Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Lorenzo Montenegro

02-03-2024

arissimi fratelli e sorelle,

questa sera siamo stati convocati in questa nostra bella Cattedrale per celebrare l’Eucarestia e per accogliere dal Signore un ulteriore dono di grazia per la nostra Chiesa diocesana: l’ordinazione diaconale del caro Lorenzo Montenegro.

Questo nostro comune rendimento di grazie: va anzitutto al Signore al quale affidiamo questo giovane fratello; poi alla comunità della SS. Annunziata di Palagiano, da cui proviene; alla sua famiglia e a quanti – a diverso modo – hanno contribuito alla sua formazione; così come all’intero presbiterio, iniziando dal Vicario generale e dal Parroco della Cattedrale, ai diaconi, ai seminaristi del Seminario Maggiore di Molfetta e del Minore di Castellaneta e a tutti voi che siete qui per condividere la nostra comune gioia.

E mentre eleviamo il nostro grazie per l’amore che il Signore – pur senza alcun merito umano – continua ad elargire, non smettiamo di supplicarLo, perché continui a mettere nel cuore di tanti giovani (come Lorenzo) il santo desiderio di diventare ministri del suo Figlio Gesù, sacerdoti santi al servizio del popolo di Dio e dell’umanità sempre in ricerca della verità, e ai chiamati doni il Suo Santo Spirito che li fortifichi e dia loro il coraggio di lasciare tutto e di seguirLo sulla strada che Lui stesso (il Signore) gli indicherà.

Le letture che la bontà del Signore ci consegna, in questa terza domenica di Quaresima, sono molto eloquenti e toccano il cuore perché ci parlano dell’amore misericordioso di Colui che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito [nella comune consapevolezza che] chiunque crede in lui ha la vita eterna» (Gv 3,16).

Letture che annunciano la Sua ferma volontà di stabilire – con il popolo scelto – la bontà e la verità dell’alleanza, di cui la Legge e il Tempio sono segno e strumento di adesione da parte dei credenti.

E, nella concretezza dell’esperienza della nuova alleanza, questa Parola ci ricorda che il sacramento dell’Ordine sacro (che Lorenzo sta per ricevere nel grado del diaconato, per servire all’altare del Signore nella sua santa Chiesa) è posto come un servizio privilegiato con lo scopo di tenere vivo il dono e rinnovarne, sempre e di nuovo, l’effettiva accoglienza.

Solo che il servizio – di una carità chiamata a farsi premura, cura e prossimità, con l’empatia della vicinanza all’Altro (con la “A” maiuscola) e agli altri – è assiduamente esposto alla tentazione del ripiegarsi su sé stesso e di perdere di vista l’orizzonte a cui appartiene, cioè quell’unico, grande sacrificio che si consuma sulla croce – che è poi la persona stessa di Gesù Cristo nel suo donarsi, quale atto oblativo di amore – che, come ci ha ricordato san Paolo nella seconda lettura, «per coloro che sono chiamati (… come Lorenzo) è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).

Un rischio che si ripresenta ogni qualvolta il decalogo – la legge data per mezzo di Mosè, come via della salvezza – viene ridotto ad una serie di precetti senza vita, oggetto di una osservanza esteriore, svuotati del loro principale carattere di quella rivelazione di Dio per un dialogo di amore e di dedizione con Lui.

Caro Lorenzo, non dimenticarlo mai ed insegnalo continuamente, soprattutto con la testimonianza credibile della tua vita: il decalogo non è un giogo duro e pesante, non è un elenco di ingiunzioni immotivate, ma sono dieci parole di un padre che ha a cuore la vita (bella, buona e vera) dei suoi figli, così come abbiamo confessato nel Salmo responsoriale:

«La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima (…).
I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore;
i
l comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sl 18).

Nella vita del popolo dell’alleanza, il Tempio era diventato, nella terra promessa, a Gerusalemme, il luogo dell’ascolto delle parole di Dio… vale a dire della relazione con il Signore. E quando Gesù vi arriva per condividere la Pasqua dei Giudei e lo trova trasformato in una sorta di luogo del commercio – divorato/acceso dallo zelo, dalla passione, dall’ardore per la “Casa del Padre suo” – si attiva subito, con immediatezza, per purificarlo.

Gesù non distrugge il Tempio, fatto di pietre e costruito in quarantasei anni, ma lo riconduce al suo posto e al suo senso, quello di rendere il vero culto a Dio. E il vero culto si compie quando attraverso la parola e il precetto si giunge – accogliendola – alla santità donata da Dio, riscoprendo così una relazione nuova, vera e profonda con Lui. Relazione, rivelata e realizzata da Gesù nella sua esistenza terrena e nel suo compimento pasquale che raggiunge il suo vertice nell’ora della croce, dove sarà possibile contemplare il vero Tempio di cui Lui parla, cioè il luogo in cui è possibile adorare Dio in Spirito e verità: il suo stesso corpo, l’offerta “che si fa dono” della sua persona e della sua vita fino al sacrificio supremo, ricostruendo, così, la relazione usurata tra Dio e l’umanità.

È questo il modo, caro Lorenzo, in cui sei invitato a guardare il mistero del dono sacramentale che ora ricevi e con il quale sei conformato a Gesù «che non venne per essere servito ma per servire» (Mc 10,45).

Sei chiamato, e da oggi abilitato dal sacramento, a farti “servo per amore”, ad offrire la tua vita, ad essere di aiuto a me tuo vescovo e al nostro presbiterio, nel servizio della carità, nel ministero della parola e dell’altare, mettendoti al servizio di tutti i fratelli. E non dimenticare mai quest’ordine di priorità: carità, parola ed altare. Altrimenti cadrai vittima di quella facile ed allettante tentazione che ti farà perdere di vista l’orizzonte a cui questo sacramento di indirizza: «servire Cristo negli altri, con umiltà e pazienza» per condurre i fratelli a Lui, che è il Signore della Vita e della Storia, perché, come cantano i Gen Verde«servire è regnare». Infatti, nelle parole di questa canzone, in modo esemplare, ci viene indicato l’impegno di tenere fisso lo sguardo su di Lui, il Signore, che è l’unico Maestro, e dal suo esempio comprendere e vivere ciò che significa amare, ossia: «cingersi il grembiule e sapersi inginocchiare».

E se in qualcosa vuoi davvero spiccare il volo: sia proprio in questo spirito di servizio.

San Josemaría Escrivá de Balaguer, nella sua ultima opera letteraria dal titolo “Forgia”, in cui desidera accompagnare la persona umana nell’itinerario della sua santificazione, da quando percepisce la luce della vocazione cristiana fino a quando la vita terrena si apre all’eternità, insegnava e raccomandava che «bisogna farsi tappeto perché gli altri possano camminare sul morbido». Ed aggiungeva: «questa dovrebbe essere una realtà nella vita di ogni cristiano e particolarmente di chi è chiamato a servire nel ministero ordinato».

La Vergine Maria, donna del servizio e serva del Signore, ti accompagni in questo nuovo e perenne ministero per la tua vita, laddove gli ultimi e gli scartati diventano pagine viventi di quel Vangelo di Cristo che tra poco simbolicamente ti consegnerò, del quale diventerai sì annunciatore, ma soprattutto testimone chiamato a vivere ciò che insegnerai. Amen!