Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi per l’Ordinazione Presbiterale di Don Guy Simplice Maria Etoundi, sdv

«Questo è il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo».

Carissimi fratelli e sorelle,

dobbiamo “rallegrarci ed esultare” perché la straordinaria notizia della risurrezione di Gesù continua a cambiare il corso della storia ed il volto dell’umanità, accrescendo la nostra vita di un significato nuovo, tale da rinnovarla, salvarla (sempre e di nuovo!) e rivestirla dell’immortalità beata.

L’annuncio della Risurrezione – che risuona dalla «notte veramente gloriosa» – testimonia con forza sconvolgente la potenza dell’Amore di Dio che ha vinto, una volta e per sempre, il peccato e la morte divenendo l’ultima e definitiva Parola «che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo Creatore» (Exultet pasquale).

Ma un secondo motivo ci invita a “rallegrarci ed esultare” nel Signore in questo momento di grazia: il nostro fratello don Simplice, della Congregazione religiosa “Società Divine Vocazioni”, comunemente chiamata dei Padri Vocazionisti, sta per ricevere «la dignità del presbiterato», quale «collaboratore per l’esercizio del sacerdozio apostolico» (Cf. Preghiera di ordinazione).

Ancora una volta stiamo assistendo al miracolo dell’azione provvidenziale di Dio per la sua Chiesa perché, come ci ricorda Gesù nel Vangelo, ogni nuovo operaio nella Sua vigna è il frutto della preghiera rivolta con fede al Padrone della messe: «La messe – lo sappiamo – è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Non dovremmo mai stancarci come “Popolo di Dio-in-cammino” di pregare questo “padrone”, perché continui ad inviare operai a lavorare nel suo campo che è il mondo. Si tratta di una preghiera da rinnovare quotidianamente, con cuore aperto e in atteggiamento missionario, superando la tentazione egoista di una preghiera limitata a bisogni e necessità, quanto piuttosto da allargare ad un vissuto universale. Solo così la nostra preghiera sarà veramente cristiana.

Saluto caramente il Superiore generale dei Padri Vocazionisti, Don Antonio Rafael do Nascimento e quello provinciale don Antonio Saturno, e li ringrazio per la presenza della loro Congregazione in questa nostra Chiesa particolare, così come i sacerdoti e i religiosi che oggi sono giunti da altri luoghi; il presbiterio della Diocesi ad iniziare dal Vicario generale, l’Ambasciatore del Camerun presso la Santa Sede, S. Ecc. Mathieu Owana, il Sindaco di Laterza Franco Frigiola, il Sindaco di Mola di Bari Giuseppe Colonna, il comandante della Stazione dei Carabinieri di Laterza Michele Ambrosiano, la mamma di don Simplice (giunta sempre dal Camerun), l’intera comunità laertina e tutti voi che oggi siete qui a fargli festa e quanti ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione sociale.

Stiamo celebrando la liturgia del sabato dell’ottava di Pasqua e la Parola di Dio appena proclamata esprime bene lo spirito proprio di questo tempo di grazia.

La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci ha raccontato di Pietro e Giovanni che, con franchezza e nella semplicità del proprio essere – fedeli al mandato ricevuto –, sono impegnati, senza risparmio alcuno, nell’annunciare con gioia un Vangelo scomodo, quello della risurrezione, laddove: «Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa» (Sequenza di Pasqua).

Pietro e Giovanni, lo sappiamo bene, erano parte integrante del gruppo dei Dodici, «persone semplici e senza istruzione» (At 4,13), come evidenzia Luca, ma scelti da Gesù, così come sei stato scelto tu caro don Simplice. Sono stati tra quelli che più strettamente erano uniti al Maestro. Non a caso, infatti, insieme a Giacomo, furono “presi” da Gesù per andare con Lui: lì sul Tabor, in occasione della Trasfigurazione, e poi al Getsemani, nel momento più duro della prova.

Caro don Simplice anche tu, come Pietro e Giovanni, da oggi, in quanto presbitero, sarai chiamato a condividere più da vicino il ministero apostolico perché sei stato scelto per essere «degno cooperatore dell’ordine episcopale» (Preghiera di ordinazione). Sarai “preso” (spesso!) anche tu dal Maestro, dal Suo amore appassionato per andare con Lui: lì dove ti condurrà.

In quei precisi momenti ricordati sempre di quanto tra poco solennemente prometterai, manifestando la volontà di assumerne gli impegni: di esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale… sotto la guida dello Spirito Santo; di adempiere il ministero della Parola nella predicazione del Vangelo; di celebrare i misteri di Cristo; di essere strettamente unito a Cristo, consacrando te stesso a Dio (e con il suo aiuto) per la salvezza degli uomini.

