II Domenica di Pasqua

 Carissimi, affrettandomi per iniziare a preparare il rientro in Italia il 15 prossimo, dopo la sosta mariana a Fatima, eccomi in casa da voi per condividere il Pane domenicale sempre fragrante. 

Don Vincenzo


Gv 20,19-31: “…26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».


padre Ermes Ronchi: Arrendersi all’amore come Tommaso  Ge­sù viene, nonostante il loro cuore inaffidabile e il mio cuore lento. Tommaso non crede, eppure non se ne va, ri­mane lì con il gruppo, che a sua volta non lo esclude: comunità, luogo della fede. Così tu quando è debole la tua fede, non sentirti e­scluso, resta qui, altri saranno testimoni e me­moria viva, paziente di segni e di pace, per te.

Se trova chiuso, Gesù non se ne va. Viene, e non per essere accla­mato, ma per andare in cerca pro­prio dell’agnello smarrito. A Tommaso basta questo gesto: colui che si mette nelle tue mani, voce che non giudica ma incorag­gia. E lo stesso fa an­che con me, nei giorni del dubbio, quando credere è solo desiderio di credere.

Tommaso si arrende all’a­more che ha scritto il suo raccon­to sul corpo di Gesù con l’alfabeto delle ferite, indelebili come l’amo­re di Dio. E passa dall’incredulità all’estasi: «Mio Signore e mio Dio».

Mio Signore! Piccola parola che evoca il Dio intrecciato con la mia vita. Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei.


don Marco Pedron – Ferite vitali. Il vangelo racconta di due apparizioni:

Nella prima viene creata la nuova comunità cristiana con la stessa forza e lo stesso potere di Gesù. Nella seconda viene comunicata che la vera fede in futuro sarà quella di credere anche senza apparizioni.

La prima apparizione dice: “L’eucarestia dovrebbe essere questo”. Gv mostra come ciò che si vive la domenica è nient’altro che l’esperienza del Risorto: è il giorno del Risorto, è ciò che succede di domenica nel giorno del Signore. L’eucarestia è forza e perdono: la Forza per superare ogni debolezza, incapacità o impossibilità. Qui si incontra il Risorto: Lui è Forza. E’ per questa forza (la presenza del Risorto dentro di loro) che gli apostoli andarono in tutto il mondo. E’ con questa forza che gli apostoli non ebbero paura di nulla e nulla li fermò. Il potere passa adesso da Gesù ad ogni uomo (20,23). Afiemi, perdonare (20,23) vuol dire lasciar andare, liberare. Ogni volta che vengo a messa vengo per permettere questo processo: qui davanti a Gesù per ricevere il suo perdono. Per questo l’eucarestia ci fa vivere, ci fa felici e ci fa liberi. Perché è portare amore (perdono) dove non c’è.

Nella seconda apparizione, invece il centro è Tommaso. Tommaso deve “toccare” le ferite di Gesù

L’esperienza del Risorto è personale. Dio è un’esperienza: per questo bisogna “toccarlo”, vederlo, incontrarlo. Altrimenti sai delle cosucce. Aver letto tanto sull’amore è conoscenza, ma essere amati, innamorati, è un’altra cosa.Il menù non è il cibo: l’eucarestia è cibo (pane e vino), non un menù (descrizione del cibo). Le nostre liturgie non ci devono parlare di Dio, ce lo devono far sentire, toccare, sperimentare. E noi dobbiamo aver coraggio di lasciarci coinvolgere, “toccare”, perché se non ci si coinvolge non succede niente. Perché se ciò che si fa è liturgico (secondo le norme cioè della liturgia) ma non ci fa sentire, toccare Dio, non ce lo porta nel nostro cuore e nella nostra vita, è assolutamente inutile.

L’eucarestia è mettere il dito sulle proprie ferite. Lui c’è sempre e non mi lascia. Lui è fiero e orgoglioso di me. Lui mi ama senza condizioni. So che quando sono ferito c’è Lui che viene a curarmi. La Comunione della domenica è un balsamo, un medicamento per le mie ferite. Nelle mie ferite Lui viene.

Allora venire a messa non è più un dovere, ma un bisogno per riconciliarmi con me, con gli altri e con la Vita.

Pensiero della settimana: Non è perché le cose sono difficili che non osiamo farle, ma è perché non osiamo farle che sono difficili.


Wilma Chasseur Ci siamo o non ci siamo? Tommaso non c’era quel giorno e non crede. Non basta il ricordo a rendere viva una persona, ci vuole la presenza. Quante volte anche noi non ci siamo! errabondi qua e là e non lo vediamo, non perché non ci sia lui, ma perché non ci siamo noi! Siamo altrove, chissà dove. Quando ritorneremo dal nostro vagabondare, Gesù dirà anche a noi: “Metti qua il dito nelle mie piaghe e non essere più incredulo ma credente”. E Gesù ciò che dice, fa! “Per le sue piaghe siete stati guariti”. Perché le piaghe del risorto, “non grondano più sangue, ma irradiano luce” (A. Louf).


