricevere qualcosa che non si merita ma che fa così bene al cuore”. E dice ancora: “I miei genitori persero i soldi ma guadagnarono un figlio”.

Abbiamo un’idea di Dio sbagliata. Noi chiesa abbiamo trasmesso quest’idea, ma nel vangelo Dio viene per il nostro bene. E se vuole qualcosa, vuole solo il meglio per noi. Quando il re visita e guarda chi c’è al pranzo, ne vede uno senza l’abito nuziale e lo caccia fuori. È nient’altro che il giudizio finale di Dio alla fine dei tempi. Chi non avrà vissuto secondo il vangelo (abito=fare; l’abito definisce chi uno è) non potrà entrare nel gran banchetto di Dio. Questo racconto descrive cosa ci succede quando viviamo rifiutando i suoi inviti. L’indegnità (=il non avere la veste bianca) è data dal rifiutare l’invito.

Nel 1928 Fleming stava svolgendo delle ricerche sul virus dell’influenza. Si assenta per tre giorni dal suo laboratorio e si dimentica di buttare via le provette che stava studiando. Al ritorno, prende in mano la piastra e vi trova qualcosa di strano: c’era una muffa e dove c’era la muffa le colonie non erano cresciute. Casualità? No, inviti della vita. In quella muffa c’era qualcosa che non faceva crescere i microbi. Così nacque la penicillina. Nacque perché ad un invito, ad un messaggio, Fleming fu attento.

Ogni vita è la conseguenza delle proprie scelte. Il messaggio per noi: solo chi è libero segue il Signore. La differenza fra quelli che accettano l’invito e quelli che rifiutano: quelli che rifiutano hanno già “le loro cose, quindi non c’è spazio per altro. Quelli che accettano, invece, sono gente povera, nulla tenente.

E’ qui la differenza: quando tu hai già “qualcosa”, per accettare l’invito devi lasciare ciò che hai. Se tu, invece, non hai nulla, sei libero: non hai nulla da lasciare. Solo chi è libero segue il Signore.

 

Paolo Curtaz – Chiamati alla festa. “Agnostici, coloro che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede” (Papa Benedetto durante la messa conclusiva della visita al suo paese natale).

E la liturgia continua sulla linea della contrapposizione fra chi accoglie e chi no, fra chi vive una vita di facciata, Oggi si parla di nozze, finalmente. Gesù dice che incontrare Dio è la più bella festa cui una persona possa partecipare. Una bella festa nuziale riuscita, ecco cos’è l’incontro con Dio.

Non un dovere noioso. Non un obbligo. Non una penitenza per meritarci il Paradiso. Ma come abbiamo ridotto la fede, noi cristiani? Cattolici troppo devoti continuano a relegare la fede nelle attività doverose ma noiose, da fare il meno possibile. Abbiamo di meglio da fare, oggi, del lasciarci amare da Dio!. Anche noi corriamo il rischio di abituarci alla festa, di cadere nella routine della fede. Non rifiutiamo la felicità.

 

*  *  *  *  *

 

Parola e vita. “Gesù dice che incontrare Dio è la più bella festa cui una persona possa partecipare”

e la moltitudine di gente pressava Gesù da ogni lato per incontrarlo e ascoltarlo… Cinquemila uomini, senza contare donne e bambini (Mt 14,21). Viene subito da osservare l’oggi: se dalle nostre chiese escludiamo donne e bambini, si fa il vuoto. La scorsa domenica si diceva che possiamo attribuire la colpa all’esterno (consumismo, cultura individualista, demoralizzazione, ecc.). E se, invece, ci fosse un motivo interno?

Da tempo ripeto che abbiamo svuotato la festa del Banchetto dell’Agnello preparato dal Padre con grasse vivande per tutti i popoli; un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati  (Is 25,6) per farne un Precetto, valido, …fino a poco tempo fa, da dopo la Parola, dall’Offertorio in poi. Pagata la tassa di fede settimanale, possibilmente frequentando la Messa quella più corta, meglio senza Omelia, e ci si sentiva a posto, cristiano praticante. Gesù in Gv 6 non parla di precetto, ma di necessità per vivere: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita». Oggi, magari, la Liturgia è meglio organizzata e partecipata, ma può succedere che ci occupiamo e preoccupiamo molto di più del Rito che sia ben solenne e correttamente celebrato, mentre Dio ci ha invitati al Banchetto del Figlio a essere addirittura suoi commensali.

Già altre volte parlavo di genitori di fede solida con vita evangelica esemplare, ma che trovano difficoltà con i propri figli nel recarsi a Messa: giovani che la domenica preferiscono alimentarsi in attività che riscontrano più nutrienti per la loro crescita umana e spirituale più che in un rito che avvertono freddo senza nutrimento.

Digiuni di Parola, privi di alimento, si è camminato sostenendosi con dottrina e riti. Almeno nel proclamare il Vangelo fossimo attenti nel sottolineare che tutto quanto “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli…” Gesù lo sta dicendo a noi ora con tanta passione e amore come nella Sinagoga di Nazareth: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). La stessa proclamazione spesso è sciatta. Tutta una accurata preparazione nell’affidare il Ministero straordinario dell’Eucaristia, e nessuna (anzi!), per il Ministero della Parola.

Fa ancora pena notare la non partecipazione alla Comunione di tanti perché non confessati. Peccatori si entra (e lo siamo sempre) e non perdonati, nella morte, si esce. La Chiesa da sempre ha insegnato la necessità, per fare la Comunione, d’essere in grazia di Dio, in comunione, cioè, sincera con Dio e in vera comunione con i fratelli. Si vuole invece che si sia confessati almeno da …un mese, mentre la Chiesa chiede di confessarsi (faccio per provocare) almeno …una volta all’anno tanto il sacramento della Confessione è portatrice di grazia particolarissima nella lotta contro il peccato e ci offre il perdono della comunità che abbiamo ferita con il peccato. Esortiamo a confessarsi spesso spiegando l’importanza del Sacramento da non farne una vuota preparazione alla Comunione. E ugualmente sollecitiamo tutti, salvo impedimenti particolari, ad ascoltare l’invito di Gesù: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo offerto per tutti in remissione dei peccati”.

Si può e si deve uscire tutti dal Banchetto di Nozze preparato dal Re per il suo Figlio sazi e colmi di festa.

Si tornerà volentieri la domenica successiva avvertendone il bisogno dopo una settimana di stanchezza se non proprio di fracasso.