Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Festa Patronale di San Rocco

Carissimi fratelli e sorelle,

celebriamo oggi con gioia la festa di San Rocco, patrono della nostra comunità di Palagiano.

Un saluto fraterno a Don Lorenzo Cangiulli, parroco dell’Annunziata e custode del Santo, agli altri presbiteri qui presenti, al diacono Paolo e alle autorità civili e militari.

In particolare, saluto il nostro Sindaco, l’Avv. Domiziano Lasigna, che prima della celebrazione ha compiuto un gesto significativo: ha affidato simbolicamente le chiavi della città a San Rocco, un atto di fiducia e di rinnovata consegna della nostra comunità al patrocinio del Santo.

Questo gesto ci ricorda che tutti, amministratori e cittadini, poniamo sotto la protezione di Dio e dei suoi santi il destino della nostra città, desiderosi di costruire insieme un futuro fatto di speranza, di pace e soprattutto di bene comune.

Siamo riuniti come popolo di Dio – famiglia sempre “in cammino” – nel tempo giubilare dell’Anno Santo che Papa Francesco – a cui va grata memoria – ha voluto dedicare al delicato e significativo tema della speranza, con il motto Spes non confundit, la speranza non delude (Rm 5,5), e l’invito a farci “pellegrini di speranza”, in viaggio verso Cristo che è la nostra unica salvezza.

E proprio San Rocco, nella sua vita, fu pellegrino, viandante per le strade d’Europa e dell’Italia, animato da una grande speranza e dalla carità di Cristo.

Sorretto dalla “speranza che non delude”, provo a rileggere la vita e la testimonianza di San Rocco alla luce della Parola di Dio ascoltata, avendo sullo sfondo la ricerca di amore e di pace di cui tutti noi siamo sempre più mendicanti in questo particolare presente storico.

Le letture bibliche di questa festa ci parlano con sorprendente attualità.

Il profeta Isaia (58,6-11) ci ha ricordato quale digiuno e quale culto piacciono davvero al Signore: «sciogliere le catene inique… dell’ingiustizia e dell’oppressione, dividere il pane con l’affamato, accogliere i poveri e i senza tetto, vestire chi è nudo».

Dice il profeta che, se faremo così, la nostra luce sorgerà come l’aurora e il Signore ci guiderà sempre, sazierà la nostra arsura e saremo come giardini irrigati dal suo amore.

Questo è l’invito a vivere una fede concreta, fatta di gesti autentici di misericordia e di carità.

Ebbene, chi meglio di San Rocco ha incarnato questa parola?

Nato in una famiglia agiata, Rocco comprese che, per seguire Cristo, doveva farsi prossimo dei poveri e dei sofferenti.

Così – narra la tradizione – a vent’anni vendette tutti i suoi beni, entrò nel Terz’Ordine francescano e, indossato il semplice abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli Apostoli. Partì con bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia – i segni tipici ed essenziali del viandante di Dio – sostenuto da due sole “armi” spirituali: la preghiera e la carità, che furono la sua unica ed assoluta forza.

Nel suo cammino attraverso l’Italia funestata dalla peste (siamo nel XIV secolo), Rocco non fuggiva di fronte ai contagiati – come invece facevano in molti per paura – ma li cercava per assisterli.

Lo immaginiamo entrare negli ospedali improvvisati, nei lazzaretti, a curare e confortare i malati di peste con gratuità e coraggio.

Sempre la tradizione ci racconta che, tracciando il segno della croce su di loro e invocando la Santissima Trinità, il giovane pellegrino ottenne da Dio molte guarigioni miracolose.

Possiamo quasi vedere realizzate in San Rocco le parole di Gesù nel Vangelo di oggi (Mt 25,31-46): «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero malato e mi avete visitato».

E Gesù ci assicura: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

San Rocco visse esattamente questo Vangelo: vide in quegli appestati il Signore stesso, si chinò su di loro con amore e li servì, e ora – possiamo crederlo – dal cielo sente rivolgersi a sé le parole: «Vieni, benedetto del Padre mio, ricevi in eredità il regno preparato per te… perché ero malato e mi hai curato!» (cfr. Mt 25,34ss).

