III Domenica di Pasqua

 Carissimi, 

è una settimana in cammino. Sabato e domenica scorsa l’abbraccio con le varie comunità per un arrivederci: quando e come, è preoccupazione e occupazione del Buon Padre. Da giovedì 15 a domenica 19 con i pastorelli di Fatima che mi accompagnano dalla Mamma dolcissima. Domenica sera giungo a Roma per qualche visitina specialmente dalle famiglie amiche ROM e amici. 

Mi accompagnate con la preghiera e io con voi. 

Affettuoso abbraccio. 

 

Don Vincenzo

 

Lc 24,35-4 “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro…”.

 

padre Ermes Ronchi   “Non sono un fanta­sma!” Mi colpisce il la­mento di Gesù, una tristezza nelle sue parole, ma ancor più il suo desiderio di essere toccato, stretto, ab­bracciato come un amico che torna: Guardate, toc­cate, mangiamo!

Gli apostoli si ar­rendono al più fami­liare dei segni, al più umano dei bisogni. Gesù vuole en­trare nella vita concreta dei suoi. Perché anche il Vangelo non sia un fanta­sma, un rito settimanale, ma roccia su cui costruire. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, ha carne e sangue come noi. Mangiare insieme è il segno più eloquente di una comu­nione ritrovata. Non chiede di digiunare per lui, ma di mangiare con lui. Vuole partecipare alla mia vita e che io condivida la sua.

La sua prima parola è: Pace a voi! Solo il cuore in pace capisce. Quando sentiamo il cuore in tumulto è bene fer­marci, fare silenzio, non par­lare.

Mi consola la fatica dei disce­poli a credere. È la garan­zia che la risurrezione di Ge­sù non è una loro invenzione, ma un evento che li ha spiaz­zati.

 

don Marco Pedron – Le vie del Risorto – L’esperienza del Signore Risorto, cioè il sentirlo vivo, è un’esperienza che ciascuno deve fare per sé. “Toccatemi, guardate le mie mani, i miei piedi”. Si tratta cioè di toccare, vedere con il cuore, di rendersi conto che davvero Lui è vivo, che Lui agisce. Non basta che gli altri mi raccontino. Non basta nulla se io non ho il coraggio di toccare, di lasciarmi coinvolgere, di mettermi in gioco. Tutto non basta se io dubito: Mi piacerebbe che fosse così… dev’essere anche vero ma io non sento niente!”. Perché non l’ha incontrato, perché non l’ha toccato, perché non si è lasciata coinvolgere. Quando una cosa ti ha cambiato la vita, ti ha fatto riscoprire la gioia dell’amore, a sentire la vita dentro di te dopo aver vissuto come un morto e con la morte dentro, allora tu lo sai per certo: “Lui è vivo”.

La fede è un’esperienza e un incontro. Se vuoi sapere chi è Dio, lo devi toccare. Altrimenti hai idee su Dio. Ma solo idee. E con l’idea del cibo non si mangia: si muore di fame! Luca descrive la difficoltà degli apostoli di credere: la fede è un cammino, una strada, un passo dopo passo. La gradualità, l’evolvere giorno dopo giorno, dice quanto vogliamo una cosa (quanto cioè siamo motivati).

Luca descrive anche le strade per arrivare al Signore: La prima strada, come domenica scorsa, è l’incontro con le proprie ferite. Gesù mostra ai discepoli le mani e i piedi feriti. Le mani rappresentano il fare, il realizzare. Le tue mani ferite possono guarire. Certo, se inizi a dire: “Troppo tardi; alla mia età? ma se non ci sono mai riuscita!”, allora è davvero la fine. I piedi feriti sono l’incapacità di stare in piedi con le proprie gambe, i diventare se stessi.

La seconda strada è l’amicizia, la donazione. Quando noi tra amici, riusciamo ad aprirci e ad aprire il nostro cuore. Allora ci sentiamo amati, allora troviamo fiducia in noi e in ciò che siamo; allora ci sentiamo interiormente forti.

La terza strada è la comprensione. Noi abbiamo bisogno di comprendere la nostra storia. Trovare un senso al nostro vivere è fare esperienza del Signore Risorto: si scopre che nulla è per caso ma che tutto ha un senso ben preciso.

Ma Gesù spiega agli apostoli anche le Scritture. Noi abbiamo bisogno di capire il vangelo e la Bibbia. C’è molta ignoranza a riguardo. Tornare al vangelo e a Gesù è esperienza del Risorto.

Perché il vangelo non è un libro da leggere ma una persona da incontrare e far entrare dentro di te.

