Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per l’inizio del ministero pastorale di Parroco di Don Giuseppe Bernalda

Nel giorno in cui la liturgia ci invita a sostare dinanzi all’icona del Dio uno e trino, celebrando il mistero della Santissima Trinità, sorgente di vita e di grazia per tutta la Chiesa, questa cara comunità di San Lorenzo martire accoglie il suo nuovo Parroco, il caro don Giuseppe Bernalda.

Per la comunità l’arrivo di un nuovo parroco è sempre l’occasione privilegiata per entrare nella novità che caratterizza l’opera che il Signore compie in noi e attorno a noi, quale segno visibile di fedeltà e di misericordia, con il provvedere a pastori per il Suo gregge, perché – come abbiamo pregato con il Salmista – L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi è l’amore del Signore, amore che noi speriamo (ed attendiamo).

Saluto caramente tutti voi carissimi fratelli e sorelle di questa comunità di San Lorenzo, così come i diversi fedeli che da Ginosa, ed in particolare dalla Parrocchia di Gesù Risorto – chiamata a vivere un distacco non facile dopo 11 anni – hanno accompagnato don Giuseppe; e con loro la sua mamma, i familiari e tutti gli amici che gli fanno corona.

Un saluto, colmo di gratitudine, lo rivolgo al caro don Franco Conte, che lo scorso 8 marzo, avvertendo il peso dell’azione pastorale per il diminuire delle sue forze fisiche, ha rassegnato le dimissioni, affinché la parrocchia potesse riprendere un nuovo slancio missionario. Non vi nascondo l’edificazione personale che ho ricevuto da questo suo gesto: non semplice, sofferto, ma traboccante d’amore per questa comunità che ha servito per venti anni. Sono certo che domani, nella prevista celebrazione eucaristica, prima della processione di ritorno della Patrona al Santuario, saprete tributargli il dovuto ringraziamento; ma fin d’ora prego il Signore per lui affinché lo ricompensi della sua consolazione, della sua gioia e della sua pace!

Saluto i presbiteri e i diaconi presenti, così come il caro don Domenico Giacovelli, Vicario di questa Vicaria laertina, che ha coordinato questa accoglienza, il Signor Sindaco (il Prof. Franco Frigiola) e le altre autorità civili e militati.

Dopo aver condiviso i misteri di Cristo fino al dono dello Spirito Santo (nella Pentecoste) la Chiesa ci invita ad alzare lo sguardo per contemplare il mistero primordiale della Santissima Trinità, fonte di ogni dono e di bene.

Siamo ben consapevoli che tutta la storia della salvezza, ed anche le letture appena proclamate, più che parlare dell’esistenza di Dio in sé (circa la sua identità), vogliono piuttosto mostrarci la sua vicinanza ed il suo amore.

Siamo posti dinanzi ad un Dio che si fa compagno di strada e che cammina “insieme” con noi.

Ad un Dio che è interessato alla nostra storia personale e comunitaria, come raccomanda Mosè al popolo d’Israele – (un popolo) sempre ribelle – con una serie di domande retoriche che hanno lo scopo di riportare alla mente e al cuore le meraviglie operate dal Signore con «mano potente e braccio teso» (v. 34) per sperimentare la bellezza della felicità, rimanendo per sempre nella relazione normata dalla legge: «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è un altro» (Dt 4,39).

Purtroppo, con il passare del tempo (come un lento e graduale logorio) la relazione fondante con il Signore, finisce in una grave decadenza e Gesù stesso sarà chiamato più volte a scontrarsi in modo tragico con coloro che ponevano al centro la legge anziché Dio, tanto che sarà condannato a morte proprio in nome della legge.

Contro questa opprimente logica della legge, Paolo nel brano della lettera ai Romani appena ascoltato afferma con chiarezza che noi non abbiamo «ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura», quanto piuttosto «lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rom 8,15).

È questa la relazione nuova con Dio: essere figli nel Figlio, sotto la guida dello Spirito Santo, con quella familiarità che genera: confidenza, fiducia, affetto, intimità con un Dio che è Padre (designato con il vezzeggiativo aramaico – la lingua parlata da Gesù – Abbà!), ma che è anche “Famiglia” per il rapporto di figliolanza.

È l’invito a saper accogliere e vivere una comunione nuova, con Dio e con i fratelli, che diventa nostra vita e missione. Infatti, il Signore non ci invia a portare al mondo una legge da imporre, se non quella dell’amore da vivere, ma ad annunciare che Dio è Padre e che noi siamo chiamati a vivere: con Lui – nella fede pasquale – un rapporto filiale e con gli altri un rapporto di fraternità (cioè di Chiesa).

Se domenica scorsa, nella Pentecoste, abbiamo colto il significato istitutivo della Chiesa, oggi, dinanzi al mistero della Trinità, siamo invitati a coglierne la profondità della sua forza missionaria (la sua propulsione evangelizzatrice a partire dal dono del nostro battesimo). Papa Francesco, in Evangelii gaudium, scrive che la Chiesa, quale «soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio» e continua «si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale» e «trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio» (Evangelii gaudium 111).

Infatti, Gesù prima dell’ascensione – lo abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo prima proclamato – affida agli undici il mandato missionario: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Si tratta di un mandato che definisce il compito della Chiesa.

Chiediamoci, allora, in questo contesto, cosa sta a fare la Chiesa nel mondo? Quale è il compito dei cristiani? Lo troviamo scritto in queste parole “Andate e fate discepoli”. Come? Testimoniando ed annunciando l’amore di Dio.

L’ha detto Gesù stesso: «insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20), ossia: il precetto dell’Amore. E’ l’invito a realizzare il disegno di Dio, che è quello di fare dell’umanità tutta intera una sola famiglia, una sola realtà, anche se poi siamo in tanti e diversi. Un progetto da realizzare sul modello della Trinità: che è unità nella diversità, armonizzata nella bellezza dell’amore; così come Gesù stesso pregava il Padre nella notte del giovedì santo per i suoi discepoli: «Padre, io ti chiedo che siano una cosa sola come noi».

Ed in questo “andare e fare” il Signore ci ha promesso la certezza della sua assistenza. Non siamo soli! «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Uno stare per sempre che si compie attraverso l’azione dei pastori che sono poi il dono del cuore di Dio: «Vi darò Pastori secondo il mio cuore» (Ger 3,15), aveva annunziato attraverso il Profeta Geremia.

Caro don Giuseppe, il Signore ti sta inviando ancora una volta, rinnovandoti nel tuo ministero, con il servire la Chiesa attraverso questa comunità particolare di San Lorenzo. Se a Ginosa, l’impulso che ti ha sostenuto è stato quello della creatività giovanile, a Laterza ti chiedo di accompagnarlo con la sapienza della maturità e la saggezza del cuore, per essere padre di tutti e per tutti, sempre attento alle persone che ti sono affidate e ai loro vissuti, seminando ovunque la gioia del Vangelo in ogni tipo di terreno.

Ti ringrazio per la tua docilità nel rispondere a questa necessità pastorale e per la disponibilità a vivere concretamente il senso dell’obbedienza che, come mi dicesti nel nostro incontro del 2 maggio, non è il rituale suggestivo per una foto (mettere le proprie mani in quelle del Vescovo) ma una consegna reale e totale della propria vita.

Caro don Giuseppe, la liturgia che stiamo celebrando ti ha consegnato alcune dimensioni per la cura pastorale di questa comunità, ma vorrei sottolinearne una in particolare (per l’intera comunità): ricordati che non siamo noi i padroni della comunità, anche se di questo me ne hai già dato ampia testimonianza.

“Non siamo i padroni” perché la Chiesa nasce dall’amore della Trinità e resta dono e mistero. A noi pastori è richiesto il dovere di accompagnare e nutrire il suo cammino con il cibo solido della Parola di Dio, dei Sacramenti della fede, della preghiera cristiana, della testimonianza della carità.

Ma a voi, carissimi fratelli e sorelle, è affidato però il compito della collaborazione e della corresponsabilità reale e concreta. La comunità si costruisce e realizza insieme! Pastore e gregge sono chiamati a “camminare insieme” (a fare sinodo!!! come ripetiamo spesso oggi) per realizzare la “famiglia di Dio”, sui cardini della prossimità e della cura che debbono renderci sempre più “fraternità” (comunità!), capace di vivere la comunione, la partecipazione e la missione.

«Il cammino della vita cristiana è essenzialmente un cammino trinitario: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui» (Papa Francesco, Angelus, 31 maggio 2015).

Affidiamo il ministero di don Giuseppe alla speciale intercessione della nostra Patrona, la Mater Domini, perché con l’esempio del suo “eccomi” al progetto di Dio insegni ed incoraggio, don Giuseppe, nuovo parroco, nel donarsi sempre e con generosità alla volontà di Dio su questa comunità di San Lorenzo che è stato chiamato a servire con la tenerezza di padre e di pastore. Amen!

✠ Sabino Iannuzzi