di don Antonio Favale *
Si rinnova all’inizio del nuovo anno l’appuntamento delle Chiese cristiane del mondo per una Settimana di preghiera e riflessione sui grandi temi che investono l’umanità e chiamano i credenti cattolici, evangelici e ortodossi a un impegno comune e solidale verso l’unità. Fu il pastore protestante americano Paul Watson che, oltre un secolo fa (1908), illuminato dal forte richiamo evangelico della preghiera di Gesù nell’ultima cena: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21), diede vita a un movimento di preghiera da tenersi ogni anno nella settimana tra il 18 e il 25 gennaio, date simboliche comprese tra la festa (nell’allora calendario) della Cattedra di san Pietro e quella della Conversione di san Paolo. La Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ha così accompagnato la storia delle Chiese, trovando nel Concilio Vaticano II – per la parte cattolica – un punto di non ritorno fondamentale. Da quel momento sono stati compiuti gesti di portata storica davvero straordinaria. È significativo, per esempio, constatare come oggi le Chiese cristiane su alcune questioni nevralgiche, come l’immigrazione e la salvaguardia del creato, manifestino effettivamente consenso, comunanza di intenti e sinergie nell’azione. La settimana di preghiera coinvolge donne e uomini che hanno sete di comunione e di dialogo. I momenti di preghiera celebrati nelle diverse Chiese in tutto il mondo offrono opportunità di incontro, di conoscenza, insieme all’invito a ritrovarsi e a frequentarsi, cioè ad abitare l’altro per come sente se stesso chiedendo, così, di essere riconosciuto e non condannato, ascoltato e non giudicato o addirittura escluso: è questa la sfida a cui, oggi più che mai, i cristiani non possono sottrarsi.
Anche nella nostra diocesi di Castellaneta non mancano, ogni anno, iniziative che aiutino a coltivare un’autentica sensibilità ecumenica. Questa volta è toccato alla comunità di Palagianello ospitare la celebrazione diocesana della Parola, che ha radunato nella parrocchia Maria Regina del Rosario, lo scorso 20 gennaio, credenti delle varie confessioni cristiane, insieme al vescovo mons. Claudio Maniago, il pastore Dario Monaco, della Chiesa battista di Mottola, e padre Florin Carlig, prete della Chiesa ortodossa rumena.
Il versetto guida della Settimana di Preghiera 2019, tratto dal cap. 16 del Deuteronomio: “Cercate di essere veramente giusti” (Dt 16,20), è stato scelto dalle Chiese dell’Indonesia, un arcipelago non solo di isole (oltre 17.000) ma di etnie, idiomi e confessioni religiose, in cui i circa 25 milioni di cristiani rappresentano il 10% della popolazione, che ammonta complessivamente a 265 milioni di persone, nella quasi totalità musulmani.
Sono chiese e popoli abituati a vivere facendo della diversità un’occasione e una sfida per la collaborazione e la solidarietà. Come isole collegate da ponti, sono un’immagine efficace per parlare anche alla nostra situazione: mostrano che è possibile, in nome di un ideale comune, non vivere la distanza come scusa per isolarsi e alzare barriere ma come opportunità di apertura e conoscenza.
Il testo biblico, infatti, invita il Popolo di Dio a passare da una giustizia di tipo “teologico”, celebrata nelle liturgie, ad una giustizia quotidiana in cui il fratello nella fede diventa un compagno di viaggio con cui esser solidali. Un messaggio che vale tanto per la giustizia sociale quanto per le relazioni tra i cristiani delle diverse confessioni e quindi anche per noi che vogliamo credere, fattivamente, nel dialogo e nella fraternità.
Commentando questa pagina durante la celebrazione ecumenica nella Basilica di S. Paolo fuori le mura lo scorso 18 gennaio 2019, Papa Francesco così si è espresso: «Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi». Da qui l’invito ad intensificare gli sforzi in vista di un cammino comune: «Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità».
Se la posta in gioco è dare attuazione pratica alla giustizia che scaturisce dal Vangelo, in un mondo che pare aver smarrito lo spirito di umanità e solidarietà specie nei confronti dei migranti, avremo l’occasione di conoscere più da vicino l’esperienza dei corridoi umanitari, i cui risultati positivi – da ascrivere alla sinergia tra Comunità di Sant’Egidio, Tavola Valdese, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, CEI e Caritas italiana – sono la prova tangibile dei buoni frutti che produce la testimonianza comune dei cristiani.
* Delegato diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso