Carissimi fratelli e sorelle,
oggi celebriamo la XX Giornata nazionale per la custodia del creato, che quest’anno ha come tema «Semi di pace e di speranza», in piena sintonia con quello della X Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato e con il Giubileo della speranza che stiamo vivendo come Chiesa universale.
Prima di entrare nella riflessione, desidero salutare e ringraziare don Giuseppe Laterza, Parroco di questa nostra comunità della Marina e Responsabile diocesano per la “Pastorale sociale e del lavoro”. Anche quest’anno ci ha invitato a ritrovarci qui per lasciarci provocare dalla voce del creato, che chiede ascolto e responsabilità.
La Parola proclamata e il Messaggio di Papa Leone XIV ci offrono una chiave preziosa per leggere il nostro presente, segnato da guerre e crisi ecologiche, ma anche da segni di bene che ci aprono al futuro.
Il libro della Sapienza ci ha ricordato la fragilità dei nostri pensieri e la necessità di invocare dall’alto il dono dello Spirito: «Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la Sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?» (Sap 9,17).
Questa supplica oggi si fa più urgente che mai. Come non pensare alla guerra in terra d’Ucraina che dura ormai da più di tre anni o alla sofferenza della popolazione di Gaza, segnata da due anni di violenza e decine di migliaia di vittime innocenti, la maggior parte bambini?
E non sono gli unici conflitti: secondo i dati, sono almeno 56 le guerre in corso che coinvolgono 92 Paesi. A tutto questo si aggiungono i deserti ecologici generati dall’avidità dell’uomo. Da soli non sappiamo trovare vie di pace: è solo lo Spirito del Signore che ci rende capaci di discernere e trasformare la storia.
Per questo abbiamo pregato con il salmista: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 89).
Vivere da custodi del creato – fratelli e sorelle – significa riconoscere la brevità del tempo e la grandezza del dono ricevuto, assumendo uno stile di vita sobrio e responsabile.
San Paolo, nella lettera a Filemone, ci mostra che il Vangelo genera relazioni nuove: lo schiavo Onesìmo non è più proprietà, ma fratello amato. In Cristo, infatti, non esiste dominio, ma fraternità.
Questa è la logica dell’ecologia integrale: non trattare l’altro – uomo o creatura – come oggetto da sfruttare, ma come dono da custodire.
Allora, la conversione che ci è chiesta è proprio questa: passare da rapporti di possesso a rapporti di fraternità. Anche la terra, sorella e madre, non è schiava, ma compagna di vita. La custodia del creato non è un dettaglio opzionale, ma tocca il cuore stesso del Vangelo.
Quel Vangelo che oggi ci ricorda la radicalità della sequela: «colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me non può essere mio discepolo… così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,27.33).
Gesù non chiede mezze misure.
Seguirlo comporta rinunce reali, disponibilità a perdere per amore. Portare la croce oggi vuol dire saper rinunciare a uno stile consumistico, allo spreco, all’indifferenza, per vivere invece la logica della sobrietà e della cura.
Significa scegliere la via della pace, della nonviolenza, del perdono, anche quando costa. È la via del seme che muore e porta frutto. Gesù stesso è quel chicco di grano che, caduto in terra, dona vita (cf. Gv 12,24). Anche noi siamo chiamati a diventare semi, piccoli ma capaci di germogliare speranza.
Il Messaggio di Papa Leone XIV per questa giornata ci invita a riconoscere che in Cristo siamo semi di pace e di speranza.
Pensiamo ai fiori che crescono ai margini delle strade: nessuno li ha piantati, ma la loro bellezza intacca la durezza dell’asfalto.
Così anche noi, seminati da Dio, possiamo portare vita nei deserti dell’odio e dell’indifferenza. Il profeta Isaia prometteva: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino… praticare la giustizia darà pace» (Is 32,15-18).
Giustizia e diritto trasformano i deserti in giardini. Oggi, purtroppo, assistiamo al contrario: guerre che devastano i campi, inquinamento, deforestazione, eventi estremi che colpiscono i più poveri.
La terra si è trasformata in un campo di battaglia e la pace viene calpestata. È il risultato di quel peccato dell’avidità che ferisce insieme l’uomo e la natura.
Dio, però, non ci ha consegnato la creazione per dominarla con prepotenza, ma per coltivarla e custodirla (cf. Gen 2,15).
Custodire significa proteggere, vigilare, amare, prendersene cura.
È un’alleanza reciproca, tra uomo e natura, non un dominio. Per questo Papa Leone XIV – nel messaggio per questa giornata – richiama con forza: non basta parlare, occorre agire. «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale della vita cristiana».
Non è un accessorio, ma un dovere di fede!
Ogni gesto di cura – riciclare, condividere, custodire le risorse, proteggere chi è debole, educare i giovani alla pace – diventa seme prezioso che germoglierà in futuro. Come il contadino che attende con pazienza, così anche noi dobbiamo seminare con costanza, sapendo che i frutti verranno a tempo opportuno.
Il Papa, inoltre, ricorda anche esempi concreti come il “Borgo Laudato si’”, nato a Castel Gandolfo, dove si sperimenta un modo di vivere comunitario fondato sull’ecologia integrale.
Sono segni che dimostrano che il cambiamento è possibile.
Ma non dimentichiamolo: il cambiamento inizia da ciascuno di noi, dal nostro cuore, dalle nostre scelte quotidiane. È un processo che nasce e procede dal basso. Non possiamo aspettare che altri facciano ciò che è nelle nostre mani. Siamo noi i semi che Dio sparge nella storia.
Fratelli e sorelle, la preghiera di questa giornata ci invita a dire: «Trasformaci in semi di pace, affinché portiamo freschezza ai doni che ci hai concesso». È una supplica che diventa impegno.
Se ci lasciamo plasmare dal dono della Sapienza e da quello dello Spirito, che giunge dall’alto, anche i nostri piccoli gesti possono contribuire a cambiare il mondo.
Nel Giubileo della speranza, Cristo risorto è la nostra forza: in Lui sappiamo che il deserto fiorirà, che la morte non avrà l’ultima parola, che il bene vincerà il male.
Siamo chiamati ad essere pellegrini di speranza, custodi e seminatori del creato, fratelli e sorelle in cammino verso la pienezza della pace.
In Cristo, nostra grande e indefettibile speranza, impariamo ad essere semi che si consumano per amore, certi che Dio farà germogliare dai nostri piccoli sì un futuro di giustizia e di pace.
Amen.
+ Sabino Iannuzzi