Una beatitudine di vita che – come ci ha ricordato il salmista (Sal 111) – si manifesta nel temere Dio, cioè nel vivere la sua volontà, e nel donare ai poveri.

San Rocco è beato proprio in questo senso: ha speso la sua vita per gli ultimi, e per questo la sua memoria rimane per sempre, benedetta da Dio e dagli uomini.

E alla sorgente di tutto ciò c’è quanto ci ha ripetuto con enfasi l’apostolo Giovanni: «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri… se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,11).

In San Rocco vediamo proprio il riflesso di questo amore divino: amato da Dio, ha amato a sua volta i fratelli fino a dare la vita.

E dove c’è amore di Dio, lì c’è speranza: infatti «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5) e proprio per questo «la speranza non delude» (ibidem).

Amore, speranza e fede erano virtù intimamente unite nel cuore di San Rocco.

Nel suo carcere di Voghera – dove fu gettato come forestiero sospetto, vittima di paure e ingiustizie umane – egli patì per ben cinque anni, offrendo quella sofferenza come purificazione.

Non rinnegò mai la fiducia in Dio.

Si racconta anzi che, poco prima di morire in prigione, confortato da un sacerdote, abbia pregato per tutti coloro che lo avevano arrestato ingiustamente. E il Signore gli concesse la grazia di essere, dopo la morte, potente intercessore per chiunque lo avesse invocato nelle malattie.

Ecco, dunque, il miracolo dell’amore: San Rocco è stato povero e perseguitato, ma nella carità ha vinto, perché «chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16)!

Carissimi fratelli e sorelle,

il farsi pellegrino di San Rocco non può che ispirare e motivare il nostro essere pellegrini nel mondo.

La vita è un grande pellegrinaggio, un cammino verso la casa del Padre, che la solennità dell’Assunzione di Maria, celebrata ieri, ci ha ricordato essere la nostra meta.

Come più volte ha ribadito Papa Francesco, dobbiamo «ravvivare la fiaccola della speranza» nelle nostre vite. Ne abbiamo bisogno!

Quante persone, oggi, travolte da problemi economici, sanitari, familiari, guardano al futuro con scoraggiamento e pessimismo.

Anche la nostra comunità non è immune da difficoltà: pensiamo ai giovani in cerca di lavoro e di senso, agli anziani soli, alle famiglie provate.

Abbiamo bisogno di speranza!

Ma attenzione: la speranza cristiana non è un facile ottimismo ingenuo. La speranza nasce dalla fede, dalla certezza che Dio ci ama e mai ci abbandona. È una speranza fondata sulla croce e risurrezione di Cristo.

San Rocco affrontò situazioni drammatiche – la peste, la fame, la prigionia – e dove trovò la forza di non disperare?

Nella fede in Gesù Cristo, nel quale aveva riposto tutto. Egli «sperava contro ogni speranza» (Rm 4,18), come Abramo, perché credeva fermamente nell’amore di Dio.

La sua speranza era incrollabile perché nutrita dalla preghiera. E Dio non lo confuse: anche quando Rocco contrasse la peste egli non venne meno nella fede, e la Provvidenza gli mandò un cane a portargli il pane ogni giorno, finché guarì miracolosamente.

Quasi un segno che davvero «nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio» (Rm 8,39)!

La speranza di Rocco non fu delusa, perché fondata su Dio. E così sarà per noi: se speriamo nel Signore, non rimarremo confusi, perché «la speranza non delude»!

Ed allora mettiamoci, con fiducia, in cammino, consapevoli che il Giubileo è un tempo propizio per convertirsi e ripartire, con il cuore leggero di chi vuol riprendere il viaggio della vita nella storia.

Nell’esperienza di questo pellegrinaggio di speranza da intraprendere vorrei soffermarmi su un aspetto cruciale per il nostro tempo: quello della pace.

Mai come in questi giorni questa semplice parola sta risuonando come un grido e un appello.

