Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi per l’Ordinazione Presbiterale di don Francesco Dall’Arche

Carissimi fratelli e sorelle,

ancora una volta – questa sera – lo Spirito Santo si effonderà su tutti noi attraverso l’abbondanza della grazia che sarà concessa al carissimo don Francesco. Non si tratta di un privilegio a lui riservato, a motivo della sua bravura personale o per particolari virtù, ma è un dono comunitario che attraverso la sua persona raggiunge tutti noi che speriamo ed invochiamo «la pienezza di ogni grazia a benedizione del cielo» (Preghiera eucaristica I).

Saluto caramente tutti voi ad iniziare da don Francesco e i suoi familiari; così come la comunità di Marina di Ginosa in cui don Francesco ha compreso la chiamata del Signore, il suo parroco don Giuseppe Laterza, mons. Gennaro Inglese, ed in particolare il nostro Vicario generale, don Renzo Di Fonzo, che negli anni del suo parrocato qui a Marina di Ginosa ha avuto un ruolo fondamentale per quanto oggi il Signore sta per realizzare per la nostra comunità diocesana e per la Chiesa tutta.

Ancora una volta manifesto il mio ringraziamento a don Gianni Caliandro, Rettore del nostro Seminario Regionale di Molfetta, per la delicata e non sempre facile arte di formare uomini al ministero ordinato e per le significative parole di presentazione dell’eletto.

Così come saluto la comunità di Palagianello, con i suoi due parroci: don Rocco Martucci e don Gianni Magistro, dove don Francesco ha vissuto il tempo del diaconato e vivrà ora il ministero presbiterale.

Ed in fine, ma non da ultimo, saluto e ringrazio tutti i confratelli presbiteri, che con loro presenza, esprimono il segno bello e festante dell’accoglienza di don Francesco nella grande famiglia presbiterale, così come i diaconi, i seminaristi e la corale che sta animando questa eucarestia.

Sono rimasto significativamente colpito dalla scelta operata da don Francesco nell’allestire il ricordino per questa sua ordinazione. All’immagine trecentesca dell’Ultima cena di Duccio di Buoninsegna (che si conserva nel museo dell’Opera Metropolitana di Siena) ha associato una significativa preghiera di San Francesco d’Assisi, l’Oratio crucis o meglio conosciuta come la Preghiera dinanzi al Crocifisso di San Damiano:

«O alto e glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio, e damme fede diritta, speranza certa e caritade perfetta, senno e cognoscimento, Signore, che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen».

Secondo la critica testuale è il testo più antico tra gli Scritti di san Francesco ed è la preghiera che fotografa il momento centrale della conversione del santo di Assisi. E’ il vertice della manifestazione della bontà misericordiosa di Dio che, dalle tenebre del suo cuore, gli permise di trovare una nuova strada, suggerendogli di mettersi alla Sua sequela al fine di “riparare la sua casa, che era in rovina”, attraverso un percorso di libertà e di espropriazione, maturato nel dono delle tre virtù teologali infuse, così da compiere la volontà di Dio in un crescendo di totale consegna personale, affinché il “verace comandamento” fosse la fonte di luce per i suoi passi e l’unica guida nel cammino.

Caro don Francesco, consegnandoci – come tuo ricordo – questo momento centrale della vita “per Cristo, con Cristo e in Cristo” di san Francesco, come siamo soliti ricordare nella dossologia della prece eucaristica, penso che tu abbia voluto rispecchiarti in quella esperienza di grazia, che avrà dato senso e significato al tuo stesso cammino esistenziale e soprattutto vocazionale: laddove il Signore ha realmente illuminato “le tenebre” della tua vita e ti ha affidato in dono un progetto d’amore, a cui questa sera, chiamato per nome, hai risposto affermativamente, con la gioia, la generosità ed il sorriso che sempre ti caratterizzano: Eccomi! Sono qui! Sono pronto!

L’“Eccomi” che hai pronunciato è la parola più alta che una creatura possa mai rivolgere al suo Creatore. Al Signore che ha bussato alla tua porta (Ap 3,20), non sei fuggito e non ti sei nascosto come il primo uomo, quanto piuttosto hai ascoltato la sua voce e gli hai aperto e Lui è entrato ed ha cenato con te e tu con Lui.

