«Nelle tenebre della storia… rimettiamo la famiglia al centro»
Carissimi fratelli e figli
di questa amata Chiesa che è in Castellaneta,
è il primo Natale che celebro insieme con tutti voi, che rappresentate la mia nuova famiglia, a cui esprimo il desiderio e la necessità di condividere sentimenti augurali nello spirito tipico di questa festa particolare, che ci invita a rallegrarci perché in essa «è nato il nostro Salvatore e non è bene che vi sia tristezza dove si ha il natale della vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell’eternità»[1].
«L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46).
Con gli stessi sentimenti di Maria in visita alla parente Elisabetta elevo in primis un inno di lode e di ringraziamento al Signore per il dono che siete voi tutti e con esso la gratitudine per la gioia di quell’accoglienza autentica e sincera che ho sperimentato fin dal nostro primo incontro, a Benevento il 14 maggio in occasione della mia Ordinazione episcopale, quando siete venuti in tanti per rendermi parte delle vostre vite e della vostra storia.
Dalle tenebre alla luce…
Dopo aver letto il Messaggio di Papa Francesco per la 56a Giornata Mondiale della Pace (1 gennaio 2023) sul tema: Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace – che vi esorto a leggere e meditare in questi giorni natalizi – sono sempre più consapevole che quest’anno il Natale giunge in un’ora segnata da un cambiamento epocale, in cui il mondo e tante nostre realtà anche pastorali, forse, non torneranno più come prima.
Nello scorso mese di ottobre il Centro Einaudi, rileggendo in particolare il vissuto italiano, ha presentato la ricerca dal titolo Il mondo post globale[2], nel quale ha individuato quattro “crisi”, che potremmo ben intendere come “opportunità”:
- la pandemia da Covid-19, non ancora conclusa e che continua ad interessare il nostro ordinario vissuto, «che ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini»[3];
- l’emergenza climatico-ambientale, che ha colpito molte aree del pianeta e da ultimo ci ha fatto focalizzare l’attenzione sulla tragedia nell’isola di Ischia;
- la situazione geo-politica, con la «nuova terribile sciagura che si è abbattuta sull’umanità – nel cuore del Vecchio continente – con la guerra in Ucraina che continua a mietere vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso ed indiscriminato per tutti, anche per quanti – come noi -, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali»[4];
- la crisi economico-sociale, in parte innescata dalle innovazioni tecnologiche e complicata dalle altre tre “crisi”.
Le esperienze vissute – almeno negli ultimi tre anni – dinanzi alla prospettiva del Natale, che celebriamo senza più alcuna restrizione, ci obbligano a fermarci e ad interrogarci, lasciando risuonare in noi la forza dell’oracolo del profeta Isaia:
«Mi si grida da Seir:
“Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella quanto resta della notte?”
La sentinella risponde:
“Viene il mattino, poi anche la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!”» (Is 21,11-12).
Non si tratta certamente di una risposta consolatoria, incapace di dirci quando terminerà realmente la notte, ma ci sollecita e ci induce a vincere l’inerzia, a riempire questo tempo di attesa con l’esercizio di una responsabilità attiva.
Giuseppe Dossetti, commentando questo oracolo, scriveva: «La sentinella non si azzarda a rimpiangere il passato, ma si immerge consapevolmente nella notte: dice con semplicità e forza che la notte è notte, ma sempre con l’anima della sentinella che è tutta posta verso l’aurora. Il profeta non vuole alimentare l’illusione di immediato cambiamento, e anzi, invita a insistere, a ridomandare. È lo stimolo a una perseveranza durevole, che sa, anche nelle circostanze estreme, sfuggire alla tentazione di soluzioni facili. La sostanza ultima dell’oracolo della sentinella è al di fuori di ogni ambiguità: “convertitevi!”»[1]. E, per questo motivo, Papa Francesco ci ricorda sempre e di nuovo che «dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori»[2].
Come le folle, i pubblicani e i soldati andavano ad ascoltare la predicazione di Giovanni Battista, lasciandosi battezzare in preparazione al ministero di Gesù, anche noi, consapevoli di queste quattro “crisi-opportunità” di vita, dobbiamo chiederci: «E noi, che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,14).
«Non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza», ripeteva spesso don Tonino Bello. Occorre perciò «lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, […] permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune»[7].
Anche noi siamo parte di quel «popolo che camminava nelle tenebre e vide una grande luce. Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). A Natale ricordiamo la nascita del Bambino di Betlemme, un evento che resta in ogni tempo la più grande speranza per l’umanità. È la festa della luce e della gioia, la celebrazione del Dio della vita. È il momento favorevole per riaccendere la speranza, illuminare le ore buie della storia, infondere ad ogni persona umana la forza di rinascere anche da situazioni che sembrano irreversibili[8].
Camminiamo insieme… rimettendo “la famiglia” al centro.
Come comunità ecclesiale di Castellaneta, in questo particolare tempo – e siamo già al secondo anno – ci stiamo lasciando provocare, come del resto la Chiesa intera e quella italiana in specie, dalla riscoperta dell’impegno del “camminare insieme”, con un proprio itinerario sinodale e l’orecchio teso a «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Cf. Ap 2-3).
Vincendo paure, incertezze e un senso di smarrimento – con l’impegno a contrastare la tentazione sempre in agguato dell’autoreferenzialità che impedisce ogni possibilità di comunione-condivisione – ci stiamo sforzando di fare “sinodo”, condividendo quei “cantieri”, intesi come spazi di ascolto e di ricerca, emersi nel primo anno del biennio della fase narrativa dai diversi “tavoli sinodali”. Nella nostra Diocesi ne sono stati attivati ben 188 con 1.763 partecipanti e 30 parrocchie coinvolte.
Ma oltre a quelli indicati dalla Conferenza Episcopale nel sussidio “I cantieri di Betania”[9], frutto dell’ascolto della voce di tutte le Chiese che sono in Italia, come Chiesa che è in Castellaneta abbiamo scelto di riflettere su un quarto cantiere: quello della famiglia.
Non a caso Dio, per entrare nella storia dell’umanità, sceglie proprio una famiglia, costituita da due sposi: Giuseppe e Maria, i primi a gioire e a rallegrarsi nella notte santa. Che felice coincidenza, verrebbe da dire: la famiglia è la prima scelta di Gesù che viene nel mondo.
«L’incarnazione del Verbo in una famiglia umana a Nazaret, commuove con la sua novità la storia del mondo. Abbiamo bisogno di immergerci nel mistero della nascita di Gesù, nel sì di Maria all’annuncio dell’Angelo, quando venne concepita la Parola nel suo seno; anche nel sì di Giuseppe, che ha dato il nome a Gesù e si fece carico di Maria; nella festa dei pastori al presepe; nell’adorazione dei Magi; nella fuga in Egitto… Questo è il mistero del Natale e il segreto di Nazareth, pieno di profumo di famiglia… [laddove] l’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la Santa Famiglia di Nazaret, illumina il principio che dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia»[10].
Gesù vive e cresce «in sapienza, età e grazia» (Lc 2,52) in seno ad una famiglia. A Cana di Galilea (Cf. Gv 2,1-11), all’inizio del suo ministero, opera il suo primo segno su richiesta della Madre, in cui rivela «la bontà del matrimonio»[11], proprio a favore di una nuova famiglia. Con la sua presenza porta salvezza e benedizione in tante famiglie – pensiamo alla visita a casa di Pietro con la guarigione della suocera ammalata (Mt 8,14-15) e in quella di Zaccheo (Lc 19,1-10) – che l’hanno accolto con gioia. Ha onorato la famiglia di Betania (Lc 10,38-42), accettando l’ospitalità offerta nella diversa manifestazione d’amore, attraverso il “fare” di Marta e lo “stare” di Maria. Ha riaffermato «l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna da non intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio»[12].
In occasione dell’Assemblea Diocesana dello scorso 19 ottobre, a Laterza nella Chiesa dello Spirito Santo, per introdurci nel tema di questo quarto cantiere sinodale ci siamo lasciati accompagnare dalle parole della Prof.ssa Simona Segoloni, con la riflessione «La Chiesa nelle case. Per ripartire dalle famiglie»[13]. Con tale riflessione ci ha aiutato ad evitare alcune trappole che una visione stereotipata della famiglia potrebbe comportare, con questioni di natura etico-morale-sessuale, sociologiche e degli ambiti vitali; ci ha spronati a rimettere la famiglia al centro, ripartendo dalla certezza che «Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana»[14], consapevole della bellezza della sua ferialità.
Allora viene da chiederci: come possiamo concretamente rimettere la famiglia al centro?
La Professoressa Segoloni, in sintesi, ci ha indicato tre passi fondamentali da intraprendere: anzitutto, riconoscere la propria casa (spazio vitale) come “frammento” di Chiesa, ossia il luogo in cui si può vivere e testimoniare la fede; poi, la necessità di liberare la famiglia da alcuni ostacoli che ne appesantiscono il suo ordinario vissuto, come ad esempio la disparità nella scelta della realizzazione professionale tra donna ed uomo, la complessità a conciliare il lavoro e la vita familiare in relazione ai figli, l’abbandono degli anziani per la difficoltà ad accudirli, l’annosa questione della ricerca del lavoro come giusto sostentamento; ed infine, per ridare centralità alla famiglia, la Chiesa deve riappropriarsi dello stile testimoniale della familiarità ecclesiale, con l’impegno ad essere «una famiglia tra le famiglie, aperta a testimoniare […] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte aperte. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è madre»[15].
Il mistero del Natale è l’espressione più significativa del desiderio di Gesù di entrare in casa (Cf. Mt 9,28) piuttosto che attenderci nel luogo sacro per antonomasia, il Tempio. «Il Verbo si fece carne – annuncia Giovanni nel prologo – e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). È la piena manifestazione del desiderio di entrare nelle nostre abitazioni, di stare fra le persone, di condividere la nostra umanità nelle sue gioie e con le sue difficoltà. Abbiamo bisogno di percepire e di toccare con mano questa “inabitazione” che Cristo ha voluto.
L’occasione di questo Natale potrebbe rivelarsi propizia per ricominciare con un serio annuncio del “Vangelo della famiglia” quale «gioia che “riempie il cuore e la vita intera”, perché in Cristo siamo “liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (EG 1)»[16]. Bisogna impegnarsi – come uomini e donne di buona volontà – a riconoscere e testimoniare «quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità. Ci viene chiesto di mettere in evidenza il luminoso piano di Dio sulla famiglia e aiutare i coniugi a viverlo con gioia nella loro esistenza, accompagnandoli in tante difficoltà, con una pastorale intelligente, coraggiosa e piena d’amore»[17].
Prima di ogni possibile scelta pastorale dobbiamo sforzarci di ritrovare il “gusto della famiglia”, dimostrando di essere una comunità capace di generare comunione e non divisione, desiderosa di abbattere muri di separazione o strutture di “sana” indifferenza, manifestando docilità e disponibilità all’ospitalità, diradando – con la luce certa del Natale – le ombre di tante situazioni ibride e non sempre chiare e trasparenti per lo splendore del comune vivere.
È urgente recuperare nuovo ardore e passione nella testimonianza della sacralità e della santità del matrimonio, come sacramento e progetto di costruzione della «cultura dell’incontro»[18], e della famiglia, come «cellula fondamentale della società»[19], impegnata a gettare ponti tra le generazioni e trasmettere i valori che costituiscono l’umanità[20].
Le tre parole semplici «permesso, grazie, scusa»[21], ripetute spesso da Papa Francesco alle coppie di sposi e alla famiglia – espressione di buona educazione, saldamente radicate nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro – necessitano di essere riscoperte da tutti, quale lessico indispensabile per il comune stare insieme, a cui dover aggiungere altre due qualità essenziali per l’amore familiare e comunionale: la stima e il rispetto vicendevoli.
Un’ultima sfida resta sempre più da approfondire per dare qualità alla vita buona del Vangelo delle nostre comunità: la fondamentale ed imprescindibile alleanza educativa tra la famiglia e la comunità ecclesiale nel generare i figli alla fede[22].