Infatti, ripeterai per ben cinque volte “Sì, lo voglio” e rinnoverai il tuo atto di filiale rispetto e obbedienza alla Chiesa (la sola che “manda”), nelle figure del Vescovo diocesano e del tuo legittimo Superiore. Perché ogni presbitero – e ciò imprimilo bene nella tua mente e nel tuo cuore – opera sempre sotto la guida del dono di grazia che si riceve proprio con l’ordinazione e non a partire dalla propria creatività (per quanto buona possa essere!) o per mezzo delle sue risorse personali; annuncia una parola che non proviene semplicemente dalla sua esperienza di vita o cultura accademica, ma è anzitutto Parola del Vangelo; celebra Cristo e non pone gesti sacri che esprimono la sua personale religiosità; e, insieme a Cristo, si consacra a Dio e alla salvezza del mondo. Da oggi, caro don Simplice, inizia per te una “sinergia” con Cristo, il Quale sta manifestando di aver bisogno anche di te per continuare ad essere presente in quell’umanità che ha amato ed ha redento con il dono del Figlio.

Considerando ulteriormente la vita di Pietro e di Giovanni ci si accorge che ambedue hanno vissuto un’esperienza di particolare intimità con il Signore… intimità che sei chiamato a coltivare quotidianamente anche tu nella tua vita, infatti «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui» (Mc 3,14).

Pietro e Giovanni furono uniti a Lui da un legame particolare: Giovanni, l’apostolo «che Gesù amava», Colui che è rimasto con il Maestro fin sotto alla Croce, accompagnandolo in tutto il percorso e dal quale ha ricevuto uno specifico compito, quello di accogliere Maria nella sua casa: «Ecco tua Madre»; Pietro, invece, l’apostolo che pur avendo riconosciuto Gesù come l’unto del Signore (Mc 8,30) ed averlo rimproverato al primo annuncio della passione (Mc 8,32), per paura – nel momento della testimonianza – lo rinnega e dal Risorto, poi, riceve per ben tre volte la domanda: «mi ami tu?» e con essa l’invito: «Seguimi» (Cf. Gv 21,1-19).

La testimonianza ed il ministero di questi due uomini offre particolare vigore al dinamismo apostolico della Chiesa di ieri e di oggi; infatti, con la «franchezza» (ossia la parrêsia, la libertà del parlare) che li caratterizzava, si opposero agli uomini del sinedrio che «con minacce volevano impedirgli di parlare nel nome di Gesù», affermando: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Lo sottolineerà bene l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera, specificandone anche la motivazione: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,3-4).

Infatti, ogni qualvolta sperimentiamo la forza della verità nell’Amore (che è dono dello Spirito Santo a Pentecoste), la stessa che ha permesso a Pietro di superare sé stesso, trasformando la paura che lo aveva condotto al rinnegamento nel coraggio della parrêsia dinanzi agli uomini del sinedrio, non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che «abbiamo visto e ascoltato», ciò che ci è stato consegnato nella nostra fede.

E’ questo il motivo per cui, «all’incredulità e durezza di cuore» degli Undici, che erano seduti a tavola e «non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto», il Signore, dopo averli rimproverati, affiderà la forza dello Spirito Santo e dirà: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Ossia: andate con coraggio, con franchezza e non abbiate paura di portate a tutti la testimonianza scomoda del Vangelo.

La nostra missione ha origine proprio da qui, da questo dono che ci trasforma, rendendoci persone nuove. Motivo per cui, l’autore della Lettera agli Ebrei ci mette in guardia: «non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso» (Eb 10, 35-36).

Caro don Simplice, il Risorto come agli Undici anche a te consegna l’imperativo “andate” e ti sospinge a compiere un continuo percorso esodale, per uscire da te stesso e «centrare la vita in Lui» (Papa Francesco). Così che – ogni giorno – possa intraprendere la strada su cui farti prossimo di quanti ti sono affidati, «con umiltà, dolcezza e magnanimità» (Ef 4,2). Consapevole che laddove si attuerà il tuo ministero, ovvero l’esercizio della carità pastorale, lì incontrerai sempre Cristo che agirà insieme con te, rendendosi presente nei tuoi gesti che ripeteranno i suoi gesti, perché il suo comando è in eterno: «Fate questo in memoria di me» (Lc, 22,19); sarà nelle tue parole che dovranno ridire le sue parole, soprattutto di misericordia e di perdono; sarà nel tuo farti discreto compagno di viaggio di uomini e donne pellegrini sulle strade della vita, spesso affaticati e disorientati; sarà nel tuo umile lavare i piedi infangati di chi ha intrapeso strade tortuose di esistenze difficili.

Vivendo tutto ciò abbi sempre a mente due raccomandazioni di San Giustino Russolillo, tratte dai suoi scritti:

«Occorrono sacerdoti e santi per portare le anime alla maggiore corrispondenza al Divino Amore che le ha create e salvate per santificarle e unirle a Sé» (Cf. Don Giustino Russolillo, Cammini di perfezione, Edizioni Vocazioniste Napoli 2012, pag. 24).

«Ogni sacerdote deve sapere che, con l’ordine sacro, non tanto ha già corrisposto alla sua vocazione, quanto si è impegnato, davanti alla SS. Trinità, alla Chiesa e al mondo, a corrispondere al divino amore e a compiere la divina missione, esercitandone i divini ministeri a lui affidati» (ivi, pag.71).

Non dimenticarlo mai: il Signore si fida di te e non indugia a servirsi anche di te, per continuare a donare Se stesso all’umanità.

La Vergine Maria, ti sostenga e ti accompagni nel tuo farti dono totale e ti consoli sempre con il suo sguardo di Madre. Amen!