Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa conclusiva della Festa Patronale di San Nicola e San Francesco da Paola

Cari fratelli e sorelle,

siamo giunti al termine della nostra festa patronale con il cuore colmo di riconoscenza al Signore.

Nei giorni scorsi abbiamo pregato, meditato e portato processionalmente per le strade di Castellaneta le immagini dei nostri patroni, San Nicola e San Francesco da Paola, condividendo la bellezza di questa ricorrenza annuale.

Oggi la liturgia ci invita a raccogliere tutto dentro l’Eucaristia, affinché la gioia della festa diventi forza per i giorni che verranno.

Nella pagina degli Atti degli Apostoli siamo stati posti davanti a una tensione dialettica che da sempre attraversa la vita della Chiesa: apertura o chiusura?

Pietro, tornato da Cesarea, deve spiegare ai cristiani provenienti dall’ebraismo perché sia entrato in casa di un pagano. Il suo racconto è lineare: «Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come da principio era disceso su di noi» (At 11,15). Ricordando le parole del Signore – «Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo» (At 11,16) – Pietro si chiede: «Chi sono io per porre impedimento a Dio?» (At11,17).

Ecco il punto: Pietro potrebbe far valere la propria autorità apostolica, ma non lo fa; lascia piuttosto parlare i fatti. La comunità ascolta ed esclama: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita» (At 11,18). Da quel momento il Vangelo non rimarrà confinato entro i limiti di un solo popolo, ma si aprirà a ogni uomo e donna.

Lo stesso passo lo compì, secoli dopo, San Nicola.

Quando, di notte, lasciava borse di monete a ragazze senza dote, non seguiva un progetto filantropico: viveva il Vangelo con lo stile di Pietro. Non chiedeva “requisiti” a chi aveva bisogno; vedeva una necessità e vi rispondeva con la propria persona.

Questa immagine del nostro santo vescovo che agisce senza clamore ci interroga: nelle nostre case, nella parrocchia, nei luoghi di lavoro, nella confraternita, chi porta ferite o viene da lontano trova accoglienza o percepisce una sorta di esame da superare?

Per cogliere il valore di questo stile evangelico entriamo, con il salmista, nella nostra interiorità: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua» (Sal 42,2).

Anche in noi, popolo di Dio in cammino e pellegrini di speranza, esiste una sete che nient’altro può saziare.

Lo comprendiamo nei momenti di stanchezza e prova, quando le parole altrui non bastano e il frastuono del mondo diventa pesante.

San Francesco da Paola scelse l’essenzialità proprio per non perdere questa sete: avrebbe potuto brillare alla corte di Francia, e invece cercò l’eremo. Scoprì che la sete di Dio non è fuga dalla realtà, ma sorgente per abitarla con uno sguardo limpido.

È la stessa sete che, in questo anno giubilare, il Signore risveglia in ogni battezzato, in ciascuno di noi: non per farci evadere dal quotidiano, ma per donarci un cuore nuovo dentro il quotidiano.

Il Vangelo, infine, ci ha posto davanti alla dichiarazione solenne di Gesù che dice: «Io sono la porta» (Gv10,7).

Tutti desideriamo una vita piena; tutti cerchiamo, magari anche inconsciamente, un ingresso che conduca a un pascolo buono.

Gesù non si propone come una possibilità fra tante: si presenta come via affidabile, l’unica. Lui che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).

San Nicola e San Francesco ce lo mostrano: la loro carità e la loro penitenza non derivavano da semplice generosità o ascetismo, ma da un legame quotidiano con Cristo.

Ecco perché la loro vita continua a portare frutto oltre i confini del tempo.

Che cosa significa allora, concretamente, passare – come popolo di Dio e pellegrini di speranza – per la porta che è Cristo?

  • Anzitutto: non separare la fede dalla vita. Esempio: se partecipiamo alla Messa, ma restiamo chiusi nelle relazioni, il Vangelo non supererà mai le nostre mura.
  • Ancora: siamo invitati a lasciare che la Parola diventi criterio delle nostre scelte: dall’uso non possessivo delle cose al linguaggio sui social, dal rispetto del creato alla cura dei fragili, dall’accoglienza di prossimità alla corresponsabilità domestica.

Perché solo lì dove la Parola incontra la vita reale, la speranza prende carne.

Infatti, la «speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita» (Francesco, Spes non confundit, 3). Per questo motivo Gesù stesso dichiara beati «quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28).

Ecco perché il Giubileo – allora – è un dono prezioso.

Non si esaurisce in eventi straordinari o nel passaggio di una Porta Santa: è piuttosto segno che il cuore di Dio resta spalancato.

Vivere il Giubileo, anche nei gesti feriali, significa desiderare di oltrepassare ogni giorno la soglia del Vangelo. È un cammino da compiere insieme – «nessuno si salva da solo» ricordò Papa Francesco il 27 marzo 2020 – «Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21)».

Immaginiamo, allora, le nostre famiglie e le nostre comunità come «l’antica fontana del villaggio», tanto cara a San Giovanni XXIII quando descriveva la parrocchia.

Chi passa, forse stanco o sfiduciato, possa fermarsi e trovare acqua fresca: un gesto di accoglienza, una Parola condivisa, un aiuto concreto.

Così operarono San Nicola e San Francesco da Paola; così lo Spirito continua a suggerirci.

Sarà questo il segno che la festa non è finita, ma si è trasferita nel tessuto feriale delle nostre case, comunità e piazze.

Signore Gesù,
che apri le braccia a ogni creatura,
sciogli in noi le resistenze
che ancora ci chiudono.
Risveglia la sete del tuo volto,
perché non ci rassegniamo
a una fede di abitudine.

Donaci
di attraversare
la tua Porta ogni giorno,
scegliendo
l’onestà, la mitezza e la solidarietà.

Per intercessione
di SanNicola,
difensore dei poveri,
e di SanFrancescodaPaola,
testimone di fiducia radicale,
fa’ delle nostre famiglie
e delle comunità
un segno credibile di speranza
per chiunque
incontriamo sul cammino della vita.
Amen.