Come la Vergine Maria all’arcangelo Gabriele, nell’Eccomi, anche tu hai detto: «ecco il servo del Signore, avvenga per me secondo la tua Parola» (Cf. Lc 1,38).

Il Signore – carissimi fratelli e sorelle – per continuare a realizzare nella storia il suo disegno di salvezza ha bisogno di persone che si consegnino a Lui con tutta l’umiltà e la disponibilità di un servo, che ha il desiderio «di amare senza trattenere nulla per sé» (Papa Francesco), così da lasciare a Dio tutto lo spazio, perché continui la sua opera ri-creatrice.

Infatti, Gesù, «quando venne l’ora» (l’ora suprema della sua vita, quella dell’istituzione dell’eucarestia nell’ultima cena, come ci ha narrato la pagina evangelica proclamata), fece comprendere ai suoi discepoli, che discutevano su «chi di loro fosse da considerare più grande», che la logica che avrebbero dovuto seguire non era quella del mondo (ossia dei re delle nazioni), di un’autorità finalizzata ad accrescere la propria reputazione, ma piuttosto quella provvidenziale del servizio, come modalità per “stare in mezzo”, al fine di diventare mediatori e costruttori di relazioni fraterne, assumendo la condizione propria dei piccoli. Servire alla maniera stessa di Cristo. Servire come Cristo ha servito, offrendo la propria vita per amore fino al dono supremo della Croce, così che, come per San Paolo, il servo potrà affermare: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Il Signore che sa tutto di te, caro don Francesco, che conosce ogni dettaglio della tua storia, impastata – come per tutti noi – di grazia e di peccato, di fragilità e di paure, ma anche e soprattutto di tutto ciò che di bello, di vero e di buono custodisci nel tuo cuore, attraverso il dono della tua vita vuol continuare il suo progetto d’amore, accarezzando così la sua Chiesa con il mistero della consolazione: per rialzarla, orientarla e condurla attraverso le pieghe della storia.

Quella “luce divina”, che il Santo di Assisi invocava e che anche tu – chissà quante volte – avrai desiderato e chiesto al Signore nella preghiera, oggi ti permette di contemplare quel “santo e verace comandamento”: che altro non è che l’offerta stessa di tutta la tua vita, quale passione per il Regno.

Caro don Francesco oggi gli occhi di tutti sono fissi su di te… come accadde a Gesù nella Sinagoga di Nazareth dopo aver letto il rotolo del profeta Isaia (Cf. Lc 4,20), lo stesso che tu hai voluto scegliere come prima lettura di questa eucarestia. Da stasera la tua storia entra a far parte della grande storia del Signore, attraverso quel particolare dono che, l’apostolo Pietro ci ha ricordato essere ricevuto perché: «lo si metta a servizio degli altri come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio».

Qual è questo dono?

Il profeta Isaia ci ha annunciato l’essenza della tua nuova missione, sperimentando l’azione dirompente dello Spirito di Dio su colui che riceve la chiamata: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione».

Il vero protagonista dell’azione che stiamo per compiere è proprio lo Spirito Santo (lo Spirito del Signore) che tra poco ti consacrerà con un’unzione intima e ineffabile, perché tu possa diventare strumento vivo dell’unico Pastore ed essere reso parte, in modo singolare, del Sacerdozio di Cristo e così agire in suo nome: questo è il grande mistero; un mistero difficile da comprendere!

Il Signore – lo sappiamo bene – sceglie liberamente chi vuole, al di là delle attitudini e soprattutto non tenendo conto dei limiti e delle fragilità.

E’ Dio, allora, che ti consacra con la sua unzione. E’ Dio che ti manda – e qui la nuova missione – «a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a promulgare l’anno di grazia del Signore, a consolare gli afflitti». Ad essere segno trasparente del suo amore fedele e misericordioso, che mai si stanca di cercare ogni suo figlio, che mai si arrende di fronte all’indifferenza e alla chiusura dei cuori smarriti e confusi.