Abbiamo tutti negli occhi e nel cuore le notizie delle guerre e violenze attuali: il conflitto tra Ucraina e Russia, che da tempo semina distruzione e morte nel cuore dell’Europa; la tragedia senza fine in Terra Santa, l’odio tra Israele e Palestina riesploso con violenza; e l’orrore della disumanità nella striscia di Gaza, dove tantissimi innocenti – bambini, famiglie – stanno soffrendo indicibili tormenti. Di fronte a questi scenari, come cristiani non possiamo restare indifferenti né scoraggiati.

Siamo chiamati a pregare e operare per la pace, quella pace vera annunciata da Cristo.

Lo stesso Papa Leone XIV, nel suo primo saluto al mondo, ha posto con forza l’accento sulla pace. In un tempo in cui tanti paesi pensano a riarmarsi, il Papa ci ha indicato la via del Vangelo definendo la pace di Cristo come «una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante».

Una pace disarmata: che rifiuta le armi, la violenza, la logica dello scontro armato; una pace disarmante: capace di togliere le armi anche agli altri, di sciogliere l’odio nei cuori, confondendo il nemico con la forza disarmante dell’amore.

È la pace del Cristo Risorto, che quando appare ai discepoli la sera di Pasqua dice come prima parola: «Pace a voi» (Gv 20,20). Non un augurio qualsiasi, ma la Pace che viene da Dio, fondata sul perdono e sulla riconciliazione.

San Rocco, pur vissuto secoli fa, ci testimonia qualcosa anche su questo. Egli non era un potente politico, non ha fermato guerre tra eserciti, ma ha portato pace dov’era odio e abbandono: pensiamo alla rabbia e disperazione che regnavano nelle città appestate. Rocco vi è entrato portando consolazione, ordine, cura, riportando pace nei cuori degli agonizzanti.

Dove arrivava quel giovane forestiero, tornavano la speranza e la dignità persino in mezzo alla peste.

Inoltre, nella sua vicenda finale, Rocco subì la violenza dell’ingiustizia umana – l’arresto, la prigionia – eppure reagì con mitezza, senza vendetta.

Come Cristo innocente, prese su di sé la sofferenza, pregando in silenzio. Questo è il seme della vera pace: la non violenza, la scelta dell’amore anche di fronte al male.

Quante volte, cari fratelli, la violenza genera solo altra violenza! Invece il coraggio del perdono e del dialogo disarma l’avversario. Ce lo insegna Gesù e ce lo ricorda la Chiesa.

Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo – e dobbiamo – essere artigiani di pace ogni giorno, a partire dalle nostre famiglie.

Coltiviamo la pace disarmata nelle nostre case: niente urla, niente litigi aggressivi, ma ascolto e pazienza. È normale avere divergenze, ma possiamo disarmare l’ira con una parola gentile, spegnere sul nascere i conflitti con il perdono.

E allargando lo sguardo, come comunità cristiana di Palagiano possiamo impegnarci in gesti di pace: aiutare chi è colpito dalle crisi, accogliere chi è forestiero o in difficoltà («ero straniero e mi avete accolto»), educare i giovani alla fraternità e non all’odio.

Sono piccoli passi, ma ciascuno è un mattone di quella società dell’amore e della pace che sogniamo.

La pace, infatti, si costruisce dal basso, a partire dai cuori.

Chiediamo a San Rocco di intercedere oggi per la pace nel mondo: egli che in vita sua ha alleviato le sofferenze di tanti, ottenga dai cuori dei potenti di oggi il miracolo della compassione.

Preghiamo perché il Signore converta le menti accecate dalla violenza, sostenga le vittime innocenti delle guerre e ci renda strumenti della sua pace.

Affidiamoci dunque con umiltà all’intercessione del nostro grande Patrono:

San Rocco, pellegrino di speranza,
ottieni per la nostra comunità di Palagiano
e per il mondo intero
il dono di una pace “disarmata e disarmante”,
la forza di una carità operosa e gioiosa,
e una speranza che non vacilla nelle prove.
Accompagna i nostri passi,
perché anche noi, come te,
camminiamo mano nella mano
con Dio e tra di noi
verso la pienezza del suo Regno
di amore e di pace.
Amen!

+ Sabino Iannuzzi