Ascensione del Signore
“Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».» Mt 28,16-20
Ronchi – Ascensione, festa della fiducia: Il termine «forza» lega insieme, come un filo rosso, le tre letture:
la mia vita dipende da una fonte che non viene mai meno. È il flusso di vita di Cristo che mi fa crescere a più libertà, a più consapevolezza, a più amore, fonte di nuove nascite per altri.
Sarò con voi tutti i giorni. Gesù se ne va con un atto di enorme fiducia nell’uomo. Ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso. Sa che riuscirò a essere lievito e forse perfino fuoco; a contagiare di Spirito e di nascite chi mi è affidato.
«Battezzate» immergete l’uomo in Dio e insegnategli ad amare. A lasciarsi amare, prima, e poi a donare amore. Qui è tutto il Vangelo, tutto l’uomo. Fate questo, donando speranza e amorevolezza a tutte le creature, tutti i giorni, in tutti gli incontri.
Pedron Io sono con te tutti i giorni. Se ne è andato non per abbandonarci ma per restare ancor di più con noi e dentro di noi. Dio adesso non ha più suo Figlio per farsi vedere, per mostrarsi, per rendersi visibile. Adesso ci siamo noi! Adesso Gesù incontra, da vivo, da risorto, i discepoli.
Li incontra in Galilea (luogo della vita) e non a Gerusalemme (luogo della morte) città che uccide e lapida gli inviati di Dio (23,37).
Il vangelo dice che li incontra sul monte che Gesù aveva loro fissato
Il vangelo di Mt conosce bene “il monte” (5,1): è il monte delle beatitudini. E’ qui che Gesù “fissa” l’incontro (28,16). Beati i poveri che sanno perdere le false sicurezze per trovare l’unica cosa che può sostenere nella vita: Dio. Beati gli afflitti! Beati quelli che sanno piangere, commuoversi e sentire il proprio dolore e quello del mondo! Beati quelli che hanno fame e sete di cose vere, profonde, della verità, dell’autenticità: perché solo costoro troveranno ciò che cercano e Dio, che è la realtà più vera, profonda e autentica. Beati i puri di cuore! Beati quelli che hanno occhi trasparenti! Beati quelli che vedono le cose per quello che sono,
I discepoli vedono Gesù e lo riconoscono. Alcuni però dubitano. Dubitano di sé: “Ce la farò?; e cosa mi accadrà?; e ne vale la pena?; avrò la forza poi per andare avanti?… Il dubbio è un buco nella diga: la farà crollare, è solo questione di tempo. Il dubbio crea insicurezza, mancanza di valore in sé e paura; la fiducia crea forza, valore e sicurezza.
Gesù si fida dei discepoli, crede in loro e li invia: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” Loro dubitano di sé e Lui li invia in tutto il mondo. I discepoli non credono in sé ma Gesù conosce il loro valore e ciò che hanno dentro, per questo li manda. Non si può realmente credere in Dio e non credere in sé. Non perché si è dei supereroi ma solamente perché Lui abita in noi. Se Dio è in me allora io ho una forza divina. Quando hai paura: “Io sono con te”; quando ti senti solo: “Io sono con te”; quando nessuno è con te: “Io sono con te”. In ogni situazione ricordati sempre: “Io sono con te tutti i giorni”.
Pensiero della Settimana: Se guardo a me: “Non sono nessuno”. Se guardo a Te: “Tutto mi è possibile”.
Wilma – Guardiamo in alto. Gesù, ha avuto un tempo preciso e determinato entro cui svolgere il progetto del Padre.
Ad ognuno il suo tempo e il suo spazio per realizzare il disegno dell’Eterno. Tutto si decide qui ed ora: la vita è una sola! Da come imposteremo il nostro tempo, ora, decideremo il nostro destino eterno. Essere finiti, ma aspirare all’infinito. Siamo liberi di scegliere il bene o il male. Ogni vita umana è un sì a qualcuno. Se non è a Dio, sarà a qualcun altro. Siamo sempre noi che decidiamo a chi dire si e a chi dire no! Più diremo si al bene, più saremo liberi e ci costruiremo; più diremo si al male, più ci demoliremo e meno saremo liberi.
Curtaz – Il mandato. Nei vangeli la resurrezione, l’ascensione e la pentecoste compongono uno stesso quadro, un identico evento. Gesù, risorgendo, è già presso il Padre e dona lo Spirito. Gesù, che siede alla destra del Padre, non è più vincolato dal tempo e dallo spazio e può dire con verità: io sono con voi per sempre.
L’ascensione segna l’inizio del tempo della Chiesa. Sono gli angeli a dare la chiave interpretativa dell’evento: non guardate il cielo, guardate in terra, guardate la concretezza dell’annuncio. I discepoli del Risorto sono chiamati ad annunciarlo, finché egli venga, a renderlo presente. La Chiesa, allora, diventa il luogo dell’incontro privilegiato col Risorto, e assolve il suo compito solo quando rende presente il vangelo.
