Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Festa Patronale di Maria SS. Mater Domini a Laterza

Carissimi fratelli e sorelle,

è sempre motivo di particolare gioia ritrovarci in questo Santuario della Mater Domini per celebrare e lodare la Vergine Maria, custode delle attese, dei sospiri, delle lacrime e delle gioie di tante generazioni.

Lo è ancor più oggi, in questa festa patronale, perché la grazia del Giubileo – qui di casa in quest’anno santo, essendo questa una Chiesa giubilare – spalanca dinanzi a noi la “Porta del Paradiso” con il dono speciale dell’Indulgenza plenaria, che ci «permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio» (Francesco, Spes non confundit, 23), una misericordia che precede, accompagna e supera ogni nostra fragilità.

Saluto caramente don Domenico Giacovelli, Rettore di questo Santuario, il Vicario generale, i Parroci di Laterza e gli altri sacerdoti presenti, il Signor Sindaco e le autorità civili e militari, così come il Presidente e i componenti della Deputazione del Santuario.

La Parola di Dio appena proclamata ci dischiude un itinerario lineare e luminoso, che la Vergine Maria ha già percorso e che ora ci consegna come via da intraprendere.

Nella pagina degli Atti degli Apostoli, gli Undici domandano a Gesù se sia giunto il tempo del compimento finale: «Signore, è questo il tempo?» (At 1,6). Ma Egli rovescia il loro schema, ricordando che i tempi sono prerogativa del Padre che è nei cieli e che la risposta non sta nei calcoli, bensì nel dono della «forza dallo Spirito Santo che scenderà» (At 1,8). Poi ascende al cielo, lasciando i discepoli con lo sguardo sospeso, finché due angeli li riportano alla concretezza del presente.

E’ il momento della svolta (della novità): «ritornano a Gerusalemme» (At 1,12), si raccolgono nel Cenacolo (la stanza al piano superiore) «assidui e concordi nella preghiera con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (At 1,14).

Fratelli e sorelle, è proprio qui che prende forma la speranza che il Giubileo ci chiede di rianimare (cfr. Francesco, Spes non confundit, 1): non in una previsione astratta, ma nell’esperienza concreta di una comunità che prega insieme e che pone al centro la Madre, l’unica che ha già detto “sì” all’impossibile e che, perciò, può garantire che la promessa non si perderà nel vuoto e la forza dello Spirito non verrà meno davanti allo scoraggiamento.

Dal canto suo, il salmista ci ha offerto una professione di fede audace e colma di stupore: «Di te si dicono cose stupende, città di Dio… Il Signore iscriverà nel libro dei popoli: Là costui è nato» (Sal 86).

E’ il richiamo alla nostra vera identità: siamo cittadini del cielo, e nessun fallimento umano, nessuna delusione affettiva, nessuna criticità di vita potrà mai cancellare quel sigillo (il marchio di fabbrica) che Dio ha impresso nella nostra esistenza come fonte della vita.

Anche la Vergine Maria, che ha custodito Gesù prima nel grembo e poi tra le braccia spezzate della Croce, ci ricorda che l’appartenenza è più forte dello smarrimento, e ci sussurra – oggi come allora – le parole che la sostennero nella sua giovane età a Nazaret: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). E oggi quelle parole giungono a noi come balsamo: “Non temete, fratelli!”.

Partecipandoci l’annuncio rivolto alla comunità dei Galati, Paolo ci svela la radice di questa speranza: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5), e aggiunge che lo Spirito del Figlio grida in noi nostri cuori: «Abbà, Padre!» (Gal 4,6).

Se Dio ci ha donato il suo amore «per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1), la speranza non è un’illusione per coprire i problemi, è piuttosto un respiro nuovo che ci spinge ad alzare lo sguardo, ricordandoci che «non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma abbiamo ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (cfr. Rm 8,15-16)

Paolo ci ricorda, dunque, che tutto, nella storia, passa attraverso quel «nato da donna» (Gal 4,4).

Infatti, senza il “Sì” di Maria la speranza sarebbe rimasta un desiderio sospeso, ma con il suo “Sì” è diventata carne. Perciò Maria è davvero la Madre della speranza, perché il suo grembo è stato il ponte che ha offerto al mondo la vicinanza del cielo.

E giungiamo, infine, al Vangelo di Luca. Quando la folla gli riferisce che la madre e i fratelli lo cercano, Gesù risponde: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21)

Gesù, di certo, non stava sminuendo il ruolo di Maria, ma ci sta ricordando che la vera parentela si fonda sull’ascolto obbediente della Parola.

Maria è la prima discepola, la capofila di questa famiglia allargata, e ci invita a imitarla, a far scendere la Parola dall’orecchio al cuore e dal cuore alle mani, affinché la speranza diventi azione, stile e carne.

Proviamo, allora, per un attimo a dare unità a questo messaggio proclamato.

Gli Atti ci mostrano la speranza che nasce dalla preghiera condivisa, il Salmo la dipinge con i colori dell’appartenenza, Paolo la fonda nella filiazione divina e Luca la rende concreta nell’obbedienza vissuta.

E Maria? E’ l’arco che sostiene tutta la costruzione, colei che abbraccia e integra questo cammino.

Cari fratelli e sorelle,

se vogliamo che questa speranza diventi contagiosa—come ci ha chiesto Papa Francesco nella Bolla di indizione di quest’Anno santo –dobbiamo fare spazio, sul modello di Maria, ad alcune decisioni di vita fondamentali:

– coltiviamo quotidianamente il “cenacolo”, facendo della preghiera e della concordia la grammatica delle nostre relazioni;

– facciamoci prossimi, con gesti concreti di fraternità, perché ogni persona è parte insostituibile di una comunità viva;

– traduciamo in vita la Parola ascoltata: scegliamone un frammento e chiediamo allo Spirito e a Maria di aiutarci a metterlo in pratica, qui e ora.

Non lasciamoci rubare questo progetto dalla paura o dalla rassegnazione.

La speranza non è ingenuità o ottimismo vago, è piuttosto forza che nasce dalla certezza  di essere figli accompagnati da una Madre che: ha atteso a Nazaret, ha interceduto a Cana, ha resistito sul Golgota, ha pregato nel Cenacolo e continua a farlo ancora oggi per ciascuno di noi.

Lasciamoci abbracciare da Maria… e poi “usciamo” per condividere questi abbracci…

La speranza non delude (Rm 5,5), ma non umilia e non illude; si nasconde nei gesti semplici di questa celebrazione – nel pane spezzato e nel vino versato – e ci rende capaci di portare un raggio di speranza anche negli angoli più oscuri delle nostre storie personali.

O Vergine Maria,
Mater Domini,
Stella della speranza,
posa il tuo sguardo su Laterza,
accompagna i giovani alla fiducia,
gli adulti alla fedeltà,
gli anziani alla pace,
i poveri alla consolazione.
Fa’ di noi piedi che camminano,
mani che condividono,
cuori che credono,
perché il mondo riconosca,
guardando la nostra vita,
che la speranza cristiana
non è un sogno, ma una presenza:
Cristo risorto che vive in mezzo a noi
e non delude mai. Amen.