XXX Domenica T.O.

 

 

Dal Vangelo secondo Marco (10,46-5)

Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla. Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

 

Alessandro Pronzato: Nascere di nuovo. Il cieco ha deciso di nascere di nuovo. Per questo grida. In fondo, è lui che fornisce coraggio a coloro che lo avvicinano per confortarlo. Gesù ama Bartimeo, perché lui non esita a gridare a pieni polmoni ciò che gli altri si limitano a bisbigliare con circospezione: Messia. Non teme di compromettersi, di esagerare. La folla si accontenta di far festa, accorre incuriosita. Si agita ma non si muove, non si decide. Sono atteggiamenti sterili, che non producono frutti, come il fico, che verrà perciò maledetto. Bartimeo, invece, viene fuori, esce allo scoperto. 

 

Pe. Ermes Ronchi – Il tempo della divina compassione. Un mendicante cieco: l’ultimo della fila, seduto lungo la strada come chi si è fermato e si è arreso. E improvvisamente passa Gesù, uno che non per­mette all’uomo di arrender­si. Perché il peggio che ci pos­sa capitare è di innamorar­ci della nostra cecità. La folla fa muro e lo sgrida, perché i poveri disturbano, sempre: sono il la­to doloroso della vita, ciò che temiamo di più. Ma è proprio sulla povertà dell’uomo ciò su cui si posa sempre il primo sguardo di Gesù, non sulla moralità di una persona, ma sul suo do­lore: «Coraggio, alzati, ti chiama». La fede è qualcosa che moltiplica la vi­ta: «Sono venuto perché ab­biate la vita, quella piena». Guarisce come uo­mo, l’ultimo, comincia a risco­prirsi uno come gli altri per­ché chiamato con amore. 

 

«Balza in piedi» e lascia ogni sostegno, per precipitarsi, senza vedere, verso quella vo­ce che lo chiama, orientan­dosi solo sulla parola di Cri­sto, che ancora vibra nell’a­ria. Come lui, ogni cristiano si orienta nella vita senza vede­re, solo sull’eco della parola di Dio ascoltata con fiducia: nel vangelo, nella coscienza, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. 

 

Don Marco Pedron – Liberi di servire. Per tre volte gli apostoli rifiutano Gesù e non lo vogliono vedere per quello che è. I ciechi che il vangelo racconta sono proprio loro: continuano a vedere quello che vogliono che Gesù sia. Ad un certo punto esce il figlio di Timeo, in greco timeo significa onore. Gli apostoli avevano chiesto un attimo prima: Onori! “Sedere alla destra e alla sinistra” (Mc 10,37). Vivere bramando, cercando onori è un vivere alla cieca, da inconsapevoli. Tu non percepisci il tuo valore (sei figlio di Dio!) ma il tuo valore è dettato da chi ti apprezza, da chi ti riconosce.

Il cieco è un mendicante che siede “lungo la strada”. Nella parabola (Mc 4,4) quelli “lungo la strada sono quelli che ascoltano la parola ma poi viene satana e porta via la parola”. Allora: tu puoi essere, come gli apostoli, sempre insieme a Gesù, puoi andare a messa tutti i giorni, ma se dentro sei ambizioso, allora sei come la strada. Tu il vangelo lo ascolti ma non ti entra.

Gesù dice: “Chiamatelo!”. E cosa fa il cieco? Getta via il mantello. Allora: gettando via il mantello, il cieco getta via ciò che era prima. E il cieco adesso non lo chiama più figlio di “Davide” ma “rabbunì”. Era un modo per riconoscere Dio. Il cieco adesso non vede più il Messia Davidico ma il messia Figlio di Dio. E non gli chiede più di avere pietà di Lui ma: “Che io riabbia la vista”. Il suo miracolo è quello di accettare che Gesù non è come quello che gli hanno insegnato al catechismo, come quello che Lui credeva (Messia davidico). Ecco il miracolo: 1. Ha dovuto incontrarlo di persona. 2. Ha dovuto perdere le sue certezze (credenze). 3. Ha dovuto accettare di essere cieco, cioè inconsapevole. 4. Ha dovuto accettare che toccava a Lui cambiare.

“E subito prese a seguirlo per la strada” (Mc 10,52). Gli altri accompagnano Gesù solo lui lo segue.

Molte persone vengono in chiesa e pregano ma non provano nulla. Molte persone si definiscono cristiane ma il vangelo non cambia minimamente. Sarà anche un Dio ma non è il Dio del vangelo che vuole la guarigione, la conversione e il coinvolgimento personale.

 

Paolo Curtaz – Alzati! Gesù sta per salire a Gerusalemme. Meno di trenta chilometri lo separano dalla sua morte. Ma i discepoli, ancora domenica scorsa, sembrano proprio non capire. Il racconto della guarigione del cieco è una folgorante metafora del cammino del discepolo.

