XXX Domenica TO

Carissimi,

l’altro giorno un bimbo mi chiedeva cosa facessi tutto il giorno. “Scrivo” e così il giovedì, inviato il Messaggio anche in Brasile, inizio a pregare, ad ascoltare da qualche Padre, a scrivere sulla “Parola” della domenica successiva. Ho un po’ più di tempo e cerco di farmi inutile o utile compagno di viaggio di tanti amici. Eccomi così da voi anche in questa settimana.

Vincenzo prete

 

Mt 22,34-40 «Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

Pe. Ermes Ronchi – Amare, “l’unico” comandamento.

Qual è il grande comandamento? Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell’uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita. Per tre volte Gesù ripete che l’unica misura dell’amore è amare senza misura.

Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica. Ama con tutte le forze, capace di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica.

Cominciare dal lasciarsi amare da Lui. Noi siamo degli amati che diventano amanti.

La novità in Gesù sta nel fatto che fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento.

Amerai l’uomo è simile ad amerai Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù. Il volto dell’altro è da leggere come un libro sacro; fare tuo il suo grido come fosse parola di Dio.

 

Don Marco Pedron – Ti amo quanto mi amo.

“Ama il prossimo tuo come te stesso è buono ma non è il modello di amore che Gesù ci ha portati”. Per tre motivi. Per un ebreo prossimo era un altro ebreo (Lv 19,18); i non ebrei, quindi, non erano affatto considerati prossimi. Ma Gesù ci dirà: “Ama il prossimo non come te stesso ma come Dio ti ama, come io vi ho amati”. Per un ebreo l’amore per Dio è radicale, mentre quello per l’uomo no. Ciò che era fondamentale, per un ebreo, era l’amore per Dio. Quello per il prossimo veniva dopo.

Gesù dirà che il secondo (quello per il prossimo) è nient’affatto che lo stesso del primo.

Se ami Dio non si vede da quanto sei pio o religioso ma da quanto amore tu hai per l’uomo. Gesù non chiedeva ai guariti di seguirlo o di offrirgli qualcosa. Li rimetteva in contatto con la vita. Gesù non guariva neanche per convertire. Il suo amore era liberarlo dalla sofferenza. Chi ama rende vivo l’altro.

Ama il prossimo tuo come te stesso. Definisce una realtà: l’altro lo ami come ami te. Spesso noi cristiani abbiamo tradotto: “Ama il prossimo tuo contro te stesso”. Amarsi era egoismo, narcisismo. Solo spendersi per gli altri e sacrificarsi era buono e santo. E così solo se si era infelici e pieni di “rogne” Dio ci accettava. Ma come si può amare gli altri se non si ama neanche se stessi? Non si può dare ciò che non si ha. Se io pretendo da me, pretenderò anche da te. E’ un’equazione: l’amore per te è proporzionale all’amore per me e viceversa.

 

Paolo Curtaz – Andare all’essenziale

Erano 613 i precetti che il pio israelita era tenuto ad osservare. Molte volte, lo sappiamo, Gesù distingue la Legge di Dio da quelle derivanti dalle tradizioni degli uomini, ponendosi in aperto contrasto.

Amare con tutte le forze: al meglio delle proprie capacità, nella concretezza di ciò che siamo.

Amare Dio con tutta l’anima: meglio sarebbe tradurre “con tutta la vita”.

Amare Dio con tutta la mente: con intelligenza, dare ragione della speranza che è in noi!

Ma, esiste un comandamento prima del primo, un comandamento “zero”: lasciati amare. Possiamo amare perché ci scopriamo amati; il nostro amore è risposta all’amato. Riconoscersi amati e accolti senza condizioni per potere, perciò, amare senza condizioni.

 

*   *   *   *   *

 

Parola e vita. “Chi ama ha adempiuto la legge” (Rm 3,8-10). Ne siamo convinti, ma capita d’essere abbastanza più attenti nell’osservare la legge più che nell’amare. Come esempio il più semplice presento la sincerità bella del bimbo quando viene a confessarsi, subito: “Ho disobbedito alla mamma …non lo farò più!”. A ché io: “Ti capiterà ancora di disobbedire alla mamma; non preoccuparti delle disobbedienze ma occupati nell’amare sempre più la mamma. E da Gesù vieni proprio per questo, Lui che è Amore!”. A tutti allora grido: “Non preoccupiamoci che pecchiamo. Lo faremo fino alla morte. Preoccupiamoci che non sappiamo amare”.

