Carissimi fratelli e sorelle,
cari “pellegrini di speranza”,
siamo giunti “qui”, in questo luogo, sulla tomba dell’apostolo Pietro, dopo aver “camminato insieme” ed aver attraversato la Porta Santa. Si è trattato di un gesto semplice, ma ricco di significato.
Varcando quella “soglia sacra”, abbiamo manifestato il desiderio di conversione per incontrare la misericordia di Dio e ravvivare la memoria della fede, certi che «niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Spes non confundit, 3).
Come i nostri padri nella fede, anche noi ci siamo fatti “pellegrini”, dietro il segno della Croce di Cristo, portando nel cuore le nostre intenzioni e le nostre speranze, sicuri che il Signore cammina sempre accanto a noi
La Parola di Dio appena proclamata – Parola di questa Terza Domenica di Quaresima – illumina di luce nuova il senso profondo del nostro cammino.
Nella prima lettura abbiamo ammirato Mosè davanti al roveto ardente, «roveto che ardeva per il fuoco, ma non si consumava» (cfr. Es 3,1-8).
È proprio da lì – dal fuoco sacro – che Dio lo chiama e gli chiede di togliersi i sandali, perché «il luogo sul quale tu stai è suolo santo» (Es. 3,8). Anche noi, entrando in questa Basilica e varcando la Porta Santa, ci siamo riconosciuti come Mosè su una “terra sacra”, in un luogo che, «offrendoci l’esperienza viva dell’amore di Dio, suscita nel cuore la speranza certa – quella che non delude – della salvezza in Cristo» (Spes non confundit, 6).
In quel particolare momento Dio manifesta a Mosè il suo Nome – «Io Sono colui che sono!» (3,14) – assicurando così la sua presenza fedele accanto al popolo oppresso. Questo “Nome santo” ci ricorda che Dio è sempre con noi: ascolta il grido del suo popolo e scende per liberarlo.
Fratelli e sorelle, non dimentichiamolo: non siamo mai da soli nel pellegrinaggio della vita. Il “Dio vivo”, il Signore Gesù «via, verità e vita» (cfr. Gv 14,6) è sempre – pur se in modo misterioso – accanto a ciascuno di noi e guida i nostri passi anche attraverso i deserti interiori. Ed è proprio da questa presenza che si genera speranza.
«Possa questo pellegrinaggio – allora – essere per tutti l’occasione propizia di rianimare la speranza» (cfr. Spes non confundit, 1), speranza che portiamo nel cuore.
Questo processo richiede – sempre e di nuovo – la nostra fattiva collaborazione. Non possiamo adagiarci. San Paolo ci ammonisce: «chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12).
In altre parole, non basta aver ricevuto segni e grazie; è necessario lasciarsi davvero trasformare nel profondo. E allora, il tempo del Giubileo e questo pellegrinaggio non siano una semplice formalità, ma un tempo favorevole per aprire il cuore e la mente all’amore di Dio che salva.
Attraversare la “Porta Santa”, infatti, significa aprire anche la porta del proprio cuore e della propria mente, affinché vi entri e vi abiti la grazia del Signore, «che consola, che perdona e dona speranza» (Misericordiae Vultus, 3). Non resti un rito esteriore: chiediamo al Signore di farci sperimentare veramente questo amore che consola e perdona, per poi condividerlo in modo credibile con agli altri.
Nel Vangelo (Lc 13,1-9) Gesù ci richiama alla conversione a partire da due tragici eventi. «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,5), avverte Gesù, rovesciando la prospettiva di chi pensa che quelle disgrazie siano il castigo di Dio. La sua parola non è una minaccia, ma un appello a non rimandare il cambiamento di vita: ogni giorno è un’occasione preziosa per tornare a Dio.
E qui, Gesù aggiunge la parabola del fico sterile: il padrone vuole tagliarlo perché non dà frutto, ma il vignaiolo ottiene per lui un altro anno di cura, sperando che maturi.
È l’immagine del cuore stesso di Dio, misericordioso e paziente, che desidera salvare chi è perduto.
Anche noi a volte assomigliamo a quel fico infruttuoso. Eppure, il Signore continua a prendersi cura di noi. Lo fa con pazienza, virtù da riscoprire e sempre più da chiedere nella preghiera, «che è figlia della speranza e nello stesso tempo la sostiene» (Spes non confundit, 4), lavorando con la sua Parola e con la grazia dei sacramenti perché possiamo portare frutto.
Carissimi fratelli e sorelle,
siamo immagine di una comunità in cammino, popolo di Dio sostenuto dalla grazia del Signore, desideroso di lasciarsi riconciliare e rinascere a vita nuova.
Questo pellegrinaggio lo abbiamo vissuto insieme, pregando gli uni per gli altri e aiutandoci a vicenda: è il segno bello di una Chiesa unita, in cui, nella fatica condivisa, si rafforza la comunione.
Abbiamo portato nel cuore le nostre Chiese locali (la Chiesa di Castellaneta e di Amalfi-Cava de Tirreni), sentendoci parte della Chiesa universale.
Ora, al termine di questa esperienza, torneremo alle nostre case con il cuore più leggero e luminoso.
Porteremo con noi un tesoro invisibile e prezioso: la grazia di Dio, il perdono ricevuto, la fede rafforzata e la speranza rinvigorita.
Continuiamo a camminare nella luce del Signore, e ciascuno di noi sia un segno di speranza per quanti incontreremo: con la gioia e la carità di una vita davvero trasformata dall’incontro con Gesù.
Affidiamo alla Vergine Maria, Madre della Speranza, i frutti di questo pellegrinaggio, così che «la luce della speranza cristiana possa raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo» (cfr. Spes non confundit, 6). Amen!
+ Sabino Iannuzzi