Fratelli e sorelle,
saluto caramente voi tutti, il caro don Antonio Favale, i confratelli presbiteri qui presenti e le autorità civili e militari
Questa sera, al termine della nostra processione, avendo ancora addosso la brezza del profumo del mare, ci ritroviamo davanti all’altare per contemplare Maria, nella vigilia della sua Assunzione: qui, in questa comunità parrocchiale, dove la riconosciamo come Madre della speranza e stella che orienta la rotta del nostro cammino verso Cristo.
L’esperienza della processione che abbiamo vissuto somiglia molto a quella narrata dal primo libro delle Cronache (1 Cr 15,3-4.15-16;16,1-2), quando il popolo, insieme a Davide, fece salire l’Arca dell’Alleanza tra canti e benedizioni: c’era gioia, erano un cuore solo ed avevano l’unico desiderio di far posto alla presenza di Dio in mezzo alle case.
Questa sera anche noi abbiamo accompagnato l’Arca vivente della nuova Alleanza, Maria, la donna che:
- non porta più tavole di pietra, ma il Verbo fatto carne;
- non la manna per un giorno, ma il Pane vivo disceso dal cielo;
- non un segno di potere, ma il Signore della misericordia.
E la preghiera che abbiamo elevato con il salmista – invocando il Signore perché salisse al luogo del suo riposo insieme all’Arca della sua potenza – ci aiuta a entrare nel mistero dell’Assunzione:
- il riposo di Maria non è fuga dal mondo, ma approdo nella comunione piena con Dio;
- è il compimento di una vita che ha fatto spazio alla Parola e l’ha portata fino in fondo, dall’Annunciazione al Calvario.
Se l’Arca trova dimora, anche noi possiamo trovare casa; se Maria è assunta, anche noi possiamo alzare lo sguardo e sperare in una pienezza che non delude.
Ed ecco il Vangelo: tra la folla una donna esalta la Madre per aver generato Gesù, e il Signore risponde spostando l’attenzione sulla radice della vera beatitudine: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano» (Lc 11,38).
È come dire:
- la grandezza di Maria non si ferma al grembo che porta, ma al cuore che ascolta;
- non solo alla maternità, ma al discepolato;
- non solo al dono ricevuto, ma alla fedeltà con cui lo ha accolto e custodito.
Maria è Madre della speranza proprio perché è stata la donna dell’ascolto: ha creduto alle promesse, le ha tenute nel cuore quando tutto sembrava oscuro, le ha rese carne nella quotidianità.
Quanta luce c’è, per noi, in questa parola: la speranza cristiana non nasce da un vacuo ottimismo, ma dall’ascolto di un Dio che parla, mantiene la sua promessa e guida la storia anche quando noi non vediamo la strada.
In un luogo, come questo, che porta il nome di “Stella del mare” comprendiamo bene come: un marinaio non costruisca la stella, ma la riconosce e la segue; così il discepolo non si dà da solo la speranza, ma guarda Maria, la stella che indica il Nord che non tramonta, Cristo.
E se nel Vangelo Maria è proclamata beata perché ascolta e obbedisce, nella seconda lettura san Paolo ci mette davanti al trionfo del Risorto: «La morte è stata inghiottita nella vittoria… Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,54-55).
L’Assunzione di Maria è come un’eco di questa vittoria: in lei, creatura redenta, la Pasqua di Cristo manifesta tutta la sua forza; la corruzione non ha potere, la tomba non trattiene, la vita nuova abbraccia anima e corpo.
Per questo Maria è Madre della speranza, in lei vediamo compiuto il nostro destino: ciò che Dio prepara a coloro che lo amano.
Quando la morte ci fa paura, quando una prova ci schiaccia, quando un addio ci spezza il cuore, possiamo dire a noi stessi: non è finita qui; c’è una madre in cielo che già vive la gioia promessa e ci indica che nessuna lacrima andrà perduta, che nulla dell’amore vero è inutile, che la vita avrà sempre l’ultima parola.
È proprio con questo sguardo che dobbiamo vivere il tempo del Giubileo, che Papa Francesco – di venerata memoria – ha voluto fosse dedicato alla “speranza che non delude”.
Siamo invitati ad essere “pellegrini di speranza”: ieri per le strade della nostra città, domani nei sentieri della quotidianità, tra impegni, fragilità e desideri.
Essere “pellegrini di speranza” significa camminare sapendo che non siamo soli, che Dio mantiene la parola data, che nulla potrà mai separarci dal suo amore.
Significa lasciarsi rialzare quando inciampiamo, ricominciare quando ci stanchiamo, guardare oltre quando il presente sembra chiuso.
Maria ci educa a questa speranza concreta e tenace: lo fa con la sua discrezione, con la sua fermezza, con il suo silenzio capace di dire l’essenziale.
E se pensiamo alla croce, la vediamo lì, in piedi, mentre tutto vacilla: Lei è la donna che non grida, non scappa, non accusa; semplicemente sta!
Maria è la speranza che sta, che non si piega davanti alla notte perché sa che l’alba verrà.
Ma l’alba che chiediamo per noi la vogliamo invocare anche per il mondo.