Silenzio! Bartimeo viene cortesemente invitato a tacere. Dagli amici del bar, da quelli che, senza avere cercato, impediscono agli altri di partire. Ma anche dai credenti che pongono paletti e limiti. Invece Bartimeo grida, urla. Urla la propria angoscia ma per liberarsene. Getta il mantello, Bartimeo. L’unico vestito del povero. Fa ciò che il giovane ricco non è stato capace di fare. Ha intuito, ha capto, ma prima deve liberarsi. Spesso gridiamo il nostro dolore a Dio ma non siamo disposti a fidarci di lui, a corrergli intorno, a liberarci del mantello.

Cosa vuoi che ti faccia? Il Signore, oggi e sempre, ci chiede cosa vogliamo da lui. Chiediamone una sola: la luce. Ora, illuminati, come Bartimeo, possiamo diventare discepoli. Ora sa dove andare, ora si mette a seguire Gesù. Lo segue lungo la strada.

 

Wilma Chasseur – “Mendicanti di luce”. …Quindi il cieco non è stato solo guarito; ma salvato grazie alla sua fede. La fede fa camminare l’anima, anzi le fa fare passi da gigante: quanta strada ha fatto l’anima di Bartimeo! Grazie alla sua fede ha ottenuto addirittura la guarigione del corpo! E quanta strada farebbe la nostra anima se avessimo più fede: giungerebbe fino al cuore di Dio: E varcherebbe la soglia dell’impossibile!

 

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Parola e Vita: “Come Bartimeo, anch’io ancora ‘cieco’, fui accompagnato al Signore da un popolo incontrato alla periferia della mia ‘Gerico’. Quello che avvenne in me nel 1973, quando alla periferia della parrocchia si accamparono famiglie Rom Korakanè (=mussulmani), lo trascrivo dalla mia testimonianza in: «Mi basta che tu mi vuoi bene» (1).

“Capitava a me, con gli occhi ancora acceca­ti da una sorta di innato razzismo, imbattendomi in donne malmesse, pronte a mettercela tutta per attirare compassione mostrando la sofferenza dei loro mocciosi che si appiccicavano ai fianchi finché non ti arrendevi, che, non potendo proprio passare al marciapiede op­posto, cercassi di evitarle mostrando un volto rigido e distaccato. Il loro modo di chiede­re turbava, certamente, il mio … portafoglio, più che il mio cuore! Ero incapace di vedere in ogni uomo, spe­cie se piccolo, un fratello. Al massimo avvertivo tanta gioia quando cantavo: «Ogni uomo è mio fratello. Non importa se è bianco, se è giallo, oppure nero … », e am­miravo entusiasta i bei poster del Terzo Mondo, dove potevo idealizzare il fratello fino a sentirmi intenerire il cuore vedendolo lacero e povero. C’è voluto un vero miracolo, e ne rendo infinite grazie al Signore, perché mi venissero aperti gli occhi, e anche in uno Zingaro riuscissi a scorgere il volto sorprendente di un Fratello. Confondevo un problema umano, non facile, quale è l’incontro di culture diverse, con un superficiale e in­teressato problema economico: dovevo SÌ o NO dare le cento lire a una donna in ottima salute, a un bambino ingiustamente «sfruttato» dai suoi genitori, senza ave­re la possibilità di verificare se ci fosse un vero bisogno? Ed ero talmente cieco da non accorgermi che persino i grossi e lunghi orecchini d’oro della donna, o il dentino d’oro del bambino, mi lanciavano un messaggio: il loro chiedere, come del resto tutta la loro vita, era qualcosa di ben diverso da quanto immaginavo! Il manghel (ele­mosinare) fa parte di un loro comportamento secolare: credono alla bontà della gente disposta a condividere il proprio pane quotidiano, anche se non sempre pa­cificamente, con chi si fida, giorno dopo giorno, del provvisorio. Da buon cristiano avrei dovuto persino fabbricarmelo un povero cui fare l’elemosina, strumen­to capace di farci perdonare molti peccati a dire della Bibbia: «L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l’elemosina godranno lunga vita» (Tb 12,9). Come nel premiato film Il santo bevitore, di Ermanno Olmi, avrei dovuto essere grato al povero che mi offre la possibilità di spezzare con lui il pane che a me è dato sempre e in abbondanza, e riceve­re in cambio un pane più energetico e vivace…. 

 

 

(1) Vincenzo De Florio «Mi basta che tu mi vuoi bene – il mio viaggio con i Rom» ed. Paoline – pagina 42

 

Carissimi, siamo invitati a ‘nascere di nuovo’ e gridare: “Rabbunì, che io veda!”. In questa settimana sono a Roma per il Pellegrinaggio dei GITANI che terminerà lunedì 26 con l’incontro con il Papa. 

 

Don Vincenzo