Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Festa Patronale di San Michele Arcangelo

Carissimi fratelli e sorelle di Massafra,
buona festa del Santo Patrono.

Un caro saluto ai sacerdoti presenti, ad iniziare da don Giuseppe Ciaurro, Parroco di questa Collegiata e Vicario foraneo e ai don Michele (Bianco, Quaranta e Mingolla) che celebrano il loro onomastico.

Un deferente saluto alla nostra Sindaca, la dott.sa Giancarla Zaccaro, e a tutte le autorità civili e militari qui convenute.

Pur celebrando questa festa nell’anno Santo, Giubileo della Speranza, segno di grazia e di misericordia, non possiamo dimenticare che il nostro tempo è attraversato da grandi ferite: guerre, ingiustizie, povertà crescenti. L’eco delle armi in Ucraina e a Gaza scuote i cuori, e troppi innocenti – soprattutto bambini – portano il peso della violenza. In questo scenario risuona forte la figura di Michele, che ci ricorda che “la forza del male è ancora potente”, ma non ha l’ultima parola.

Tutto ciò, fratelli e sorelle, non solo grida vendetta al cospetto di Dio, ma soprattutto non può lasciarci indifferenti. La liturgia che stiamo celebrando, nel nome di San Michele, ci chiede di riconoscere queste oscurità e, allo stesso tempo, di raffinare lo sguardo, per contemplare il cielo aperto ed impegnarci concretamente per la pace.

Il profeta Daniele (Dn 7,9-10.13-14) ci ha presentato una scena grandiosa: un vegliardo assiso sul trono, con veste candida come la neve, attorniato da migliaia di angeli che lo servivano.

Nel “caos dei regni terreni”, Daniele intravede che la storia è nelle mani di Dio. Davanti all’“Antico dei giorni” c’è «uno simile a un figlio d’uomo» (7,13) al quale sono affidati «potere, gloria e regno» (7,14).

Questa visione ci ricorda che l’ultima parola sulla storia non appartiene ai potenti – di ieri e di oggi, e l’elenco sarebbe lungo – che seminano morte, ma al Figlio dell’uomo, al quale è consegnato un regno eterno.

Se Dio regna, anche noi siamo chiamati a partecipare al suo trono attraverso la lode e il servizio. Gli angeli, infatti, non si saziano mai di adorare e servire Dio, e con loro tutte le creature intelligenti sono chiamate a realizzarsi nell’adorazione e nel servizio.

La vera adorazione non ci estrania dalle vicende umane, ma ci dona la forza di resistere al male e di lavorare per la pace.

Con il salmista (Sal 137), anche questa sera, abbiamo reso grazie al Signore che ascolta sempre la nostra voce – “le parole della mia bocca” -, mantiene la sua promessa e risponde nel giorno dell’angoscia.

Dio non resta mai sordo e, quando lo invochiamo, aumenta la nostra forza.

Questa preghiera ci invita a riconoscere le meraviglie quotidiane e, al contempo, a intercedere per tutti coloro (nostri fratelli e sorelle) che non possono più alzare la voce perché schiacciati dalla violenza.

Nel cielo «Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12,7), così ci ha ricordato Giovanni nell’Apocalisse.

Il drago – che la Scrittura chiama diavolo o Satana – è precipitato sulla terra, ma la sua furia non prevale: è vinto dal sangue dell’Agnello e dalla testimonianza dei martiri.

San Michele, allora, ci ricorda che esiste un conflitto “spirituale” che attraversa sempre la storia. Il male (a volte difficile da essere riconosciuto) non sempre si presenta come un drago terrificante, ma spesso si insinua nel nostro egoismo, nelle parole offensive, nell’indifferenza verso chi soffre. Un male che si traveste e agisce con astuzia, come la zizzania che cresce insieme al buon seme (Mt 13,24-30).

