Carissimi fratelli e sorelle,
celebrando questa sera la solennità del Santo Patrono della nostra città di Castellaneta e della Diocesi, vogliamo rinnovare il nostro comune “rendimento di grazie” al Signore per il dono di San Nicola, che consideriamo un particolare amico che vive nella luce e nella gioia del Regno di Dio e si interessa di tutti noi, delle nostre speranze, dei nostri problemi, ed intercede in nostro favore presso quel Dio da cui «viene ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (Cf. Gc 1,17).
Ma San Nicola, per tutti noi, non è solo l’amico, il confidente, è anzitutto il modello per la nostra vita cristiana, una sorta di “fratello maggiore” a cui guardare nel desiderio di imitarlo. Il suo amore per il Signore Gesù lo ha portato ad assumere – come per tutti i santi – uno stile di vita che lascia ammirati e spinge a scrutare in alto, suscitando il desiderio di essere un po’ come lui che – nella vita – si è reso docile all’amore di Dio, che l’ha raggiunto, ed «in Cristo, l’ha reso una nuova creatura; in cui le cose vecchie sono passate; e ne sono nate di nuove» (Cf. 2Cor 5,17).
In questo tempo di particolare criticità, segnato dalla pandemia da Covid-19 non ancora conclusa, dall’emergenza climatica con le derivanti ribellioni della natura spesso deturpata dalle scelleratezze umane, dalla guerra in Ucraina, dalla conseguente crisi economico-sociale, dalle instabilità politiche e dalle criticità amministrative (come è accaduto da ultimo anche per la nostra Castellaneta), che spesso destabilizzano l’ordinario vissuto dell’intera comunità e sembrano tradursi in sterili rivalità a discapito di quell’impegno non negoziabile per il bene comune, la Parola di Dio appena proclamata si propone come un effluvio di speranza, perché annuncia che il Signore, «di generazione in generazione» (Sl. 88), è sempre fedele alle sue promesse e si ricorda di tutti noi, creature create, amate e conosciute, non rendendosi mai indifferente alle nostre reali e concrete vicende umane.
«Come un pastore – che – passa in rassegna il suo gregge» (Ez 34,12), molto più di quanto possiamo farlo noi nei sui confronti, il Signore è sempre in cerca di ciascuno di noi, sollecito nel combattere contro ogni forma di dispersione – non tollerando le nostre schiavitù, con le facili e insignificanti diaspore – per ricomporre la bellezza del nostro essere comunità, chiamata a rinnovarsi nell’invito ad ascoltare la voce del pastore e radunarsi per “camminare insieme”.
Della «pecora perduta, di quella malata, grassa e forte», di tutte nessuna esclusa, a volte esposte alle più svariate povertà – tanto umane che relazionali – o alla semplice stanchezza, il Signore si prende cura, perché nessuno Gli è estraneo, così come nessuno potrà fare a meno di Lui, anche se ama ostentare un’apparente ed insignificante autosufficienza.
San Paolo nella seconda lettura – scrivendo alla comunità di Corinto – ci rammenta che il Signore, continuamente in ricerca di noi, lui che è «il Buon Pastore» (Gv 10,11), «è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5,15), imprimendo nel cuore dei credenti la legge nuova dell’amore, che «ci possiede» (2Cor 5,14). In questa circolarità d’amore, noi per primi siamo stati rigenerati come «una nuova creatura», in cui non solo «le cose vecchie sono passate», ma «ecco, tutte le cose sono diventate nuove», ricolmate di vita e di gloria di Dio.
Lo stesso «amore del Cristo che ci possiede» e ci «ha riconciliati» con il dono della sua misericordia, ci rende connaturali al Signore, anche se il più delle volte (forse quasi sempre) non siamo meritevoli di questo dono di grazia e neppure lo immaginiamo, e con la sua voce, quella del “buon pastore”, continua a condurci tra le molteplici voci, spesso fuorvianti e dispersive, del nostro tempo. Si tratta delle voci che il Vangelo ricorda essere lo stile del mercenario che nel momento della prova fugge e «non gli importa delle pecore» lasciando il gregge in balia dei lupi. Ed allora, l’«amore del Cristo che ci possiede» e ci supplica di «lasciarci riconciliare con Dio» ci esorta anche ad essere «ambasciatori» del Signore, ossia suoi veri discepoli e testimoni.