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Parola e Vita: Anche quest’anno ho colto maggiore luce nell’avere condiviso la preparazione e la Pasqua in periferia. Indispensabile, perché brilli tra le tenebre la tua luce (Isaia 58,10), farsi attenti alle necessità. Lo ripete senza stancarsi Papa Francesco. Lo ripeto continuamente perché l’ho vissuto. Vitale, certo, non il Brasile che potrebbe un giorno mancarmi. Quanti Parroci verrebbero volentieri in Brasile, ma hanno già periferie in esubero …Anzi, fanno bene a non venire perché potrebbe capitare d’incontrare alcune chiese pre-conciliari o qualche prete desideroso di farsi arrivare da Roma un preistorico cappello clericale saturno (è capitato!).

Perdonate le mie continue e ripetute denunzie quasi per un bisogno di pormi in umile preghiera con voi notando ancora oggi la fragilità umana in anime piissime e in pastori zelanti come in Gerusalemme, chiusi alla luce vivificante del Vangelo. È umano, ma fa soffrire, notare accanto a non poche eroiche testimonianze evangeliche, la non rara ricerca di mondanità. La scelta preferenziale dei poveri è un capitolo stupendo di ecclesiologia dopo il Concilio Vaticano II, ma resta un eccezionale documento. Per seguire il Maestro dovremmo vendere tutto e dare ai poveri, ma …nemmeno le briciole, mi è capitato ancora ultimamente! I poveri, proprio poveri, e i peccatori restano fuori o, al massimo, li accogliamo ma non andiamo a cercali come perle preziose.

Si lasciano inascoltati gli insegnamenti e l’esempio stesso del Papa. “Gesù Cristo, per amore nostro, si è spogliato della sua gloria divina; ha svuotato sé stesso, ha assunto la forma di servo e si è umiliato fino alla morte, e alla morte di croce!”, ha detto il Papa nel Messaggio Urbi et Orbi. E chi non si è commosso vedendolo lavare e baciare i piedi ai detenuti in Rebibbia. Il servizio in questa quaresima me lo sono sentito cantare continuamente in Brasile come Tema della Campagna di Fraternità quaresimale di quest’anno. Don Tonino Bello affermava che siamo molto Reverendi o Eccellenze per far coincidere qualche sinonimo di servo al nostro facile auto dichiararci servi. Racconto che nella vita nomade, invitato a pranzo da qualche famiglia amica civile, volendo sfatare l’ingannevole immagine del prete eccezionale, mi affrettavo a dire: “I piatti lasciate poi che li lavi io!”. A ché tutti: “Immagina… con tante donne!”. “Ecco, è quello che volevo: non lavare i piatti. Faccio come la Chiesa che, non volendo andare dai poveri, ripete continuamente la sua scelta preferenziale. Avessi voglia di lavare, farei come don Francesco nella comunità nomade in Verona, che a fine pranzo si alza, senza vuoti eroismi, e lava”. E per marcare l’immagine del prete eccezionale concludevo: “Non lavo i piatti perché mi manca il carisma eccezionale delle donne. Ho già …tante altre ricchezze umane, sarebbe ingiusto pretendere anche questa”.

Sarà perché convinto del sorprendente e forte coraggio femminile davanti alle sofferenze, nelle varie Via Crucis per le vie della città e dei villaggi, facevo notare che le due commoventi Stazioni, IVª l’incontro con la Mamma, e VIª il gesto della Veronica, sono del tutto inesistenti nei Vangeli. Sono state inserite dalla pietà popolare che non poteva affatto rassegnarsi come davanti a tanto strazio umano l’istinto femminile della Mamma e di qualche Veronica non reagisse, rendendole capaci di superare i divieti delle guardie ad avvicinare un condannato a morte e, ancor più, per niente preoccupate a non contaminarsi toccando il suo sangue.

Questa è la Domenica della Divina Misericordia. Celebriamola invocando con fede grata e commossa che venga vissuta nel concreto della vita, altrimenti il profeta Isaia griderebbe anche a noi: “Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità” (1,13).

Misericordia, mi hanno sempre spiegato, dice: Miseri cor dar = al misero dona il tuo cuore! Gesù l’ha vissuta in modo insuperabile, divino: Misericordia Divina, quella che procede dalle piaghe aperte di Gesù, e che si riversa su di noi come un fiume che lava ogni colpa, ogni dolore e ogni pena.

Come 2.000 anni fa ogni Ottavo giorno, quello dopo il Primo giorno della settimana, viene Gesù a stare in mezzo a noi e a dirci di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi… » Gv 20,21-23). Il potere passa adesso da Gesù ad ogni uomo. Perdonati, perdoniamo. Serviti, serviamo …senza dir niente. Amati, amiamo donandoci senza desistere.

E pregate per la mia conversione sempre in ritardo!