Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per il Giubileo dei Catechisti

Carissimi fratelli e sorelle,

ci ritroviamo ancora una volta insieme, da “pellegrini di speranza”, incamminati con gioia verso la Casa del Padre, come ci ha ricordato il salmista (Sal 121), per vivere questo Giubileo dei Catechisti e il mandato diocesano per tutti i nostri catechisti, all’inizio di un nuovo anno.

Questa nostra celebrazione si inserisce nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, che conclude l’Anno Liturgico. Infatti, la prossima Domenica ricominceremo con il tempo dell’Avvento che ci prepara al Natale del Signore.

Oggi la liturgia ci consegna la contemplazione, non semplice ma sempre disarmante, di un Re che regna dall’alto della Croce, attirando tutti a sé con la forza mite della pace e dell’amore.

Desidero anzitutto ringraziare il nostro diacono Paolo Di Benedetto, direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano, insieme alla Commissione diocesana: il loro servizio generoso e competente che svolgono con passione e dedizione, donando senza calcoli la significatività del tempo, è segno di quella “corresponsabilità differenziata” auspicata per una Chiesa che sia realmente sinodale.

Il mio grazie sincero va poi a tutti voi, carissimi catechisti, donne e uomini che nelle comunità parrocchiali vi fate “artigiani della fede”, plasmando cuori e accompagnando vite attraverso la pazienza, l’ascolto, la creatività e la prossimità.

Ed infine – ma non da ultimo – un grazie fraterno al caro don Oronzo Marraffa, Parroco di questa comunità del Cuore Immacolato di Maria, che oggi ci accoglie; così come al caro don Vito Mignozzi, Vicario episcopale per l’Evangelizzazione e per diversi anni Direttore diocesano dell’Ufficio Catechistico e al diacono Filippo D’Elia.

La Parola di Dio, appena proclamata, ci conduce al cuore dell’identità del ministero di ogni catechista.

Davide, unto re, diventa il segno dell’unità del popolo. La sua regalità nasce dall’essere «carne e ossa» del suo popolo (cfr. 2Sam 5). La sua autorità scaturisce dall’appartenenza e non dal potere.

Ancor più, Gesù, sul Golgota, ci mostra una regalità più radicale, perché Lui è il Re che:

  • non domina, ma si consegna;
  • non giudica, ma perdona;
  • non esclude, ma salva.

Il suo trono è una croce fatta da due assi di legno; il suo mantello è simbolo di misericordia; il suo scettro è la compassione.

Il catechista, allora, trova proprio in tutto ciò il suo primo compito: non quello di spiegare Dio (calandolo) dall’alto, ma stare (abitando) dentro la vita (le storie) delle persone, come ha fatto Gesù stesso: ascoltando, accompagnando, sostenendo, aprendo spazi di vita nuova.

La fede, carissimi fratelli e sorelle, cari catechisti, non si trasmette per imposizione dottrinale stando in cattedra, quanto piuttosto si comunica vivendola, con la testimonianza credibile della vita.

L’apostolo Paolo – scrivendo alla comunità dei Colossesi – ci ha ricordato che Dio ci rende «capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12), perché la fede è un dono prima che un impegno.

Papa Francesco, nel Motu Proprio Antiquum Ministerium, con il quale nel 2021 volle istituire il ministero del catechista, ci ha insegnato che la catechesi:

  • è una vocazione e non un volontariato, spesso improvvisato;
  • è un ministero e non un’attività accessoria, complementare di altro;
  • è una missione e non un semplice compito.

Per questo il catechista è dentro la vita della comunità e ne è espressione: non agisce da solo, non parla per sé, non opera per delega. È inviato dalla Chiesa e sostenuto dalla Chiesa stessa.

In un tempo segnato da fratture, da paure e sfiducia, il catechista è chiamato a essere “profeta di speranza”, uomo o donna che:

  • desidera abitare la complessità;
  • sceglie di ascoltare i cuori feriti;
  • custodisce le domande di senso;
  • non rinuncia mai a credere che lo Spirito Santo opera anche dove noi non vediamo.

Il Vangelo di oggi, poi, ci presenta un catechista inatteso: il malfattore pentito.

Lui non fa lezioni di morale, né discorsi elogiativi, ma soprattutto non spiega dottrine. Dice solo: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42).