Questa sera la nostra preghiera, attraverso la Vergine Maria, sale al Signore per il dono della pace. Non una pace di facciata, fatta di tregue provvisorie, ma una pace che nasce da cuori pacificati, riconciliati, convertiti. Ne abbiamo bisogno nelle case, nelle città, tra i popoli. Vogliamo chiedere la grazia di una “pace disarmata e disarmante”, come ha detto Papa Leone XIV: disarmata perché rifiuta la logica della forza e del terrore, disarmante perché il suo stile mite e giusto spezza i circoli viziosi dell’odio e della vendetta.
Maria, Regina della pace, interceda perché tacciano le armi, perché i piccoli siano protetti, perché chi ha responsabilità scelga strade di dialogo reale e non di calcolo, perché nascano ovunque artigiani di riconciliazione.
E questa pace cominci dal nostro cuore:
- una pace che non si compra, ma si accoglie;
- una pace che non si impone, ma si testimonia;
- una pace che non si difende con i muri, ma si costruisce con ponti.
Tornando alle letture di questa liturgia, possiamo lasciarci guidare da tre immagini che si fanno compagne di viaggio interiore nei giorni che seguiranno alla festa.
La prima è lo sguardo: l’Arca che sale, l’Assunta che entra nella dimora di Dio, la stella che orienta i naviganti.
Portiamo con noi uno sguardo un po’ più alto, capace di riconoscere i segni di Dio nelle pieghe della storia; uno sguardo che non si ferma alle onde, ma cerca la stella; uno sguardo che, quando il cielo è coperto, non si arrende e continua a credere che le stelle ci sono, anche se non si vedono.
La seconda immagine sono le mani: nel testo sacro i leviti sollevano l’Arca sulle spalle, Davide benedice, il popolo canta.
Le nostre mani possono diventare benedizione: mani disarmate che non stringono il rancore, mani aperte che sanno accogliere, mani giunte che pregano.
Non è un gesto da poco: è un linguaggio dell’anima. Mani “disarmate e giunte” dicono al cuore che non vogliamo più combattere contro l’altro, ma con la grazia di Dio vogliamo contrastare ciò che ci divide.
La terza immagine è il cuore: quel cuore in cui Maria medita e custodisce, quel cuore in cui la Parola scende come seme e lentamente mette radici.
Fratelli e sorelle,
scegliamo semplicemente una parola tra le tante ascoltate – “La speranza non delude”, “Beati quelli che ascoltano”, “Dov’è, o morte, la tua vittoria?” – e lasciamo che faccia la sua strada dentro di noi. Ripetiamola nel silenzio, come si ripete il nome di una persona amata. Permettiamo a quella parola di farci respirare a un ritmo nuovo, di addolcire una rigidità, di aprire una porta che tenevamo ben chiusa.
Così lo sguardo, le mani e il cuore diventano tre piccole stelle che, dopo la festa, continueranno a orientare la nostra rotta.
E in questa rotta, fratelli e sorelle, ricordiamo che la speranza cristiana sa cantare.
Quando l’Arca entrò, il popolo cantò; di gioia quando Maria visitò Elisabetta, il bambino danzò; quando Maria fu assunta, la Chiesa innalzò il suo Magnificat.
Anche noi abbiamo il diritto e il dovere di cantare, non per dimenticare le fatiche ma per attraversarle con una forza che non è nostra:
“L’anima mia magnifica il Signore”, perché ha guardato la piccolezza dei suoi servi, perché rovescia i potenti e innalza gli umili, perché ricolma di beni chi ha fame.
Questa non è una dolce poesia: è profezia che responsabilizza!
Se Dio rovescia e innalza, anche noi siamo chiamati a rovesciare ciò che opprime e a innalzare chi è schiacciato.
Se Dio ricolma, anche noi siamo chiamati a colmare con gesti di prossimità.
Se Dio ricorda la sua misericordia, anche noi siamo chiamati a ricordare la misericordia più delle offese.
Con questo spirito, consegniamo dunque alla Vergine Assunta il nostro cammino.
O Stella del mare, veglia su questa nostra comunità della marina.
Quando il vento cambia e le onde si alzano, fa’ che non perdiamo la rotta; quando la notte si allunga, fa’ che non spegniamo la lampada; quando la stanchezza ci piega, fa’ che non smettiamo di sperare.
Maria, Madre della speranza, insegnaci a credere contro ogni speranza; Regina della pace, prega perché il mondo impari la via di una pace disarmata e disarmante; Arca dell’Alleanza, portaci alla Presenza del Padre dove ogni lacrima sarà asciugata.
E mentre la sera scende, noi alziamo gli occhi e, lasciandoci guidare dal tuo sorriso, rinnoviamo il nostro “sì” al Signore: con te, o Maria, vogliamo ascoltare ed osservare la Parola; con te vogliamo attraversare le prove nella certezza della vittoria di Cristo; con te vogliamo cantare la speranza che non delude e seminare pace, perché il mondo, vedendo, riconosca che Dio è sempre in mezzo al suo popolo.
Amen!
+ Sabino Iannuzzi

