Solennità del Corpus Domini: l’omelia di S.E.R. Mons. Sabino Iannuzzi

Mons. Vescovo ha presieduto la Santa Messa nella Solennità del Corpus Domini presso il sagrato del convento di San Francesco d’Assisi in Castellaneta. Di seguito l'omelia

Carissimi fratelli e sorelle,

finalmente dopo due anni di forzata sosta – a motivo della pandemia – questa sera possiamo “camminare insieme” con la processione più importante per la nostra vita cristiana: quella del Santissimo Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.

Un “camminare insieme” dietro Gesù Eucarestia che ci ricorda la nostra principale missione di cristiani e ci esorta ad «uscire per portare con entusiasmo e gioia Gesù a tutti coloro che incontriamo nella nostra vita quotidiana» (Papa Francesco).

Saluto caramente, don Renzo Di Fonzo (vicario generale), don Domenico Giacovelli, i confratelli sacerdoti della Vicaria di Castellaneta, i diaconi, i miei cari confratelli frati minori che vivono in questo Convento di San Francesco, le religiose, i seminaristi e tutti voi cari figli e figlie che siete convenuti questa sera per lodare e ringraziare insieme il Datore di ogni bene che rinnova l’offerta della sua vita «per farci pregustare il dono del convito eterno» (Cf. Orazione dopo la Comunione).

Un ringraziamento particolare al Signor Sindaco di Castellaneta e alle autorità civili e militari presenti.

Questa liturgia eucaristica, che stiamo celebrando, ci ripresenta sullo sfondo il grande mistero del Giovedì Santo, da percepire con gli occhi “adoranti” della risurrezione, consapevoli di quanto Gesù stesso – nel Cenacolo – ha compiuto con un gesto particolare e di assoluto amore: quello della lavanda dei piedi.

Lo sappiamo bene… Gesù, prima di farsi “pane spezzato e sangue versato”, volle farsi schiavo chinandosi a lavare i piedi dei suoi discepoli, perché la bellezza di un dono lo si accoglie in pienezza solo se è vissuto nel gesto preveniente e significante dell’umiltà… Virtù che ci permette di interpretare rettamente gli eventi della storia.

«La santa umiltà – come pregava San Francesco d’Assisi – confonde la superbia e tutti gli uomini che sono nel mondo e similmente tutte le cose che sono nel mondo», al fine di ricomporre tutti all’unità del proprio vissuto.

La pagina del Vangelo ora proclamata ci consegna due sentimenti, tra loro contrastanti: lo stupore e lo smarrimento.

Lo stupore, per l’esperienza della condivisione compiuta dal Signore che supera ogni logica umana: cinque pani e due pesci per circa cinquemila persone, che sarà mai?

Lo smarrimento, per il comportamento dei dodici Apostoli, che forse – ed in questo possiamo giustificarli – per l’eccessivo rispetto filiale verso il loro Maestro gli suggeriscono di assumere un atteggiamento totalmente opposto al suo ministero, che era quello di «guarire quanti avevano bisogno di cure»: «congeda la folla perché vadano nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo». Sembrano voler dire: lasciali andare, si arrangino come vogliono e come possono… ora che il giorno inizia a declinare… è tempo di pensare a noi!

Alla luce di quanto accadde quella sera, noi per primi oggi, dobbiamo essere ben attenti e prudenti, nel vincere la tentazione – a volte sostenuta dall’egoismo personale – di congedare con troppa rapidità le persone dalla nostra vita, dalle nostre relazioni e dalle nostre comunità. Di lasciarle nella solitudine di sé stesse, soprattutto nell’ora del bisogno, ad arrangiarsi per come possono, rischiando di destinarle a rimanere per sempre ai margini.

Con questo gesto compiuto da Gesù – il quale prende l’iniziativa di «farli sedere a gruppi di cinquanta» – ci è ricordato che lo stile evangelico dell’inclusione e dell’attenzione preventiva all’altro è il paradigma del vissuto cristiano e soprattutto dell’esercizio di prossimità, affinché nessuno si perda di quanti il Padre gli ha affidato.

Vogliamo anche noi sperimentare il miracolo della condivisione operato dal Signore?

Dobbiamo avere il coraggio e la disponibilità di condividere (consegnando) il poco che abbiamo, a partire da ciò che siamo: «voi stessi date loro da mangiare», comanda Gesù agli apostoli. E per vivere ciò, bisogna saper uscire dall’arroccante individualismo – che rende sterile ogni cammino fraterno e solidale – al fine di vincere l’iniqua disparità spesso imperante tra di noi (a tutti i livelli: relazionale, sociale ed economico).