Lo ripetevo alla signora che non voleva più confessarsi né comunicarsi: “Mi confesso e torno a fare sempre gli stessi peccati!”; le sembrava di ingannare il Signore. “…Preoccupati che non ami nemmeno te stessa così come sei. Ti vuoi sentire, orgogliosamente, perfetta ma ti ritrovi fragile”. Con Sant’Agostino possiamo allora cantare: Sia che tu taccia, taci per amore. Sia che tu parli, parla per amore. Sia che tu corregga, correggi per amore. Sia che tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene. Ama e fa ciò che vuoi.

Se 1 Gv 3,9 afferma: «Chiunque è generato da Dio non commette peccato» lo comprendo, con sincera umiltà, ascoltando San Paolo: “in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,18-19), e per peccare – ci insegnano – occorre ‘piena avvertenza e deliberato consenso’ cioè corruzione, malvagità.

Siamo superstiti di una catechesi che per evidenziare il castigo (l’inferno!), marca con forza la presenza del peccato, ma non alla luce di San Paolo: ‘Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia(1 Tm 1,15-16). Come reazione, a tante anime angosciate, confesso che mi rallegro quando …pecco (capita a tutti …senza volerlo!) così Gesù non mi abbandona tra le 99  (Lc 15,4) tutte sante che non hanno bisogno di misericordia.

Sentendomi ripetere questo molte volte trovo chi insinua che il Buon Dio mi lascia ancora in vita per continuare questo grido, dato che mi è stato fatto dono di vivere tra peccatori e buon ladroni!. Posso senz’altro assicurare che, testimoniando questa divina e instancabile misericordia nella celebrazione, si va via più rinfrancati e sollevati. Peccatori sempre, ma figli amati.

 

Andiamo all’essenziale.  Il pio israelita era tenuto ad osservare 613 precetti e il dottore della legge interroga Gesù, da maestro per esaminarlo, quale sia il più grande. Noi cattolici, come orientamenti di vita comunitaria e personale abbiamo 1752 canoni del Codice di Diritto Canonico. Ma tutto viene superato se amiamo …il prossimo. E Luca, da medico attento, ci presenta i nuovi Dieci Comandamenti dell’amore al prossimo: «Un Samaritano, passando accanto all’uomo incappato nei briganti e lasciato mezzo morto, lo vide (1) e n’ebbe compassione (2). Gli si fece vicino (3), gli fasciò le ferite (4), versandovi olio e vino (5); poi, caricatolo sopra il suo giumento (6), lo portò a una locanda (7) e si prese cura di lui (8). Il giorno seguente, estrasse due denari (9) e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno (10)» (Lc 10,30-37). 

Leggo in ‘Avvenire’ del 19 ottobre, in occasione della Beatificazione, la sintesi più bella della vita di Paolo VI. Jean Guitton, che come pochi ne ha conosciuto l’animo, ripeteva che il suo fu un amore senza frontiere; anzi, con una particolare sensibilità nella ricerca dell’amore «difficile»; per quelli, cioè, che comunemente sono chiamati i lontani. Il comandamento dell’amore sembrava che egli l’intendesse così: “Ama chi è più lontano da te come te stesso”. Quest’amore diventava in lui ricerca dell’altro (Marcello Semeraro).

La ricerca dell’altro la Giornata Missionaria Mondiale 2014 l’ha additata nella Periferia, Cuore della Missione. La Periferia – mi hanno fatto notare – è da noi in Italia, perché insistere su Missione ‘Ad Gentes’?. È vero, “Ad Gentes” significa anche andare “fuori da sé”, andare fuori dalla cerchia di chi sta dentro all’ovile, senza necessariamente andare fuori dall’Italia. Occorre sì fare questo, senza però tralasciare l’altro.