Ma noi non siamo senza difesa: Gesù è la nostra vittoria! La sua Parola è il “seme buono” che impedisce alla zizzania di soffocare la bontà dell’uomo.

Infine, abbiamo ascoltato la pagina del Vangelo che ci ha racconta dell’incontro di Gesù con Natanaele e della testimonianza che il Maestro ne offre: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità» (Gv 1,47).

Allo stupore di questi Gesù risponde: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Gv 1,51)

E’ un’immagine che ci rivela, nell’aprirsi dei cieli, la comunicazione che si instaura tra il mondo di Dio e quello degli uomini, perché attraverso la relazione con il Signore il cielo rimane aperto per ciascuno di noi. Così da non essere mai soli né abbandonati.

Tanto che nella stessa nomenclatura degli Arcangeli è ben definita la relazione nello Spirito fatta: di comunicazione (Gabriele è colui che porta l’annuncio), di lotta (Michele ci difende) e di guarigione (Raffaele, guarisce).

Anche noi tutti, fratelli e sorelle, questa sera, celebrando il nostro patrono, non possiamo ignorare la concretezza di tante storie di vita che continuano ad invocare la pace.

Infatti, se la guerra appare come un’enorme macchina di morte, la pace non può ridursi a una semplice assenza di rumori.

Papa Leone XIV, nel messaggio per la prossima Giornata della pace del 1° gennaio, ha scelto il tema «La pace sia con tutti voi: verso una pace disarmata e disarmante».

E’ un invito chiaro a rifiutare ogni logica di violenza e di conflitto per abbracciare una pace autentica, fondata sull’amore e sulla giustizia.

La pace deve essere disarmata – non basata sulla paura, sulla minaccia o sugli armamenti garantiti – e soprattutto disarmante, capace di sciogliere i conflitti, aprire i cuori e generare fiducia, empatia e speranza.

Non basta invocare la pace: occorre incarnarla in uno stile di vita che rifiuti ogni forma di violenza, visibile o strutturale.

Questa pace, “disarmata e disarmante”, si costruisce solo attraverso percorsi di inclusione, perché come ricordava lo scrittore Elie Wiesel (1928-2016), superstite dell’olocausto, «l’opposto della pace non è la guerra, ma l’indifferenza alla guerra».

L’indifferenza è come una nebbia che confonde e paralizza la coscienza: quando crediamo che ciò che accade non ci riguardi, diventiamo complici del male. Vincere l’indifferenza significa allora coltivare la memoria, l’empatia e la partecipazione ed ogni nostra scelta deve essere a favore della vita e contro la violenza.

Di fronte a queste guerre, la liturgia di oggi ci chiede di rinsaldare i ponti del dialogo (mettersi in comunicazione).

San Michele non ci invita a fuggire dalla storia, ma a combattere per la dignità di ogni persona. Non cediamo mai all’indifferenza – grande tentazione dei nostri giorni – perché il male si insinua anche attraverso l’egoismo e le parole offensive.

Diventiamo, invece, “seme buono” di pace, fraternità, unità e amore.

Ogni gesto di ascolto, ogni piccolo saluto, ogni aiuto concreto è un seme che, come il buon grano, può soffocare la zizzania.

Domandiamoci nelle scelte di ogni giorno: cosa farebbe Gesù al mio posto? È l’unico modo per vincere la logica della violenza che appare invincibile.

Preghiamo allora insieme l’Arcangelo Michele: perché cessino le armi, siano liberati gli ostaggi, sia permesso l’arrivo degli aiuti umanitari e si ricostruisca la fiducia.

Apriamoci, come Natanaele, ad un cielo aperto in cui gli angeli salgono e scendono sul Figlio dell’uomo, sapendo che non siamo mai soli.

Impegniamoci, noi per primi, con coraggio a costruire ponti di dialogo e percorsi di pace, a partire dalla nostra Massafra, sapendo che il Regno del Figlio dell’uomo non sarà mai distrutto.

Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi