Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Veglia Diocesana di Pentecoste

Cari fratelli e sorelle,

questa sera ci ritroviamo ancora una volta, come un’unica grande famiglia radunata attorno alla Vergine Maria. Come gli apostoli nel giorno di Pentecoste, chiediamo che il fuoco che ha illuminato l’inizio del nostro pellegrinaggio verso questo Santuario diventi fiamma viva nei nostri cuori e accenda in ciascuno di noi il fuoco dell’Amore di Dio.

Desidero fin d’ora ringraziare quanti si sono adoperati perché questa celebrazione fosse possibile: don Domenico Giacovelli, rettore del Santuario; i confratelli sacerdoti della Vicaria di Laterza; don Giovanni Nigro e la Commissione del Giubileo; don Michele Mingolla e tutti coloro che, con umiltà, si sono resi disponibili.

Un saluto particolare ai confratelli presbiteri – a partire dal Vicario generale -, ai diaconi e a tutti voi che avete risposto con l’«eccomi» della fede.

Siamo qui per invocare lo Spirito Santo perché scenda ancora una volta su di noi e ci trasformi in una comunità viva e unita, con «la gioia di vivere e non di sopravvivere» (Francesco, Spes non confundit, 9).

Invocare lo Spirito, lo sappiamo, significa riconoscere che le nostre mani non bastano e che i nostri progetti, pur necessari, restano incompleti.

La Pentecoste, allora, è il giorno in cui lo Spirito dà vita – e vita nuova – alla Chiesa, realizzando l’unità nella diversità: perché, ciò che era diviso viene ricomposto, ciò che era temuto diventa speranza.

Fin dall’inizio, infatti, lo Spirito Santo si manifesta come edificatore di comunità, quale forza di Dio che crea comunione fra persone diverse, unendole nell’unica fede e nell’unico amore di Cristo.

Non è un caso, dunque, che le letture bibliche appena proclamate traccino un meraviglioso itinerario.

Nella prima lettura (Gen 11,1-9) abbiamo rievocato l’episodio della torre di Babele.

È la fotografia di un’umanità che, illudendosi di “toccare il cielo” con mattoni cotti al sole del proprio orgoglio, finisce intrappolata nel fraintendimento.

Verrebbe subito da dire: quanta attualità in questo racconto!

Oggi non costruiamo più torri di pietra, ma alziamo muri di indifferenza, di egoismo, di monologhi mediatici sui social che ci isolano. Eppure lo Spirito, quando viene – perché «il disegno del Signore sussiste per sempre, i progetti del suo cuore sono per tutte le generazioni» (Sal 32) -, fa crollare quelle impalcature, restituisce alle parole la loro armonia, ricompone il dialogo, ridà all’altro un volto, e ci ricorda che l’altezza vera non si conquista con i calcoli umani, ma si riceve come dono di grazia, da accogliere e custodire.

Poi, con Mosé siamo saliti al Sinai (Es 19,3-8.16-20) e abbiamo contemplato il Signore scendere in mezzo a lampi, tuoni e fuoco per incidere su pietra parole di libertà: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti ed una nazione santa» (Es 19,6).

Quel momento solenne preparava ciò che sarebbe avvenuto a Pentecoste. Quel fuoco non rimane in cima al monte, scende per le vie di Gerusalemme, supera le porte chiuse del Cenacolo e, posandosi su teste tremanti, trasforma pescatori impauriti in testimoni ardenti.

La Legge, così, non è più scritta su tavole rigide, ma è scolpita nel cuore; e il deserto non è più solo un luogo geografico, bensì ogni situazione in cui il credente decide di lasciarsi guidare dalla nube luminosa dello Spirito, anziché dalle proprie miopi sicurezze.

Abbiamo poi ascoltato il profeta Ezechiele (Ez 37,1-14) raccontare la visione delle ossa inaridite.

È un’immagine potente: una pianura disseminata di ossa secche, simbolo di un popolo sfiduciato e senza vita.

«Le nostra ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti» (Ez 37,11). Ma Ezechiele, spinto dal Signore, profetizza, ed ecco soffiare lo Spirito di Dio: quelle ossa si ricompongono, si rivestono di carne e tornano a vivere come «un esercito grande, sterminato» (Ez 37,1).

Fratelli e sorelle, questa parola infonde coraggio anche a noi: nessuna situazione è troppo disperata per lo Spirito Santo.

Là dove tutto sembra morto, Egli può far fiorire la vita; dove la comunità è stanca, può riaccendere la speranza.

Per noi, come per quelle ossa, può sbocciare una primavera nuova se invochiamo l’aiuto di Dio.

Con il profeta Gioele (Gl 3,1-5) l’orizzonte si è ulteriormente ampliato, annunciando una promessa per tutti, noi compresi: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo» (Gl 3,1).

Lo Spirito non è riservato a pochi eletti, ma è donato a tutti: «diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni e i vostri giovani avranno visioni» (ibidem).

È l’immagine di una Chiesa aperta a tutti, in cui giovani e anziani, uomini e donne, persone di ogni condizione ricevono lo stesso Spirito e partecipano agli stessi doni.

Questa profezia si realizza pienamente a Pentecoste, quando lo Spirito scende su Maria e gli apostoli, e da loro, si riversa su tutta la comunità dei credenti.

Anche noi siamo parte di questa profezia: siamo quel popolo sul quale Dio continua a effondere il suo Spirito, affinché ogni suo membro – dal più giovane al più anziano – diventi annunciatore della Parola del Signore, testimone credibile di speranza e costruttore di fraternità.

Tutti questi brani dell’Antico Testamento convergono nella realtà nuova del dono dello Spirito che, come Chiesa, siamo esortati ad invocare di continuo, consapevoli della fedeltà di Dio che adempie le sue promesse: «Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra» (cfr. Sal 103).

Difatti, senza lo Spirito la Chiesa sarebbe come un corpo senza anima, incapace di vivere; con lo Spirito, invece, il Corpo di Cristo è vivo e santo, ricco dei doni di Dio e sempre capace di rinnovarsi.

Non a caso un antico padre della Chiesa, sant’Ireneo di Lione, affermava con semplicità: «Dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio è la Chiesa ed ogni grazia. E lo Spirito è la verità» (Contro le eresie, 3,24,1).

In altre parole, Chiesa e Spirito Santo sono inseparabili: lo Spirito abita nella comunità dei credenti e la ricolma di tutte le grazie necessarie.

Per questo San Paolo (Rm 8,22-27) ci ha incoraggiati: «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26) intercedendo per noi, sostenendoci dall’interno.

Siamo quindi figli di Dio e, se figli, anche eredi insieme a Cristo della gloria futura.

È questa la certezza che ci dà speranza nel cammino della vita. È Lui la «speranza che non delude… perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

Carissimi fratelli e sorelle, questa è la speranza che illumina il nostro cammino giubilare: non un ottimismo superficiale e passeggero, ma una certezza fondata sull’amore di Dio, che ci raggiunge attraverso lo Spirito Santo e tiene accesa dentro di noi la fiamma della speranza, come una fiaccola che mai si spegne per dare sostegno e vigore alla nostra vita (cfr. Francesco, Spes non confundit, 3).

Gesù stesso nella pagina del Vangelo ci ha rivolto un invito carico di promessa: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me» (Gv 7,37). E ha aggiunto: «Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (Gv 7,38).

È il chiaro invito ad andare a Lui per dissetarci, perché – non dobbiamo mai dimenticarlo – «senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).

Quanta sete c’è nei nostri cuori!

Una sete di significato, di amore e di pace, che solo Dio può colmare.

E Gesù promette il dono dello Spirito Santo come acqua viva, capace di soddisfare ogni sete e di far sgorgare dal nostro cuore fiumi di carità, di gioia, di consolazione per gli altri.

Cari fratelli e sorelle,

oggi più che mai abbiamo bisogno dello Spirito Santo come Spirito di pace e di riconciliazione.

Viviamo tempi di tensioni e conflitti laceranti: pensiamo alle guerre che ancora insanguinano l’Ucraina e la Terra Santa, in particolare la martoriata Striscia di Gaza; ma non dimentichiamo le nostre piccole situazioni relazionali quotidiane, personali, familiari ed ecclesiali.

Di fronte a tanto dolore, le nostre parole umane sembrano insufficienti, ma ecco che lo Spirito, costruttore di unità, si rivela anche come artefice di pace.

È lo Spirito che può disarmare i cuori carichi di odio (e di rancore) e suggerire vie nuove di dialogo e perdono.

In comunione con tutta la Chiesa che è in Italia, uniamoci – proprio ora – alla corale preghiera per implorare da Dio il dono di una pace disarmata e disarmante, come l’ha definita Papa Leone XIV: una pace senza armi, spoglia di aggressività, libera da diffidenza ed egoismo, capace di disarmare gli animi, spegnendo l’odio e conquistando i cuori.

Questa pace sembra un sogno ai soli occhi umani, ma è possibile se permettiamo allo Spirito di Dio di trasformare i nostri cuori, di darci il coraggio di perdonare e di abbattere i muri dell’inimicizia.

«Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9), ha detto Gesù. Sia lo Spirito a farci artigiani di pace nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità ecclesiali e in ogni terra ferita dalla violenza.

Carissimi fratelli e sorelle, invochiamo fiduciosi lo Spirito Santo e apriamo il cuore alla sua presenza.

Lo Spirito è qui, in mezzo a noi, come fuoco che riscalda, come vento che sospinge, come acqua che rigenera.

Affidiamo a Lui la nostra vita personale e comunitaria, quella delle nostre Parrocchie.

Senza lo Spirito Santo siamo come barche alla deriva; con Lui al timone, invece, possiamo navigare anche tra le tempeste, guidati dalla luce della speranza.

In questo luogo, Santuario della Mater Domini, avvertiamo forte la vicinanza di Maria, la Madre del Signore. Come nel Cenacolo Ella pregava con gli apostoli (At 1,14), così oggi intercede perché si rinnovi la Pentecoste nella nostra Chiesa.

Vieni, Spirito Santo! Scendi su di noi, sulle nostre famiglie, sulla nostra diocesi, sulle parrocchie e sulle associazioni e sui movimenti. Donaci unità, passione e i tuoi santi sette doni, che abbiamo invocato nelle sette stazioni del pellegrinaggio verso questo luogo.

Vieni, Spirito di Pace! Ricolma la terra della tua misericordia, ferma la follia della guerra, ispira percorsi di riconciliazione.

Vieni, Spirito di Speranza! Conferma in noi la certezza che il bene è più forte del male e che il Regno di Dio cresce anche nelle notti del mondo.

Vieni, Spirito di unità e di amore! Rendici un cuore solo e un’anima sola, come la Chiesa di Gerusalemme dopo la Pentecoste.

Amen. 

+ Sabino Iannuzzi