Saluto caramente tutti voi, iniziando proprio da don Fernando, che questa sera ci ha riuniti intorno all’altare del Signore per condividere con Lui il 50° anniversario della sua ordinazione presbiterale.
Siamo qui per dire insieme il nostro “Grazie” a questo dono di “Grazia” che il Signore ha fatto alla Chiesa attraverso don Fernando, e per il quale dobbiamo continuamente affermare ciò che abbiamo ripetuto al Salmo Responsoriale: «Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita».
A Lui, al Signore che benedice, anche noi dobbiamo rispondere benedicendo, che non è altro che la nostra preghiera di lode, di adorazione e di ringraziamento (Papa Francesco).
Saluto e ringrazio tutti i confratelli presbiteri presenti, il Vicario generale, le due sorelle di don Fernando e gli altri familiari, l’Avv. Fabrizio Quarto, sindaco di Massafra e le altre autorità civili e militari, questa Comunità parrocchiale di Gesù Bambino, le altre comunità parrocchiali di Massafra e quanti per amicizia sono qui.
Nella pagina evangelica abbiamo ascoltato che Gesù si indignò nel vedere i discepoli impedire ai bambini di avvicinarsi a Lui ed esclamò: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14).
Vorrei sottolineare questo aspetto che richiama i bambini, perché una decina di anni fa mi trovavo in San Pietro a Roma per le ordinazioni presbiterali che il Papa di solito presiede in occasione della Giornata Mondiale delle Vocazioni e fui colpito da un’espressione che Papa Francesco, con originalità, aveva pronunciato durante la formula di accettazione della promessa di obbedienza: «Dio porti a compimento l’opera che ha iniziato in te da bambino». Questa espressione “da bambino”, non presente nel Rito ufficiale dell’Ordinazione, mi portò a riflettere e confrontarmi con alcuni che, di teologia della vocazione e dell’Ordine Sacro, ne sapevano più di me.
Quell’aggiunta mi fece comprendere la totale gratuità e unicità del dono della vocazione sacerdotale e, soprattutto, la sua identità; un’identità che è come un seme che cresce e matura. È un marchio indelebile, perché – come ci hanno insegnato al Catechismo – l’Ordine sacro, come il Battesimo e la Confermazione, è un sacramento che imprime il carattere e si riceve una sola volta ed è per sempre.
Questa verità è fondamentale e fa parte dell’identità sacerdotale: è un sigillo, un marchio che distingue i ministri di Dio, come afferma San Paolo scrivendo al discepolo Timoteo: «ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito di grazia» (2Tm 1,9).
Fratelli e sorelle, è Dio che ci sceglie e ci chiama; la nostra è una risposta d’amore alla Sua chiamata. Non dimentichiamo mai il primato di Dio, dove l’amore che Egli offre è unico, individuale e esclusivo per ciascuno di noi. Questo amore è diverso perché ci ha creati unici e a Lui dobbiamo rispondere con il massimo d’amore che possiamo dargli.
Come dobbiamo amarLo? «Con tutto il [tuo] cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37). L’amore che dobbiamo condividere con il prossimo, e per il quale «Dio rimane in noi e l’amore di Lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12), deve essere simile a quello che pretendiamo per noi stessi: «Ama il prossimo come te stesso»; il secondo comandamento non è uguale, è simile al primo.
Se Dio non pretendesse questa risposta d’amore radicale dai Suoi sacerdoti, da chi mai potrebbe pretenderla?
Ho iniziato con questa riflessione perché don Fernando fin da bambino ha intrapreso questo itinerario d’amore, vivendolo come una continua donazione nel servizio: sia nella molteplicità dei ministeri ecclesiali vissuti, che sarebbero lunghi da elencare (uno su tutti Vicario generale dal 2011 al 2019), sia nelle comunità parrocchiali servite (Laterza-Santa Croce, Ginosa-San Martino, Massafra-San Leopoldo, Massafra-Sacro Cuore, Massafra-San Lorenzo ed ora qui), consapevole di quanto l’autore della Lettera agli Ebrei ci ha ricordato in questa eucaristia: «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine» (Eb 2,11).
L’unica origine è quella del Cuore del Buon Pastore, un Cuore che custodisce due tesori: l’amore del Padre e noi. Un amore che non ha confini, che non si stanca e non si arrende mai. Un amore che, amando «fino alla fine» (Gv 13,1), non si impone mai. Questo Cuore, quello di Gesù, è il punto di riferimento per la vita e la spiritualità di don Fernando e noi tutti siamo invitati continuamente a guardarLo per rinnovare la gioia del primo amore: la memoria grata di quel momento in cui il Signore, come a quei bambini del Vangelo «ci prendeva tra le braccia, ci benediceva imponendoci le mani» e ci chiamava a seguirLo, offrendoci la gioia di aver gettato le reti della nostra vita sulla sua Parola (Papa Francesco).
Caro don Fernando, ti ringraziamo per il tuo “sì” al dono della vita unita al Signore, che dura da 50 anni, e soprattutto per i tanti “sì” nascosti che solo il Signore conosce.
Vorrei ricordate a te e a noi tutti l’espressione che il Vescovo pronuncia alla consegna del Pane e del Vino nelle mani del neo-presbitero dicendo: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo».
Sull’altare, per mezzo delle mani del sacerdote, si rinnova l’offerta totale di Cristo per la nostra redenzione e per il nutrimento nel pellegrinaggio terreno verso il cielo, perpetuando il grande mistero dell’incarnazione in una continua e perfetta conformazione a Cristo. Il sacerdote rappresenta e ripresenta: il Cristo che parla, per illuminare e guidare l’uomo alla Verità; il Cristo che santifica, per arricchire l’uomo della grazia dei sacramenti; il Cristo che serve, nell’esperienza della carità.
Tuttavia, sappiamo bene che non basta celebrare, bisogna vivere il mistero che si celebra, diventando noi stessi – per primi – offerta sacrificale con Cristo per il suo Popolo. Siamo invitati a un’oblatività che, attingendo dall’offerta stessa di Cristo, permei tutta la vita.
Siamo in un luogo che ha segnato la tradizione francescana di Massafra, parrocchia in cui don Fernando è stato battezzato e dove la sua cara mamma ha suscitato diverse vocazioni francescane (ieri sera me ne parlava padre Pasquale) e proprio ieri abbiamo ricordato il Serafico Padre nella liturgia, e mi piace concludere, questa mia riflessione, proprio con un pensiero che San Francesco ci ha lasciato nel suo Testamento quando ci dice come dobbiamo guardare ai sacerdoti:
«Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, vorrei ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri» (FFFF 112-113).
Bastano queste semplici parole per comprendere la bellezza di un grande mistero consegnato nella fragilità della vita umana e la necessità di imparare a guardare con speranza all’oltre del dono.
O Bambino Gesù, sommo ed eterno sacerdote,
continua a benedire e custodire
don Fernando nel Tuo Sacro Cuore
e rendi fruttuose le sue fatiche
perché un giorno possa godere
del premio della vita eterna.
Amen!
+ Sabino Iannuzzi