Omelia del Vescovo Sabino per l’Ammissione agli Ordini Sacri del seminarista Andrea Perrini

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI
E RITO DI AMMISSIONE AGLI ORDINI SACRI
del Seminarista ANDREA PERRINI

Parrocchia “Maria SS. del Carmine”, Massafra – Lunedì, 31 ottobre 2022

 

OMELIA

Saluto caramente il seminarista Andrea Perrini e la sua famiglia, don Eugenio Fischetti e la comunità Parrocchiale della Madonna del Carmine, Mons. Renzo Di Fonzo, vicario generale e i confratelli presbiteri, i diaconi ed i seminaristi, così come quanti sono venuti dal Seminario Regionale di Molfetta e dalla comunità parrocchiale di Santa Maria del Carmine di Noicàttaro,

è sempre una gioia ritrovarci insieme – intorno all’altare del Signore – per celebrare l’eucarestia come comunità locale e diocesana riunite insieme, con l’intento di testimoniare la bellezza della comunione e della partecipazione, rendendo attuali le parole del salmista: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Sl 133,1).

Ed oggi, la meraviglia di questa esperienza fraterna ci coinvolge ancor di più – nessuno escluso – perché, nella semplicità di un rito, il nostro fratello Andrea, figlio di questa comunità massafrese del Carmine, sarà ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato, impegnandosi – in maniera ufficiale e pubblica – a continuare nel cammino formativo del seminario, preparandosi – quando Dio vorrà – al futuro ministero ordinato, per «rendere grazie al Signore che rende degni di stare alla Sua presenza a compiere il servizio sacerdotale» (Cf. Preghiera eucaristica II) per il Suo popolo santo.

Stiamo celebrando questa eucarestia nei primi vespri della Solennità di tutti i Santi, ricordando ed invocando quella «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua [che] stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (Ap 7,9), come li descrive il libro dell’Apocalisse.

Una “moltitudine immensa” – e non una piccola minoranza di privilegiati – in cui non c’è da annoverare solo le persone straordinarie, riconosciute tali dalla Chiesa ed iscritte nell’albo della santità e riposte in una nicchia nelle nostre Chiese, quanto piuttosto la schiera di tanti uomini e donne che hanno vissuto in pienezza il tempo della loro vita terrena, portando a tutti, con le parole e le opere, la forza trasformante dell’amore di Dio in mezzo all’umanità e già godono della comunione definitiva di Dio, oggetto della nostra professione di fede, nella versione del Simbolo Apostolico: Credo la comunione dei santi.

I santi, come ci ha ricordato l’apostolo Giovanni nella seconda lettura, sono quelle persone che hanno compreso e soprattutto incarnato e testimoniato «quale grande amore ci ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1). Una santità che, nell’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, Papa Francesco così descrive: «mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati… questa è tante volte la santità della porta accanto, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (GE 7). Si tratta di fratelli e sorelle che nella ferialità della vita hanno compreso e vissuto l’invito del Signore: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20), consapevoli che chi ascolta ed apre «lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,21-22).

Celebrare la Solennità di Tutti i Santi ci riannuncia quel comune appello profetico consegnatoci dal Concilio Vaticano II della “Vocazione universale alla santità”: laddove deve essere sempre più «chiaro… che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (LG 40). Sono chiamati a realizzare il grande desiderio che alberga nella vita di ogni persona: essere felice!

E chi di noi non porta in sé il desiderio ed il sogno da realizzare per dare un senso profondo ed autentico alla propria vita, vivendola in pienezza e compiendo quel progetto che Dio – da sempre – ha sognato per ciascuno?

Tutti – me lo auguro di cuore – desideriamo la felicità; ed essere felici: altro non è che sinonimo di santità.

Parlare di felicità e di santità in tempi difficili e nebulosi, come quelli che stiamo vivendo a motivo del post-pandemia che ci richiede ancora tanta prudenza, della guerra in terra d’Ucraina, della crisi economico-finanziaria a motivo del rincaro energetico, dell’instabilità politico-amministrativa, non è certamente facile ed allora sorge spontanea una domanda: quale itinerario bisognerà impostare sul navigatore della propria vita per raggiungere la meta della felicità?