L’Apostolo Pietro – nella seconda lettura – ricordando il comportamento che ogni credente deve osservare nell’attesa dell’incontro finale con Cristo – ti sta consegnando le linee guida per vivere questo nuovo ministero (un vero programma di vita: da attuare sempre e di nuovo!). Ti esorta (e ci esorta) alla moderazione e alla sobrietà per indirizzare la vita ad una priorità fondamentale: la preghiera.

Il Cardinal Joseph Ratzinger nel 1991 scriveva: «Il sacerdote dev’essere un uomo che conosce Gesù nell’intimo, che lo ha incontrato e ha imparato ad amarlo. Perciò dev’essere soprattutto un uomo di preghiera […] Senza una robusta base spirituale non potrà resistere a lungo nel suo ministero»[1]

Una preghiera, allora, da innestare e radicare nella vita, facendo sì che la vita stessa diventi preghiera.

Tommaso da Celano, primo biografo del Santo di Assisi, diceva di san Francesco che «non era tanto un uomo che pregava, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in una preghiera vivente». Perché tutto ciò che si realizza, lo si fa: sì per la santificazione personale, ma soprattutto per glorificare Dio. Ed ogni sacerdote è chiamato «ad offrire sacrifici spirituali a Dio graditi» (1Pt 2,5), quale offerta “quotidiana” (ogni giorno!!!) della propria vita al Signore.

Questo perché la preghiera è espressione di un desiderio profondo del Signore. Infatti, diceva sant’Agostino: il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. E, se non c’è desiderio del Signore, se non c’è una ricerca vera del Signore, non semplicemente speculativa o intellettuale, ma esistenziale (della vita), come quella testimoniata nei Salmi: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia…» (Sl 62), non c’è amore per Gesù Cristo e – purtroppo – non c’è vera fede.

Ecco perché il Salmista, nel Salmo responsoriale che abbiamo pregato, ci ha esortati a che in ogni azione (in tutto ciò che si fa) bisogna sempre «invocare il nome del Signore». «Pregare – scriveva Bonhoeffer – non significa solo aprire il proprio cuore; significa piuttosto trovare la via che conduce a Dio per dialogare con lui, sia che abbiamo il cuore pieno oppure vuoto».

Ma non basta semplicemente pregare.

Per l’apostolo Pietro bisogna anche vivere in una costante attenzione di carità, che si esprime in modo particolare nel ministero dell’ospitalità (dell’accoglienza), della prossimità, nella fraternità da praticare in modo ascetico, mettendo sempre a tacere risentimenti o mormorazioni. La nostra vita presbiterale è un continuo passaggio dalla carità ricevuta a quella donata. Tutto ciò che il Signore fa per i presbiteri, essi sono chiamati a portarlo (a donarlo) agli altri, per divenire per tutti strumenti di carità divina.

Mi viene in mente una speciale carità che noi sacerdoti siamo chiamati a testimoniare: è quella rivolta alle categorie di persone che la nostra società tende a marginalizzare e che il ministero pastorale vuole invece ricondurre all’abbraccio benedicente e di benevolenza di Dio, come membri di un’unica umanità creata da Lui.

Come presbiteri siamo chiamati ad essere testimoni di «nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di accoglienza e cura del mistero della fragilità» (Amoris laetitia, 47), impegnandoci «a stare sempre lì dove maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto» (Evangelii gaudium, 30).

Caro don Francesco, in questo particolare momento siamo tutti ricondotti nel Cenacolo (in quella stanza al piano superiore) e dobbiamo sforzarci di tenere gli occhi fissi sul Signore, con il fiato sospeso dell’attesa: perché la sua ora (anche per te) è arrivata. L’amore immenso sta per farsi immenso dono: tu stai per diventare responsabile di una memoria viva dell’amore di Dio e ministro della celebrazione festosa della gratitudine che da quella precisa memoria deriva. «Fate questo in memoria di me».

Stai per diventare tu stesso quel pane spezzato e quel sangue versato per essere come Gesù: servo per amore!

La Vergine Maria, alla cui protezione affidiamo il tuo ministero sacerdotale, come ai servi alle nozze di Cana, a te e a noi ripete il suo invito: «fate quello che il mio Figlio vi dirà!». Coraggio: ascoltiamo la Parola e soprattutto mettiamola in pratica!

 
[1] J. Ratzinger, La chiesa: una comunità sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, p. 91.