Cosa significa non guardare il cielo: chiamati a realizzare il Regno, in questa Chiesa fragile, in un mondo fragile. Ma che Dio ama. È iniziato il tempo della Chiesa, fatta di uomini fragili che hanno fatto esperienza di Dio e lo raccontano nella Galilea delle genti.
Cantalamessa – “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Cosa intendiamo per “cielo”. Il cielo è lo spazio entro cui si muove il nostro pianeta e l’intero sistema solare, e nulla più. Noi cristiani quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli”, significa che “abita in una luce inaccessibile”; che dista da noi “quanto il cielo è alto sulla terra”. È più uno stato che un luogo.
“È salito al cielo… “ significa che “siede alla destra del Padre”, cioè che, anche come uomo, egli è entrato nel mondo di Dio; che è stato costituito, come dice san Paolo nella seconda lettura, Signore e capo di tutte le cose. Quando si tratta di noi, “andare in cielo”, o andare “in paradiso” significa andare a stare “con Cristo” (Fil 1,23). Non bisogna stare a guardare in cielo e speculare sull’aldilà, ma piuttosto vivere in attesa del suo ritorno, proseguire la sua missione. “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
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Riflettendo: “Io sono con voi tutti i giorni”. È l’assicurazione confermata con insistenza da Gesù, cosciente della necessità del distacco doloroso imminente, nell’assicurare i discepoli, dubiosi per la fragilità già da poco sperimentata, che non li lasciava soli nell’osservare “le cose che vi ho comandate”. Già domenica scorsa Gesù garantiva: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore”. E amare Gesù non è tanto un sentimento ma ancor più: amare come Lui ama. È l’attenzione nel passare attraverso la ‘Porta’, entrare in Gesù, nei suoi sentimenti, nel suo vivere. “Dio adesso non ha più suo Figlio per farsi vedere, per mostrarsi, per rendersi visibile. Adesso ci siamo noi!”.
Ai bimbi che domenica scorsa avevano fatto la 1ª Comunione facevo notare: “avete mangiato Gesù fatto ‘pane’ per lasciarsi ‘mangiare’ da noi (…mangiare la sua carne, bere il suo sangue non ce l’avremmo fatta!), lasciatevi ugualmente ‘mangiare’ da Gesù per avere i suoi stessi sentimenti, per essere capaci di osservare il suo comandamento: amare la mamma, il papà (…senza scoraggiarsi per le inevitabili disobbedienze) come Gesù che ci dona tutto”. È la ragione del nostro ritorno domenicale: mangiare Gesù come il pane che si fa sangue del nostro sangue, carne della nostra carne per giungere ad amare i nemici. Ma come riuscire se non siamo capaci persino di amare totalmente la mamma! E nemico non è tanto lo straniero ma chi ci è accanto (e chi più della mamma!) e ci fa sperimentare l’incapacità di perderci; è il fratello che ci importuna, il coniuge al quale si prometteva fedeltà ma che nel tempo, con sguardo distorto dall’egoismo, mostra che non è più come l’avrei amato sempre, o il superiore al quale promettevo obbedienza, e con commozione, il giorno della consacrazione… Gesù ci mostra la via: “Se mi amate!” espressione di fede quella vera, anche se piccola, che mi fa capace dell’impossibile: “Il Signore disse: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo sicomoro: “Sradicati e trapiantati nel mare”, e vi ubbidirebbe” (Luca 17:6). Sarebbe fuori posto, addirittura bizzarro, se, come prova di fede, ci venisse chiesto spostare un sicomoro nel mare, a che pro! Sicomoro, del quale Gesù parla, ben radicato in noi è l’io da immergere in Dio, oceano di amore. Amore che, morendo, genera vita: se perdi la tua vita la salvi (Lc 17,33). In questa luce ho potuto dare risposta silenziosa alla richiesta di tutti rivolta a Gesù sospeso sulla croce: “Se tu sei figlio di Dio scendi e crederemo!” (Mt 27,40-43). Gli sarebbe stato tanto facile e tutti avrebbero creduto. A Lui, però, non interessa tanto che gli si credesse figlio (un credo che non dà forza di amare) quanto invece con forte grido (Lc 23,46) manifestare all’uomo peccatore l’amore vero, capace di morire. Volutamente il Padre abbandona il Figlio (Marco 15,34) perché in Lui poteva morire, mostrando di amare sino alla fine l’uomo peccatore.
Chiaro, questo non basta. Capita anche a noi come il giorno dell’Ascensione: “e vedutolo, l’adorarono; alcuni però dubitavano”. Il dubbio, la fragilità rimane anche vedendolo risorto, viene superata dalla promessa certa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) ora che, tornato al Padre non più vincolato dal tempo e dallo spazio, si fa presente nel suo Spirito Paraclito.