Siamo invitati a lasciarci coinvolgere “insieme” e come “comunità” in un cammino di partecipazione, nessuno escluso o peggio ancora quale critico spettatore.

Il Signore, prima di mandarci in giro a cercare qualcosa, chiede la disponibilità della nostra persona, così da ricondurre tutto a Lui, affinché dalle sue mani possa ritornarci, restituito ed arricchito, sufficiente e addirittura sovrabbondante, così che ne rimanga e sia portato via.

Vogliamo che si realizzi questo miracolo della condivisione per la nostra vita?

Come Gesù dobbiamo «alzare gli occhi al cielo». Non possiamo essere continuamente chini su noi stessi. Siamo invitati ad orientarci continuamente a Lui, ad offrire al Padre ogni realtà della vita, affinché si realizzi «la sua volontà, come in cielo così in terra», come abbiamo imparato fin da bambini a pregarlo nel Padre nostro.

Una volontà da accettare continuamente (verrebbe da dire nell’apparenza del bene e del male) perché è la verità di Dio per la nostra vita.

Partecipare a questo imprescindibile progetto della sua volontà, allora, diventa la missione fondamentale di ciascun discepolo, così da intercettare quel nutrimento indispensabile della sua Parola e del suo Corpo che trova pieno compimento nell’Eucarestia.

Quell’Eucarestia che – come comunità – deve ricordarci l’importanza esistenziale del “Giorno del Signore” (l’importanza del celebrare e vivere la Domenica) … senza del quale – come sostenevano i martiri di Abitene (303) – non possiamo vivere!!! O meglio non dobbiamo vivere.

L’Eucarestia è il Dio-per-noi (… fatto uomo: “questo è il mio corpo…” ci ha ricordato San Paolo) che Gesù ci consegna nel desiderio che si trasformi nel Dio-con-noi e nel Dio-fra-noi, per l’edificazione della comunità stessa. Ce l’ha ribadito ancora una volta questa sera, come consegna di una proposta per la vita: «fate questo in memoria di me».

L’Eucarestia è sì il memoriale della sua Pasqua, come abbiamo pregato prima della proclamazione delle Letture, ma è soprattutto il «pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli» (come ci ha ricordato la sequenza) che ci edifica, ci alimenta e ci da forza nel cammino.

Ci edifica… come pietre vive e preziose per l’edificazione del tempio santo del suo Corpo.

Ci alimenta… con la forza rigeneratrice della sua grazia che procede dal mistero celebrato (=la grazia sacramentale) per gustare la vita eterna: «ogni volta che mangiate questo pane e bevete il calice, voi annunciate la morte del Signore, perché egli venga».

Ci da la forza per camminare “insieme”… nell’itinerario della vita cristiana «verso la tavola del cielo, nella gioia dei tuoi santi» (Sequenza).

Senza l’Eucarestia celebrata, consumata ed adorata “insieme”… sarà difficile (e forse impossibile) realizzare tutto ciò. La nostra vita dovrebbe essere tutta “Eucarestia”, perché dalla sorgente di amore e di adorazione verso Dio, veniamo trasformati in un popolo che cammina come comunità unita, compatta, protesa nell’annunciare e testimoniare Cristo, affinché Egli sia tutto in tutti.

Nel prossimo settembre (dal 22 al 25 a Matera) come Chiesa italiana celebreremo il XXVII Congresso eucaristico sul tema: «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale». Siamo invitati a “tornare al gusto del pane”, al gusto dell’Eucarestia, perché «vivere l’eucaristia è lasciarsi andare, lasciarsi afferrare dall’onda di Gesù Cristo» (T. Bello)

Concludendo, vi esorto a chiedere costantemente al Signore di non farci mai mancare questo “pane della vita” che rende credibile la testimonianza della carità, «riaccende la fiamma della speranza e ritesse i fili della fiducia».

Signore Gesù…

Ti ringraziamo per il dono dell’Eucarestia

e ti chiediamo di farci tornare al gusto del pane,

Frutto della terra e del lavoro dell’uomo,

segno del tuo amore.

Dall’altare alle nostre mense quotidiane,

sia nutrimento di vita nuova per noi e per il mondo,

accresca la comunione, rafforzi i legami,

profumi di perdono, nutra la fraternità.

A te il nostro amore,

la nostra lode e la nostra adorazione.

Amen!

(tratta da: Torniamo al gusto del pane-Ufficio Liturgico Nazionale)