XVI Domenica TO/A

 16ª Domenica – 20 Luglio 2014 
 

Fratelli e sorelle amati, celebrando domenica scorso il Rendimento di Grazie per i miei 62 anni di sacerdozio, non a tutti mi è riuscito far giungere l’invito a unirsi a me nella lode a Dio. Grato anche a quanti lo fanno in seguito, mi accingo a entrare in casa da voi per condividere la Parola della prossima domenica. Grazie con grande affetto e gratitudine.

 

Don Vincenzo

 

Mt 13,24-43: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio»…. Chi ha orecchi, intenda!

 

P. Ermes Ronchi  La mano di Dio semina bontà, generosità e coraggio. La parabola rac­conta due modi di leggere e la­vorare il cuore. Il primo è quello dei servi che fissano l’attenzio­ne sulla zizzania. Il secondo è quello del padrone del campo che ha in­vece gli occhi fissi al buon grano: u­na sola spiga conta più di tutta la zizzania». Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. Il si­gnore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, custodi­sci ogni germoglio. Avere un amore gran­de, una venerazione profonda per le forze di bontà, che la mano viva di Dio semina in noi.

 

Don Marco Pedron – Gli apostoli sono ancora imbevuti delle dottrine degli scribi e dei farisei. “Non sta a noi decidere cosa è bene e cosa è male”. Mosè? Per estirpare la zizzania non si era fatto tanti problemi. Uccise un egiziano perché percuoteva un altro ebreo (Es 2,12), e quando gli ebrei con Aronne si fecero il vitello d’oro, con la benedizione di Dio vengono uccisi 3000 uomini. Chi fa il male, sia eliminato.

Chi crede di agire per conto di Dio si sentirà in dovere di “uccidere”, di condannare e di giudicare. Gli scribi e i farisei non si fanno alcun problema ad uccidere l’adultera. Gesù mette in guardia gli apostoli da quella tentazione. Dio non divide i buoni dai cattivi. Per tutta la sua vita Gesù ha combattuto contro quelli che si ritenevano giusti. Quanti difensori della fede e di Dio hanno ucciso, hanno creato le guerre sante! Ogni superiorità crea inferiorità. Tu sei quel campo e nel tuo campo, c’è grano e zizzania.

Puoi accettarti e amarti anche nei tuoi lati di “zizzania”. “Accettati con le tue potenzialità, i tuoi doni, le tue risorse, e anche i tuoi limiti, i tuoi errori, e le tue vulnerabilità”. E la tua opera è quella di trasformare il non-ancora-luce in luce. Invece di condannare e di giudicare, afferma i tuoi valori e rispetta quelli degli altri. Questa parabola mi invita allora a non preoccuparmi troppo di essere perfetto. Mi invita, invece, ad accettare la mia “zizzania” e a concentrarmi sul mio grano. Posso fare un sacco di bene anche se nel mio campo c’è zizzania, anche se non sono perfetto.

 

Don Antonio Pronzato: Una parabola tutta costruita sui contrasti. L’avversario approfitta delle tenebre, del sonno dei contadini, interviene sul lavoro altrui per guastare, e poi sparisce. Il Padrone del campo, invece, è sempre presente. Non perde di vista il «suo» campo dal momento della seminagione fino alla mietitura. Soprat­tutto, non abbandona la propria opera, si oppone allo zelo intempestivo dei suoi servitori; …Ma dov’erano quei contadini quando il Nemico agiva indisturbato sul campo? Dormivano. È più facile denunciare che testimoniare. Il Padrone ci tiene troppo al grano. Dio sa aspettare. Siamo noi che abbiamo una fretta maledetta. Noi con la no­stra mania di separare, clas­sificare. Di qui i buoni, di lì i cat­tivi. Si direbbe un peccato tipico delle persone cosiddette religiose. Si sentono sicure soltanto quando hanno sistemato per bene il campo nemico. La parabola, invece, serve a ricordare alcune cose piuttosto importanti: Il male e il bene crescano insieme, coesistano nello stesso campo. Soprattutto non dividere e opporre le persone tra loro. Guardare e denunciare chiassosamente il male che sta fuori di noi, nel campo nemico, significa non vedere il peccato che affonda, indisturbato, le radici dentro di noi. Certi individui sono specializzati a cogliere l’opera di Satana e risultano incapaci di scoprire l’azione di Dio nel mondo. Alla fine ciò che era zizzania, sotto l’influsso benefico di quella trepidante attesa, può diventare un prodotto buono, da collocare a pieno diritto nel granaio celeste.

 

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Parola e vita. – “Il Padrone ci tiene troppo al grano. Dio sa aspettare. Siamo noi che abbiamo una fretta maledetta. Noi con la no­stra mania di separare, clas­sificare…”. Annunziare l’indiscutibile amore e misericordia del Padre verso l’uomo, amato ininterrottamente come figlio anche nelle sue cadute, è il messaggio di Gesù con la sua vita e i suoi insegnamenti. E con sentita gratitudine e immensa gioia cerco di gridare a tutti: Dio ti ama con affetto di mamma e nulla lo fa desistere, grave che sia il tuo peccato, dall’amarti, che anzi la tua fragilità lo commuove maggiormente. Il suo amore non gli permette che sia Lui a precipitarti nell’inferno. Ci vai, anzi ci sei già, quando non ami e non ti lasci amare. Il padrone aspetta fino alla mietitura. Il buon ladrone, capitato cuore a cuore con quello di Cristo, di zizania ne doveva avere piena la vita, ma un momentino prima della mietitura s’è tutto trasformato in grano. Imitassimo la pazienza e la speranza di Dio nei nostri confronti per poi, subito, riversarle nei nostri fratelli.

Da giovane prete mandavo all’inferno quelli che non partecipavano alla Messa domenicale, ora credo sul serio che all’inferno ci casco io, arricchito di tante grazie e nutrimento abbondante in tanti anni, tutte le volte che giudico e condanno. Da quando, servitore zelante dormivo sulla soffice e indisturbata mia religiosità mentre i miei fratelli lottavano tra peripezie e cadute, al Signore è piaciuto destarmi e aprirmi gli occhi e scorgere, con meraviglia, tanta bontà e presenza stessa di Dio in persone che ritenevo lontani, perché fuori dalla chiesa, mi preoccupa molto di più della mia conversione. Con insistenza, anche a costo di essere ripetitivo, esorto allora i fedeli a stare attenti: stiamo in una strada molto pericolosa se poi non viviamo quello che ascoltiamo. A noi, eletti per grazia e liberamente accolta, alimentati continuamente dal Pane che dà vita, “conoscendo la volontà del padrone, se non avremo disposto e poi agito secondo la sua volontà, riceveremo molte percosse” – minaccia Gesù – “Quelli invece che, non conoscendola, avranno fatto cose meritevoli di percosse, ne riceveranno poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (Luca 12,47–48). Fa eco Papa Francesco quando, a proposito della pedofilia, vera e propria “lebbra” (la corruzione del fanciullo è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare), afferma: “Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili”.

«Meglio, allora, non venire a Messa?!» verrebbe da pensare. Certo se, non coerenti alla libera risposta alla preziosa scelta, preferiamo eventualmente starcene digiuni, tra rovi e tenebre!

 

Abitualmente preghiamo per la conversione dei peccatori. Quando lo fate, vi prego, pregate anzitutto per la mia conversione, che, avvertendolo come San Paolo (1 Tm1,15), dei peccatori sono il primo e, se ne sentite vero bisogno, anche per la vostra.

Ve ne sono grato abbracciandovi fraternamente.