È la professione di fede più limpida. È la preghiera essenziale di chi ha capito tutto e a cui Gesù risponde con una sorprendente e significativa promessa: «Oggi con me sarai nel Paradiso» (Lc 23,43).

Il catechista è colui che vive dell’oggi di Dio. Non annuncia per un domani migliore, ma perché: “oggi” il Vangelo può trasformare la vita e il Signore può perdonare, ricostruire, generare.

Il catechista è allora il “custode dell’oggi di Dio”: la sentinella che svela la presenza del Risorto nel tempo presente.

Papa Leone XIV, proprio ieri, [in un videomessaggio inviato ai partecipanti al Convegno «Sin identidad no hay educación», presso il Colegio Nuestra Señora del Buen Consejo di Madrid] ricordava che il ruolo dell’educatore (e per similitudine del catechista) è quello di essere «fermento di comunione nelle comunità».

Il fermento, lo sappiamo bene, non si vede, ma ha la forza (possibile!) di trasformare.

Così il catechista: non è un protagonista solitario, ma il lievito che fa crescere la pasta, generando legami e aprendo cammini (cfr. Gal 5,9).

Nel cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, si è affermato che il primo nome della missione oggi è ascolto.

Il catechista è chiamato ad essere, prima di ogni altra cosa, un ascoltatore: ascolta i ragazzi e i genitori, i giovani e gli adulti; ascolta le storie e le ferite; ascolta le periferie del paese e le inquietudini del nostro tempo. Ma soprattutto ascolta lo Spirito Santo.

Il mandato che “oggi” ricevete, allora, non è un incarico organizzativo, ma un dono di corresponsabilità, perché la fede si trasmette insieme.

La comunità – non dimentichiamolo mai – cresce quando nessuno si sente solo e quando ciascuno porta e condivide il suo talento.

Il catechista, per questo, è chiamato ad essere “artigiano della comunione”: uno che costruire ponti e non muri, che educa alla pace, che apre percorsi e non li interrompe bruscamente.

In questa circostanza giubilare, vorrei consegnarvi tre immagini, come un piccolo “vademecum del cuore”, per custodire la grazia del vostro ministero:

  • Siate “porte aperte”.

Molti varcano la soglia della Chiesa con timore, con domande e con non poche fragilità. Spesso siete voi i primi volti che incontrano. Siatene degni: accoglienti come Cristo, che non ha chiuso la porta a nessuno, ma si è sforzato nell’integrare sempre.

  • Siate “fuochi nella notte”.

Il mondo non ha bisogno di fuochi che bruciano e si consumano, ma di fuochi che scaldano, che illuminano, che radunano. La speranza cristiana è calore di vita (autentica e concreta!), non retorica.

  • Siate “sentinelle del mattino”.

Non dovete risolvere tutto, perché non tutto dipende da voi. A voi è affidato il compito di indicare l’aurora. Una Parrocchia, una comunità senza catechisti è una comunità senza alba.

E in tutto questo non dimenticate mai, anzi ricordate: voi non sostituite nessuno.

Non sostituite i genitori, né il parroco, né la liturgia, né la comunità.

Siate sempre parte di un corpo più grande: collaboratori della gioia degli alti.

La vostra missione è:

  • educare alla preghiera;
  • accompagnare nella vita;
  • custodire i piccoli e i fragili;
  • ascoltare i lontani e incoraggiare i vicini;
  • creare ponti tra la Parola e la vita quotidiana, per processi di cura.

Papa Leone XIV ci chiede di fare di ogni nostra comunità “case della pace”: è un mandato che tocca pienamente il cuore di ciascun catechista.

Carissimi,

come vostro Vescovo e Pastore, vi dico con sincerità – sono tre anni e mezzo che camminiamo insieme – la nostra Chiesa sarebbe di certo più povera senza di voi. La nostra comunità (tutta intera!) ha bisogno della vostra fede semplice, della vostra passione, della vostra perseveranza.

Per questo vi esorto ad accogliere, oggi, questo mandato come un dono e, soprattutto, come una “missione di speranza”.

Lasciatevi guidare dallo Spirito.

Siate fedeli, non perfetti.

Siate profeti miti e coraggiosi.

Siate testimoni di Colui che regna dal legno della Croce.

E ricordate: l’unico Re, quello vero, è colui che salva amando fino alla fine (cfr. Gv 13,1).

Amen.

 

+ Sabino Iannuzzi