San Nicola, con la poliedricità della sua vita, ci propone di accogliere il dono della Parola di Dio che questa sera ci è consegnata, al fine di accettare la proposta di una «vita nuova», in quella continua tensione verso il compimento della comune ed universale chiamata alla santità «ognuno per la sua via, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (Gaudete et Exsultate 10).
Con l’esemplarità della testimonianza, intessuta di attenzioni e prossimità, S. Nicola ci insegna che solo con una vita credente ed innamorata di Cristo ci si potrà realmente spezzare per il Vangelo.
Per questo motivo, lui per primo si sforzò di essere un credente umile, libero dalla cupidigia, dalla bramosia dei beni e dalla ricerca del potere e del successo. Fu ricco di amore per Dio e per gli uomini, soprattutto per i più poveri e bisognosi, a cui elargiva la speranza di Dio contro ogni speranza umana; testimoniando in ogni situazione la bellezza ed il primato del Vangelo, sino ad essere perseguitato ed arrestato e meritarsi il titolo di “confessore della fede”, al fine di assumere lo stile di Dio che «non vede le apparenze, ma il cuore» (Cf. 1Sam 16,7).
In questa novità di vita – ed in quanto «ambasciatori» costituiti «in nome di Cristo» – San Nicola ci insegna a vivere una “presenza operativa” nella città e nel mondo in cui abitiamo, con il distintivo dell’amore fraterno. Perché oggi, come ieri, si rivela sempre e di nuovo un bisogno struggente di verità e di carità, che vinca l’imperante cultura dello scarto che lentamente corrode e distrugge le realtà umane, al fine di porre scelte imprescindibili per edificare relazioni autentiche e colme di bene per l’esistenza di tutti. Si tratta di scelte che non si possono (e debbono) improvvisare, ma che germogliano e fioriscono in un cuore che si lascia nuovamente (e sempre) toccare dall’amore per aprirsi all’incontro con il Vivente, il Signore della vita e della storia, l’atteso dalle genti che desidera rinnovarci nel Natale verso cui siamo incamminati e che è pronto «a cenare con noi, se ascoltando la sua voce, gli apriremo la porta della stanza nascosta della nostra vita» (Cf. Ap 3,20).
In conclusione, desidero rivolgere un saluto alle sorelle e ai fratelli che si dedicano al servizio di Ministri Straordinari della Santa Comunione, qui convenuti dalle diverse realtà parrocchiali della nostra Diocesi per rinnovare la loro risposta alla chiamata che, attraverso la mia voce, ricevono dal Pastore del gregge, perché il duplice dono della Parola e della Comunione eucaristica possa raggiungere tutti quei membri delle nostre comunità che, a causa della loro sofferenza fisica, sono impossibilitati a prendere parte alle celebrazioni. Un’accoglienza particolare, la dobbiamo, agli otto amici che oggi riceveranno per la prima volta questo specifico mandato.
Carissimi, il tempo che dedicate ai nostri ammalati – un tempo da dover preparare e continuare nel dialogo di amicizia e di fraternità – è un meritorio servizio di carità, che si traduce in una chiara testimonianza della delicata attenzione di Cristo che ha preso su di sé le nostre infermità e i nostri dolori. Ma ancor più perché assicura – in maniera particolare a me e a tutti i Parroci – la certezza che, grazie alla vostra sollecitudine, queste persone possono avvertire – anche nelle proprie abitazioni – la partecipazione viva alla comunità, che ha ancora bisogno della loro preziosa offerta di vita, e che si sforza di non dimenticare nessuno dei suoi figli.
Carissimi fratelli e sorelle, in questo giorno di festa affidiamo, con devozione e fiducia, all’intercessione del nostro patrono San Nicola, il nostro sincero desiderio di unità, quell’unità che scaturisce dalla vera pace – che oggi invochiamo soprattutto per la terra d’Ucraina – frutto non di compromessi o sopraffazioni, ma di giustizia e di verità esercitate nella carità fraterna. Questo lo desideriamo per il mondo intero, per la nostra comunità diocesana e per la nostra Castellaneta. Amen!