La stupenda pagina evangelica proclamata e da tutti ben conosciuta – quella delle Beatitudini, «la carta d’identità del cristiano» (GE 63) – ci ha ricordato che esiste un percorso praticabile per la felicità. Ma esistono però due tipi di felicità: una effimera e di breve durata ed una vera e profonda.

La prima, passeggera e superficiale, che nasce dall’essere sempre rivolti su sé stessi (schiavi dell’io imperante), sempre preoccupati e di corsa, ciechi ai bisogni e alle esigenze degli altri; e, quando svanisce, lascia un profondo vuoto interiore.

L’altra, invece, quella vera e profonda non dipende dall’esterno, sorge e dimora nel cuore della persona: spingendola a cercare la gioia non solo per sé, ma soprattutto nell’oblatività per gli altri.

Per ben nove volte Gesù proclama l’itinerario della beatitudine e della felicità, consegnandoci un programma di vita che all’apparenza sembra  sconvolgerci, perché ci chiede di andare controcorrente, ma al contempo ci insegna che per essere felici non occorre fondarsi o per meglio dire “fiondarsi” solo sul benessere, sul piacere, sul successo o sulla ricchezza, quanto piuttosto ci chiede di cercare in ogni cosa la pienezza della vita che è dentro di noi, nel profondo del nostro cuore; vale a dire, quella verità che sa riconoscere e discernere l’amore tenero e misericordioso del Signore e, soprattutto, sa farsi amore solidale e creativo per gli altri, fino a sentirsi dire: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,12).

Caro Andrea, questa sera, vivi un momento particolare della tua vita, nella quale si nasconde un mistero grande che non coinvolge solo te, ma tutti noi che con te siamo Chiesa: il mistero della sequela. Ti inserisci nella grande schiera dei “cercatori ed imitatori di Dio”, di coloro che per incontrare il Signore sono disposti a rinunciare e lasciare ogni cosa e a mettersi in cammino, correndo verso, o per meglio dire, dietro di Lui. Ma ogni ricerca, ricordalo e vivilo sempre, implica una “spogliazione totale”, nella disponibilità a lasciare (sempre e di nuovo) per mettersi, con docilità, a disposizione di un compito grande. Dio non si accontenta di qualcosa, ma vuole tutto di te e ti chiede di fidarti, di abbandonarti in Lui.

Tra poco ci manifesterai, «in risposta alla chiamata del Signore» che in questi anni hai cercato di comprendere sempre più, il tuo impegno a «portare a termine la preparazione – umana, spirituale ed accademica – per essere pronto ad assumere nella Chiesa il ministero, che a suo tempo, ti sarà conferito attraverso il Sacramento dell’Ordine»: è atto solenne e di tanta responsabilità. Apri gli occhi, guardati intorno, riconosci quanto Dio ha operato nella tua vita e prova ad immaginare quanto il Signore ancora desidera realizzare con te e per te.

Continua a cercare il Signore, in modo saggio ed appassionato. «Trovare Dio – scriveva San Gregorio di Nissa – è cercarlo senza fine. Cercare e trovare Dio non sono cose diverse, ma il guadagno della ricerca è la ricerca stessa. Il desiderio di Dio nell’anima è appagato dal fatto stesso di restare insaziabile, poiché vedere Dio è propriamente non essere mai sazio di desiderarlo» (Gregorio di Nizza, Vita di Mosé, II, 239).

Se non ti stancherai di cercarLo, troverai il Signore e la sua presenza ti colmerà di gioia e ti indicherà la strada dell’andare che ti permetterà – in un domani, non lontano – di essere un diacono che sa servire e ancor più un presbitero capace di spezzare la sua vita per il popolo a lui affidato.

Celebrare questo rito di ammissione – nel contesto della Solennità di Tutti i Santi – ti chiede, caro Andrea, di incarnare nel tuo vissuto quotidiano il programma delle Beatitudini ma soprattutto ti invita a «lasciare che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità» (EG 15).

E, a noi, tutti di guardare alla luminosa testimonianza dei santi, per risvegliare il desiderio di essere come loro: felici e gioiosi di vivere vicino al Signore e di tenere sempre accesa la lampada della speranza. Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi
Vescovo di Castellaneta