 

Paolo Curtaz – Troppo bello… – Gesù è risorto, veramente risorto, finalmente risorto! È davvero lui ma fatichiamo a riconoscerlo. Forse anche a noi è successo di superare la diffidenza verso una Chiesa che, a volte, non è trasparenza del vangelo ma ostacolo, di sentire il cuore allargarsi davanti alla notizia della presenza del Signore.

Quando annunciamo il Cristo, Cristo stesso si rende presente. Che bello! Troppo bello per essere vero…

Dubbi. Un fede che non attraversa momenti di dubbio, un’adesione al vangelo che non sia faticosa e sanguinante, è pericolosa. Quando incontriamo il Signore durante un pellegrinaggio…, rischiamo di essere travolti dalle emozioni, salvo poi crollare nei pressi del Golgota. Dio ha un progetto di salvezza su di noi e ci chiede di collaborare a tale progetto. È davvero salvo il mondo? Dove? E la Chiesa, caparra del Regno, che vive spesso dilaniata fra diverse partigianerie, come può essere credibile?

Segni. Ai discepoli dubbiosi e a noi Cristo mostra le mani e i piedi. Vuole essere riconosciuto dalle ferite dei chiodi, non dal volto, come avviene normalmente. Cristo ci dice che lui ha combattuto e lottato per inaugurare il Regno, attraversa la contraddizione della croce, del dono di sé. Beati noi che scriviamo mille altri vangeli con le nostre piccole vite. Siamo noi a realizzare la sua presenza: noi che ora vediamo, noi che abbiamo superato la paralisi dell’egoismo, noi che abbiamo la pace nel cuore, noi che annunciamo il vangelo del perdono dei peccati e della riconciliazione. Beati noi che crediamo senza avere visto.

Luci. Cristo ci dona lo Spirito che apre le nostre menti all’intelligenza della fede, di far risuonare Parola e vita, La Parola che celebriamo ogni domenica ci aiuta a capire.

 

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Parola e vita – “Guardate, toc­cate, mangiamo!” Vuole partecipare alla mia vita e che io condivida la sua. Non mi stanco di pregare ogni giorno, recitando il 5° Mistero della Gioia, “Istituzione dell’Eucaristia”, perché l’«Udire la Messa la domenica e le altre feste comandate» più che precetto , venga avvertito come esigenza di vita. È l’incontro con il Risorto che agisce in noi e con noi. Se la Chiesa lo colloca ancora come primo precetto generale da osservare, lo fa come madre che obbliga il figlio a mangiare almeno una volta la settimana.

Gesù: “Il Rabbì che amava i banchetti” (Enzo Bianchi). In quei banchetti la gente cambiava vita: ma non per quello che mangiava, ma perché trovava la forza di essere se stessa e si sentiva accolta. Adesso lo rifà come allora, sta a noi sentirlo vivo come allora: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

Sta a noi celebranti far guardare, toccare, mangiare il Cristo. Ma …se già noi celebriamo il Rito più che vivere l’incontro con lo stupore, l’emozione, la gioia incredula ma di chi crede senza vedere! Fin dall’inizio io cerco di mettere i partecipanti a contatto con il Risorto che ci dona la Pace, ci rialza dalle cadute, ci rimette i peccati. Notando con frequenza i tanti che non si comunicano perché abituati ad assistere senza mangiare, invito tutti a rispondere all’invito di Gesù: “Prendete e mangiatene tutti”, a meno che non ci siano situazioni, note a tutti, che ce l’impediscano. Atri perché non confessati, abituati a sentirsi perdonati solo con il Sacramento della Confessione, nonostante l’Atto penitenziale iniziale (se non si è soltanto recitata una formula!).

Lasciamoci guarire da Gesù. È Lui il Medico che, una volta guariti, ci esorta, certo, ad andare dal sacerdote (Lc 17,14) per ricevere dal Sacramento della Riconciliazione il rimedio tonificante contro la nostra infermità. In genere, purtroppo, capita il contrario: prima guarisci, confessati, e poi vai dal Medico!. La Chiesa, Madre sempre attenta, ci esorta a frequentare la Confessione, ricostituente efficace, almeno …una volta all’anno, consigliando certo a farlo quanto prima possibile se il male è grave. Ho  sperimentato che quello che una volta consideravo veniale (Mt 5,22) è davvero mortale per me, e il mortale di tanti fratelli che di Dio conoscono poco o niente sono tutti perdonati più facilmente (Lc 12,48). E, capita, ci si va a confessare per poter fare la comunione, più che avvertire la gravità della mia infermità. Si tornerà anche spesso a confessarsi, ma per poter fare la comunione, lasciando perdere con superficialità (tanto non c’è niente da fare!), la cancrena.

Gesù mostra ai discepoli le mani e i piedi feriti, segno della sofferenza, del sapersi donare. “Guardate, toc­cate, mangiamo!”. 

Gesù vuole partecipare alla mia vita e che io condivida la sua.