Per questo, esorto ed invito quanti hanno a cuore l’iniziazione cristiana dei loro figli, al di là di un impegno come catechista o animatore in Parrocchia, a prendere parte alla prossima XII Settimana Catechetica Diocesana dal tema: «La fede e la sua trasmissione “in dialetto”. Famiglia ed educazione alla vita cristiana» che si terrà dal 23 al 25 gennaio 2023 a Laterza-Chiesa dello Spirito Santo. «I catechisti devono imparare a trasmettere la fede in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è trasmessa totalmente e bene»[23]
Al Signore Gesù che viene nel mondo come «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) chiediamo di indicarci la strada da percorrere per non far prevalere la stanchezza e l’apatia e soprattutto ci doni la forza per guardare di più all’altro (coniuge, figlio, fratello, sorella, parente, amico o semplice conoscente…), con serenità, misericordia e compassione. Lo stile evangelico della famiglia ci riporti all’essenza di ogni esistenza. Preoccupiamoci tutti di amare. Impariamo – in famiglia ed in ogni comunità ecclesiale – ad essere artigiani delle sette opere di misericordia corporale[24] e spirituale[25], perché solo la misericordia compie il prodigio di: cambiare lo sguardo, allargare il cuore e trasformare la vita in dono.
Pace in terra agli uomini amati di buona volontà…
Come ho già scritto nei giorni scorsi a tutti gli studenti e le studentesse delle scuole della nostra Diocesi, lo ripeto anche a voi: «il miracolo della pace in tempo di guerra, a Natale, è sempre possibile». Vi chiedo di pregare e di cantare forte e tutti insieme la Pace, perché possa giungere anche al cuore di chi detiene le sorti della Terra. La potenza dell’amore di Dio pieghi la durezza dell’uomo e, in un mondo lacerato da lotte e discordie, guerre e divisioni, lo renda disponibile alla riconciliazione.
Nella notte di Natale vi chiedo di associarvi alla mia preghiera, a quella di tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose e delle comunità cristiane che, riuniti nelle Chiese della nostra Diocesi, celebreranno la nascita del Salvatore, perché lo Spirito Santo agisca nell’intimo dei cuori, i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli, le religioni e le culture, si incontrino nella concordia. Solo così daremo gloria a Dio nei cieli e assisteremo alla nascita di una nuova umanità, nella cui prospettiva si potrà sognare e investire tutto il nostro futuro.
Auguri di un sereno e felice Natale,
che sia per tutti davvero una festa di famiglia!
Castellaneta, 23 dicembre 2022
+ Sabino IANNUZZI
Vescovo
[1] S. Leone Magno, Primo discorso tenuto nel Natale del Signore in Il Mistero del Natale (Sermoni). Patristica, Edizioni Paoline 1972, 61.
[2] Cf. Mario Deaglio (cur.), Il mondo post globale, Guerini e Associati, Centro Einaudi 2022.
[3] Francesco, Messaggio per la LVI Giornata Mondiale della Pace. 1° gennaio 2023. Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace, 8 dicembre 2022, 2.
[4] Ivi, 4.
[5] Cf. G. Dossetti, Sentinella, quanto resta della notte?, Ed. San Lorenzo, 1994
[6] Francesco, Messaggio per la LVI Giornata Mondiale della Pace. 1° gennaio 2023, 3.
[7] Ivi, 5.
[8] Cf. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 276.
[9] Cf. https://camminosinodale.chiesacattolica.it/i-cantieri-di-betania/
[10] Francesco, Esortazione Apostolica Amoris laetitia, 65-66.
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica 1613.
[12] Cf. Francesco, Esortazione Apostolica Amoris laetitia, 62.
[13] Per rivedere la relazione della Prof. Simona Segoloni sul tema «La Chiesa nelle Case. Per ripartire dalle famiglie»: https://www.youtube.com/watch?v=BOVHIheyoUI.
[14] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 113.
[15] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, 276.
[16] Francesco, Esortazione Apostolica Amoris laetitia, 200.
[17] Francesco, Discorso al Concistoro straordinario del 20 febbraio 2014.
[18] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, 216.
[19] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 66.
[20] Cf. Francesco, Lettera agli sposi. In occasione dell’Anno “Famiglia Amoris Laetitia”, LEV 2022, 7.
[21] Francesco, Discorso alle famiglie del mondo in occasione del pellegrinaggio a Roma nell’Anno della Fede, 26 ottobre 2013; Cf. Amoris laetitia, 133.
[22] Cf. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, 231.
[23] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’UCN, 30 gennaio 2021.
[24] Le sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati; dar da bene agli assetati; vestire gli ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati; seppellire i morti.
[25] Le sette opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare Dio per i vivi e per i morti.