Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la XXXI Giornata Mondiale del Malato

È davvero bello ritrovarci insieme questo pomeriggio, per lodare e ringraziare il Signore, nella memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, giorno in cui dal 1992, per volontà di San Giovanni Paolo II, celebriamo la Giornata Mondiale del Malato, come ci ha ricordato don Pierino Balzello, incaricato diocesano della Pastorale sanitaria, a cui va il mio ringraziamento.

Grazie fin d’ora a tutti voi, fratelli e sorelle, in particolare ai cari ammalati presenti e a quanti condividono questa eucarestia con l’offerta della loro sofferenza fisica, consapevoli come annuncia Papa Francesco, nel Messaggio per questa XXXI Giornata che «la malattia fa parte della nostra esperienza umana… e che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza».

Ancora una volta ci è riproposto l’invito a contemplare il mistero di Lourdes per lasciarci orientare dal messaggio che da quel luogo prorompe per la vita, perché come disse la Madonna a Santa Bernardette: «Io non vi prometto di rendervi felici in questo mondo, ma nell’altro».

Con il salmista abbiamo più volte pregato annunciando che «Dio è per noi rifugio e forza». È Lui la nostra fiducia certa, con cui siamo al sicuro, come in una fortezza che non può essere espugnata da nessun avversario e nella quale sperimentiamo tanta serenità. È la proposta del Signore – davanti ad ogni difficoltà della vita – a “fermarsi” e a “fidarsi” sempre di Lui: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio…», ci ha ripetuto l’orante; perché, scrutando e riconoscendo l’agire del Signore, possiamo affermare con l’apostolo Paolo: «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31).

Abbiamo bisogno, sempre e di nuovo – nel nostro itinerario di vita cristiana –, di rinnovarci ed il profeta Ezechiele, nella prima lettura, ci assicura che l’assistenza del Signore, in ogni situazione, è continua e perdurante, perché dinanzi al bene e al male ci indica sempre la via della giustizia. Infatti, dopo la purificazione, mediante prove e sofferenze, per bocca del profeta, è annunciata un’alba nuova: «metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26). È questa la novità cristiana: la vita d’amore che subentra, ci sorregge, ci muove, ci guida verso la luce della verità e riversa «l’amore nei nostri cuori» (Rm 5,5). È il tempo nuovo della gioia e della grazia, in cui il Signore, strappando via il giogo della schiavitù, abiterà stabilmente la vita di ogni uomo e di ogni donna: «voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36,28). Ed aggiungerà San Giovanni: «Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in Lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci è dato» (1Gv 3,24).

Il Signore – fratelli e sorelle – continua a manifestarci la sua presenza e lo fa – sempre e di nuovo – in modo tutto particolare, sorprendendoci, spesso, non poco!

La pagina evangelica (Lc 5,17-26) ci chiede di interrogarci nuovamente sulla fede, ponendoci dinanzi ad una scena di vita quotidiana tutta particolare, con la guarigione del paralitico introdotto dai barellieri attraverso il tetto della casa, a motivo della folla.

Lo sguardo di Gesù, prima che sull’ammalato – bisognoso del suo intervento ed immagine di un’umanità incapace di muoversi verso il proprio fine, fallita perché immobilizzata, uccisa dal peccato – è fisso su quegli uomini, i barellieri, che testimoniano premura e benevolenza assoluta a quest’uomo paralizzato, per non essersi fermati, arresi, dinanzi all’ostacolo nella situazione complessa ed impediente, accollandoselo fin sopra il tetto.

Verrebbe da chiedersi: chissà che fatica avranno dovuto sostenere? Questo gesto carico di determinazione è come una preghiera silenziosa che manifesta una profonda fiducia nella possibilità di Gesù di risanare il loro amico.

Per di più, all’intraprendenza di questi barellieri, bisogna accostare lo stupore – credo intriso di sorpresa – di quanti erano presenti nella casa, che si sono visti scoperchiare il tetto sopra le loro teste e veder calare dall’alto questo paralitico. Gesù, dinanzi a tanto amore ed inventiva, di certo ne sarà rimasto non poco ammirato. Ed è proprio costatando – non solo la fede dell’ammalato – ma soprattutto quella dei barellieri, che compie il prodigio della guarigione principale: quella dello Spirito, donandogli il cuore di carne: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 5,20), perché la prima grande paralisi è proprio quella del peccato. Quella che ci costringe ad essere ripiegati su sé stessi, chiudendosi nell’egoismo, nell’orgoglio, nell’invidia, in tutti quegli aspetti che, invece di far fiorire la nostra umanità, la bloccano.

E quando gli scribi e i farisei manifestano, nel giudizio, la loro indignazione per quest’azione di grazia – che è la nuova creazione da parte dell’Onnipotenza di Dio -, oltre al perdono Gesù consegna anche la guarigione del corpo… ed il paralitico “libero da ogni ostacolo” ritorna «a casa sua, glorificando Dio» (Lc 5,25). Quest’uomo – senza aver detto o fatto un bel niente – torna a casa sua libero e con un duplice “bottino”: il perdono e la guarigione. Infatti, è questo il vero miracolo frutto della fede creativa di un gruppo: un gruppo che sa mettere in moto le energie e i talenti di ciascuno, proprio come dovrebbe essere ogni comunità, ogni gruppo/associazione, ogni realtà parrocchiale, dove abbiamo il grande dono: oltre che di portare, di essere sostenuti.

Papa Francesco ci esorta ad «imparare da Lui – il Signore – per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto», perché «le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare».

Impegniamoci tutti, allora: assumiamo l’atteggiamento dei barellieri della pericope evangelica (perché «la Parola di Dio è sempre illuminante e contemporanea»), non lasciamoci condizionare dalle situazioni contingenti e procediamo con tenacia e costanza nella via del bene e della giustizia, testimoniando nella fede la gioia e la bellezza del dono di un cuore nuovo che si rinnova nell’azione di grazia del Signore, per la quale non possiamo che glorificare Dio per le «cose prodigiose» (Lc 5,26) che continuiamo a sperimentare con stupore nella nostra quotidianità.

Facciamoci realmente vicini a chi soffre, offrendo loro ascolto, amore ed accoglienza. Diamo voce alle tante sofferenze – quasi sempre – inascoltate di chi, soprattutto nella malattia, è spesso lasciato solo, privo quasi di tutto, a volte anche del necessario. Rendiamoci fermento di carità, in una solidarietà reciproca e gratuita, perché «è donando che si riceve, perdonando che si è perdonati» (Preghiera semplice).

La Vergine di Lourdes interceda e sorregga tutti gli ammalati ad accogliere la propria sofferenza in comunione con il Signore Gesù e sostenga tutti coloro che, a diverso ruolo, si prendono cura di loro. Amen!

+ Sabino Iannuzzi

 

Foto: Mariarosa Patruno